Tutte Le Lettere D'Amore Sono Ridicole. Diego Maenza
sua tortura. Perché venimmo al mondo in un tempo e in uno spazio in cui la bellezza è sinonimo di sfortuna, anche se ci si impegna per dire l'opposto.
Ero magra e bella, gracile e fragile come la gazzella che mostra la sua esilità senza rendersi conto delle iene affamate e lupi famelici che la aspettano nascosti nell'ombra.
Oggi, raccontandoti questo, giovane amica, posso addirittura sapere che cosa pensò ognuno di loro in quel momento. Il primo, il robusto, aveva notato le mie fini ed abbronzate gambe, che si mostravano appetitose per la sua voracità da rapace. Il secondo, il più forte, aveva riposto l'attenzione sui miei seni nascenti, piccoli bottoni che sporgevano dalla mia camicetta e che incitarono l'uomo a morderli durante tutto il lavoro. E al terzo, il giovincello, risvegliarono l'appetito i miei glutei vistosi, rotondi e sodi grazie all'aerobica e alla danza contemporanea. Erano tutti dei maiali.
LETTERA UNO
Ti disegno, come se delineassi sotto il leggero strato di pioggia un viso immaginario e perfetto, in cui le deliziose fossette rimangono sospese sopra le guance. Ti faccio sorridere, facendo sì che si assopiscano i tuoi dolori e le tue obbligazioni quotidiane che muovono il tuo viso come burattinai del tuo destino. Ti faccio vivere il desiderio impiantato nella tua parte più profonda.
Cominciare una lettera d'amore è difficile, come dare inizio ad una storia che non contiene nessun elemento difettoso e che potrebbe essere manifesto della piena soddisfazione dello scrittore di fronte alla sua opera. Appagamento che, a mio intendere, non sarà mai soddisfatto, allo stesso modo che non lo sarà in queste righe.
Trascrivere i sentimenti a volte è una difficoltà quasi senza soluzione. Assomiglia al compito dello scultore che deve far nascere dal duro marmo la sottile narice del modello ed i suoi rotondi testicoli. Eroico è lo sforzo del pittore che, mescolando le sue vernici, riesce a riprodurre sulla tele la perfezione di una mascella perfetta, dei seni piccoli ma ben definiti e che contrastano con lo splendore di una vulva nascosta dai peli. Non meno ardua e complessa, per non dire impossibile, è il compito del poeta che, appollaiato sul suo momento di lucidità, deve far diventare inafferrabile ciò che è comodamente palpabile e, in un caso paradossalmente analogo, rendere evidenti le grazie che senza il suo intervento sarebbero inaccessibili.
Davanti a questa parete mi trovo in questo momento, non come pittore, scultore o poeta, perché le mie abilità non arrivano a tanto. Sbatto contro questo muro con come artista, ma come essere umano. La mia anima (chiamo in questo modo l'insieme delle mie scarse qualità, che non gli si dia altra accezione) si inorgoglisce di appartenere al gruppo di persone che loda la condizione dell'essere umano al di sopra di ogni artificio del mondo, per quanto sublime possa essere. Prima di tutto siamo umani, e come tale mi esprimo.
A volte mi chiedo il motivo per cui mi consumo scrivendo. La risposta non può essere semplice. Per denunciare i mali che affliggono la società? No, sicuramente. Per risolvere problemi personali, convertendo la letteratura in una grande masturbazione psicologica? Nemmeno. Per raggiungere la fama o la ricchezza, o per rendere attuale il modo in cui utilizziamo la lingua (non l'organo ma il sistema di comunicazione verbale)? Ancora meno. Mi spiego: il mio modello da seguire, per quanto riguarda il comportamento, è lo Scrittore Fantasma. Solo penso a scrivere, il resto non importa.
Forse le risposte sono meno pragmatiche di quello che, generalmente, si creda.
Cerco di rispondere: scrivo per comprendere in maniera migliore ciò che mi circonda. Magari la risposta è la stessa che mi do ogni volta che mi domando il perché io pratichi la lettura: per rendermi più umano.
Divento più umano scrivendoti lettere d'amore? L'amore cresce forse per il fatto di scriverti? E l’'amore, quindi, può crescere, proprio come fanno i neonati o i girini o i fiumi? O sarà invece che scrivendoti una lettera a poco a poco si staccano (come se si trattasse di un frattale infinito) i pezzi che costituiscono l'intero amore e, in questo modo, a poco a poco ne rimani senza? L'amore appassisce come fa un anziano, come carne alla brace o come frutta marcia? Probabilmente, l'unica risposta valida è questa: scrivere mi fa sorgere dubbi, inquietudini, allo stesso modo di quando l'intento di descrivere il profumo marcato dei tuoi capelli ritorna confuso, opaco di fronte a quello che la mia mente mi risputa fuori. O nello stesso modo in cui il tuo viso si converte nella parola che mi sfugge, o come l'adorazione per i tuoi occhi mi fa deglutire con la perplessità di chi è estasiato e non prova poi più piacere per le storie o le poesie.
