Cian. Charley Brindley
per quel buco nel modem.
Avrebbe potuto funzionare nel portatile che pensavo di comprare per Kaitlin una volta tornati a Lisbona. Quel computer sarebbe stato di grande aiuto a mia sorella, per organizzare tutti i dati che raccoglieva.
“Conosci la strada per Alichapon-tupec?” Chiesi.
La donna mi guardò a lungo, senza parlare. I suoi occhi scuri avevano un’intensità quasi ipnotica. Sentivo il bisogno di distogliere lo sguardo ma non ci sono riuscito.
Qualcosa alla fine del molo cadde violentemente in acqua, poi di nuovo silenzio. Un pappagallo chiamò la compagna e volò via per riunirsi a lei nella sponda opposta del fiume. Un debole odore di gelsomino arrivò da una brezza leggera che scompigliò i capelli della donna, e i delicati petali rossi e gialli nascosti dietro l’orecchio sinistro. Il forte abbaiare di una scimmia urlatrice che reclamava il suo territorio echeggiò per tutta la foresta. Tutto questo accadeva in pochi secondi, ma sembravano molti di più e la giovane donna continuava a guardarmi negli occhi come se riuscisse a vedere oltre i miei pensieri.
Finalmente mi rispose in Yanomami e indicò alcune canoe legate lungo il molo. Non capii le sue parole e riconobbi la lingua Yanomami solo perché l’avevo già sentita parlare dai nativi di quella regione dell’Amazzonia. Quando feci dei segnali a causa della mia ignoranza, mi guardò con uno sguardo che non era ostile ma nemmeno tanto amichevole. Irritato, pensai. Guardai i piranha, anche loro sembravano infastiditi dalla mia presenza. Il topo non si vedeva più.
Mi prese la mano per alzarsi, e rimasi stupito da quanto era bassa. I suoi capelli scuri e lucenti erano divisi nel mezzo e la testa mi arrivava solo al petto. Un attimo prima, seduta a fissarmi, pensavo fosse alta quanto me, forse più alta. Ma era solo un’illusione, un aura di coraggio sorprendentemente forte. La guardavo, ora che era in piedi, ma l'aura rimase.
Si girò i lunghi capelli sulla spalla mentre il sole scintillava sul suo amuleto. Chiedendomi cosa fosse successo al precedente proprietario del modem provai a toccarlo, ma ancor prima che ci riuscissi, mi schiaffeggiò forte.
Per un attimo restai stordito, incapace di reagire. L’impatto della mano sul viso mi riportò alla mente l’ultima volta che una donna mi ha schiaffeggiato.
Successe circa cinque anni fa, e l’immagine era vivida e chiara. Rivadavia, Argentina. Metà estate, così caldo nella torrida veranda che nulla si muoveva, nemmeno le lucertole che al mattino erano strisciate sui rami di un palo borracho per un pranzo a base di mosche e formiche. In quella calura sub-tropicale Lauren mi schiaffeggiò, sulla stessa, guancia, ma non forte come quello che avevo appena ricevuto.
Lauren era una donna bellissima, ma le mancava qualcosa per essere perfetta. Credeva a tutte le teorie del complotto che aveva sentito, e dato che lavorava per un'agenzia governativa - che si occupava, credo, di esportazioni e dogane - pensava che dei malintenzionati la seguissero sempre. Era nervosa e irascibile. Avrei dovuto sapere che un giorno sarebbe esplosa.
Lauren era anni e migliaia di chilometri lontana da quel molo sul Rio Negro, dove sono stato appena schiaffeggiato di nuovo. Mi massaggiai la guancia, e guardando le dita vidi una sottile striscia di sangue, e una zanzara schiacciata.
“Un po eccessivo, non credi?” Dissi sistemandomi il cappello.
Lei non rispose, si limitò a guardarmi come a sfidarmi a rifarlo.
Non ero sicuro se la zanzara fosse una spettatrice innocente di una avance respinta o se la donna mi stesse salvando da un caso di malaria. Riconobbi dalle ali che era una Anopheles Punctipennis -una femmina ovviamente- portatrice della temuta malattia.
Se lo schiaffo in faccia era il suo modo primitivo di mantenermi in salute, a che scopo? Non avevo sentito parlare di cannibalismo in quella parte dell’Amazzonia, ma nemmeno avevo mai visto una bella donna mezza nuda dar da mangiare topi a dei piranha.