No, non si tratta nemmeno di questo. Non lo so. Non ne sono così sicuro.
Tuo, Abelardo.
AFFETTO
L'affetto nasce dal pancreas e si diluisce nei nostri vasi sanguigni, fino a ritornare all'ipotalamo. È di colore ambra, che simbolizza la felicità e la ricerca del benessere. Si manifesta con ultrasuoni e con un profumo floreale. Nella simbologia universale è rappresentato dalla Luna. Nei tarocchi lo identifico con La Forza, sinonimo di controllo e sicurezza. Nello zodiaco occidentale lo personifico nel segno della Vergine, caratterizzato dalla spiritualità, l'ordine, l'intelligenza. Nello zodiaco cinese, invece, lo trovo nel Coniglio, pieno di prudenza, tenerezza ed armonia. L'affetto è Liquido e si dirige al Nord su di un Unicorno, perché è verginale.
CAPITOLO DUE
Come è solito succedere nel processo di incontri della razza umana, le nostre vite si scontrarono per un caso arbitrario del destino. Lei, quindici anni e nel suo splendore del periodo mestruale; io, con quattordici anni e i deliri della masturbazione. Fu sufficiente come pretesto un incontro casuale, una fiera del paese e cinque amiche impiccione per far sì che la nostra relazione cominciasse.
Lei era la ragazza più bella della scuola ed io un aspirante galantuomo che iniziò ad abbandonare gli studi a causa dell’appena conosciuta filosofia dell'amore.
A me, l'inizio della nostra relazione, risultò tenero. A lei, non molto. Ciò che motivò il suo avvicinamento fu l'affanno di iniziare una storia non con me, ma con un mio amico. La cosa ironica (e, perché non dirlo, romantica) fu che, nel processo, alla fine si innamorò di me. La conquistai, e ci conquistammo.
Forse cerco di spiegare gli avvenimenti ricorrendo a complicate astrazioni, ciò invece un superficiale si avventurerebbe ad esprimere con un paio di vocaboli. Ma lo sottolineo, il mio obiettivo ha un'ambizione maggiore.
La sua allegria contagiosa di fronte alla mia costante battaglia contro la malinconia; il suo carisma ed intelligenza riflessi nei contorni dei suoi occhi curiosi e vivaci ogni volta che le veniva in mente un'idea o in ogni occasione in cui cercava delle scuse nell'immaginario più recondito di fronte ai suoi genitori per giustificare le nostre uscite furtive, o di fronte alle mie pretese fisiologiche; la sua passione per la danza e la mia per la scrittura. Tutto lo rendeva ingiustificabile e, caro lettore, amata lettrice, capirete che per noi è stata la relazione più intensa che sia mai esistita al mondo e spero potervi comunicare in modo adeguato tutte le mie sensazioni.
La notte scese con sorpresa alla fine di quell'estate. Ero uscita dalla lezione di ballo che un giovane e bell’istruttore europeo aveva iniziato ad impartire nel paese, e che si tenevano di pomeriggio nell'istituto in cui studiavo. Ricordo che quel giorno avevamo provato una danza turca che, dopo l'accaduto, non avrei mai più ballato. La madre di una delle mie compagne si era offerta di accompagnarmi a casa in macchina. Mi negai. Desideravo camminare e schiarirmi alcune idee da adolescente quale ero.
Presi la strada più grande costeggiata da grandi alberi, che avvolgono con la loro penombra il cammino. Le stelle si affacciavano timide e una grande luna faceva sì che le pietre sul terreno brillassero come magiche lanterne.
Il destino volle che dalla penombra emergessero i tre rapaci. L'uomo corpulento mi abbordò con la maschera di arcangelo. Non pronunciò nessuna parola e non l'avrebbe fatto per tutta quella angustiosa notte, ma si mise nel mezzo del cammino e aprì orizzontalmente le sue braccia per far sì che mi fermassi, e così capii che era il capo del gruppo. Fecero capolino le altre due figure. Un giovane magro e non molto alto, con corporatura d'adolescente, portava la maschera di un teschio. Disse ―non puoi passare―, e il suono della sua voce mi confermò la sua giovane età. L'individuo alto e tozzo indossava