Quando si è chinata per raccogliere l'arco e la faretra di frecce, ho sentito un impulso a lungo assopito ribollire dentro di me. Prima che potesse compiersi, si alzò e mi disse qualcosa, indicando l’altra borsa, Questo lo avevo capito, certe cose non richiedono traduzione.
Feci un profondo respiro per calmare il cuore scalpitante, poi presi la sacca piena di ratti e la seguii lungo il molo. Mentre camminavamo notai le file di segni lasciate da piccoli denti alla fine della sua gamba di legno; fatte dai topi o dai piranha, probabilmente.
Arrivammo a una piccola piroga, e la indicò. Le dissi che viaggiavo insieme ad altre persone. Facendo segnali, mi fece una domanda. Pensami riguardasse i miei compagni.
“Due,” risposi, “una alta così.” Misi la mano all’altezza delle spalle, per indicare quanto fosse alta mia sorella Kaitlin. “E una così,” dissi, abbassando la mano all’altezza di mia nipote, Rachel. “E,” tenendo le mani alla lunghezza di una pagnotta, “uno stupido cane lungo più o meno così.”
Lei scosse la testa e alzò le spalle, e mi portò a una canoa più grande. Presi una mappa dallo zaino. Mostrava Manaus sulle rive del fiume Madeira, e non alla confluenza tra il Rio Negro e il Rio delle Amazzoni, dove si trova effettivamente. E Alichapon-tupec era segnata a venticinque chilometri a valle dalla giunzione dei due fiumi. Se fosse vero, avremmo superato Alichapon-tupec il giorno prima viaggiando sul fiume, cosa che non abbiamo fatto; da qui la mia domanda ala giovare ragazza sul molo.
Volevo trovare il villaggio il prima possibile così che Kaitlin potesse raccogliere i suoi campioni di piante, imparare gli usi medicinali delle foglie, e tornare a Rio. Se avessimo perso la Borboleta in partenza per Lisbona, avremmo perso un paio di settimane a cercare un altro passaggio.
Ho consegnato la mia mappa alla donna, che l'ha srotolata e l'ha studiata con grande interesse mentre guardavo il suo viso passare attraverso una progressione di cipiglio, broncio e sopracciglia aggrottate. I miei occhi iniziarono a vagare e mi venne in mente il National Geographic Magazine. Quando ero un bambino, l’unico volta in cui avevo visto il seno nudo di una donna fu in biblioteca, nella sezione archivi della rivista, dove erano conservate quelle copertine.
“Beh, signor Saxon Lostasia,” mi avrebbe detto la bibliotecaria mentre cercavo di non farmi vedere uscendo dalla biblioteca. “Abbiamo esplorato un po oggi, eh?” E poi avrebbe sorriso e ammiccato, mentre correvo verso la porta. La signorina Pentava mi sembrava vecchia al tempo, ma non doveva avere più di venticinque anni.
Questa donna in piedi accanto a me adesso sarebbe stata una stupenda ragazza in copertina, ma non una buona bibliotecaria.
Riportai gli occhi sulla mappa, la presi dalle sue mani, la girai al contrario e gliela ridiedi. Ancora una volta, dopo avermi guardato di traverso, il suo viso fece quasi le stesse espressioni di prima.
Incredibile, pensai. Sta memorizzando tutto; prima dal basso e ora dall’alto Memoria fotografica, credo.
Dietro di me, sentii un cane abbaiare e guardando il molo vidi Rachel ed Hero correre verso di noi. Il cambiamento avvenuto nella donna quando la bambina e il cane le si sono avvicinati è stato sorprendente.
Capitolo Due
Quando la giovane donna si inginocchiò per portarsi al livello di Rachel, il suo viso apparve accattivante come quello della bambina. Il volto serio e pensieroso dell'adulto è stato completamente cancellato e apparentemente dimenticato. Prima pensavo fosse bellissima, ma ora era solare, simpatica, quasi angelica.
“Ciao,” disse Rachel.
La giovane donna sorrise a Rachel e toccò Hero con la mano, e lui subito si buttò a terra sulla schiena per farsi massaggiare. La donna rise e lo accontentò.
“Cosa è successo alla tua gamba?” Chiese Rachel in portoghese quando la donna si chinò per accarezzare Hero.
La donna sorrise a Rachel, scosse la testa e alzò le spalle. Rachel fece la stessa domanda in francese, ma la donna ancora non capiva. Imperterrita, provò con il linguaggio dei segni. La donna fece dei segni di risposta.
Stavano avendo