Terre spettrali. Софи Лав
vecchi tascabili che spaziavano dalla poesia di William Blake ai romanzi di Danielle Steel. La maggior parte della mobilia però era nuova. C'era una poltrona grandiosa che sembrava quasi un trono in miniatura, con accanto un piccolo tavolino da lettura. C'erano delle piccole macchie concentriche di umido sul tavolo, alcune perfettamente corrispondenti alla base di un calice di vino.
Marie assorbì l'atmosfera della stanza e sentì un'ondata di emozione che stentava ad arginare.
Devo uscire da qui, pensò. Il funerale e la veglia sono stati già abbastanza duri: non ha senso stare impalata a farmi aggredire dalle emozioni anche qui.
Uscì dal salotto attraversando l'ampio passaggio ad arco sul retro della stanza. Da lì arrivò in sala da pranzo, dove troneggiava un grande tavolo che poteva ospitare dodici persone. All'altro capo della sala spiccava una grande vetrinetta contenente un insieme di piatti, tazze e bicchieri non proprio ben assortiti.
Marie fece il giro del resto della casa nello stesso stile. C'erano due bagni, uno dei quali, accanto alla camera da letto padronale, era grande la metà del suo appartamento di Providence. Salì al piano di sopra, facendo scivolare la mano sulla ringhiera che aveva toccato innumerevoli volte da ragazza. C'erano altre tre camere da letto al piano superiore, una delle quali era stata trasformata in una specie di ufficio di cui Marie stentava a trovare il senso. C'era una vecchia macchina da scrivere su una splendida scrivania, con un foglio di carta dentro e una piccola risma giusto accanto. Tutti i fogli erano bianchi, e Marie si chiese se June avesse accarezzato l'idea di scrivere un libro. Di certo l'entusiasmo e lo spirito per intraprendere un'impresa del genere non le mancavano.
Beh, era meglio dire non le erano mancati. Ora lei non c'era più. E stare lì in piedi in quella casa vasta e vuota rendeva quel dato di fatto ancora più evidente.
Povera casa. Come June, era unica nel suo genere. E ora sarebbe stata costretta a venderla, un colpo che avrebbe potuto essere davvero enorme per lei. Si chiese quanto avrebbe potuto ricavarci; era piuttosto vecchia ma aveva il suo fascino particolare. Inoltre, era proprio sulla spiaggia. Poteva valere una somma di denaro tale da cambiarle la vita.
Allo stesso tempo, Marie detestava l'idea che la casa passasse nelle mani di una famiglia qualsiasi. La sua storia e le sue storie sarebbero state seppellite insieme a June.
Se solo… e se…?
“Oh, non ci provare,” disse a sé stessa.
Un pensiero prendeva forma in fondo alla sua mente, un'idea che aveva paura di affrontare a viso aperto.
Ora sì che pensi come una ragazza grande…
“Non sai nemmeno quanto, papà.”
Marie si trovava al secondo piano, nel corridoio che conduceva nuovamente alle scale. Sulla parete proprio davanti alle scale c'era una finestra semi-panoramica. Guardò fuori e vide l'oceano che scintillava nel sole pomeridiano. La lingua dorata di spiaggia le sembrava proprio un lungo tappeto di benvenuto. Immaginò che alcuni avrebbero potuto trovarlo in contrasto con la struttura e il design della casa, ma… beh, c'era qualcosa di incantevole nella composizione di quel tutto, no?
Forse era proprio ciò che avrebbe potuto rendere davvero unico un bed-and-breakfast.
Eccolo lì: il pensiero che le ticchettava nella testa ora era stato pienamente formulato.
Continuò a esplorare la casa, arrivando alla stanza degli ospiti in cui aveva passato molte notti da bambina. La disposizione della camera non era cambiata, anche se le frivole lenzuola rosa erano state sostituite da altre più semplici, beige. Anche il comodino era lo stesso, e così la piccola libreria e la foto di tre bambine che costruivano un castello di sabbia su un tratto burrascoso di spiaggia.
Camminò verso il letto e si sedette. Con un sorrisetto in viso, aprì il cassetto del comodino.
Le si fermò il cuore per un attimo quando vide che cosa conteneva. Per un momento, aveva di nuovo dieci anni. Infilò la mano nel cassetto e tirò fuori l'unico oggetto che vi era riposto.
Era una piccola bambola con cui giocava quando veniva in visita. Ce n'erano state molte, ma questa era la sua preferita. Era un'imitazione di una Barbie, ma bambina. Dato che Barbie aveva Skipper, l'aveva nominata Dipper.
Tenne Dipper tra le mani, sentendo gli occhi colmarsi di lacrime. Indossava la gonnellina pacchiana che Marie le aveva messo addosso trent'anni prima. Il tempo e l'abbandono l'avevano fatta un po' sbiadire, così come i capelli castani di Dipper, ma aveva lo stesso aspetto di un tempo.
Che strana cosa. Che possibilità c'erano che June avesse conservato qui questa bambola per tutto questo tempo?
Forse era quella la sorpresa a cui June aveva accennato nella lettera. Se era così, era una sorpresa un po' stramba, ma del resto la zia era sempre stata una signora stramba, quindi…
Marie non era sicura, però. Non le sembrava che June fosse mai stata un tipo sentimentale. Eppure, Dipper era proprio lì, come se avesse aspettato che la sua proprietaria un giorno ritornasse.
Era quasi come se Dipper stesse cercando di comunicarle qualcosa.
Guardò la bambola dritto negli occhi e stavolta disse ad alta voce. “Un posto del genere sarebbe davvero un bel bed-and-breakfast, vero?”
Quel pensiero le fece battere più forte il cuore. Ma a incombere c'era la realtà. Ci sarebbe voluto denaro, e tempo. Di certo sarebbe stato necessario più di quanto aveva al momento nel conto corrente.
D'altro canto, quanti lavori doveva davvero fare? Certo, alcuni punti erano più dark che vittoriani o gotici nel senso tradizionale, ma era davvero un male? I mobili erano affascinanti, c'era un sacco di spazio e il salotto al piano terra già da solo aveva un fascino incredibile.
Sì, era un'idea seducente. Il suo sogno, servitole su un piatto d'argento dalla prozia defunta, era lì davanti ai suoi occhi.
Ora sì che pensi come una ragazza grande, la voce di suo padre risuonò ancora una volta nella sua testa.
“Eccome,” disse, dando un'occhiata alla stanza.
All'improvviso, il peso di quell'idea le sembrò troppo grande. Si alzò in fretta, sempre tenendo Dipper stretta tra le mani, e si diresse verso il piano di sotto. Non si rese nemmeno conto di quanto rapidamente stesse camminando fino a che non raggiunse la fine delle scale e si ritrovò di fronte alla porta d'ingresso.
Uscì sul portico e avanzò lungo le scale. Si fermò in giardino, davanti alla casa, sentendo l'oceano frusciare alle sue spalle. Assaporò il sole in faccia, annusò l'aria del mare, e iniziò a calmarsi.
Ma durò poco.
Mentre tornava sui suoi passi attraverso il portico, qualcosa balzò da terra. Di qualsiasi cosa si trattasse, stava puntando proprio lei.
Urlò mentre la cosa le sbatteva addosso, mandandola al tappeto.
CAPITOLO SETTE
Marie non si vergognò davvero per quell'urlo; l'unica cosa che la preoccupava era che il cuore potesse balzarle via dal petto, raggiungere l'auto e scappare lasciando il resto del corpo alle spalle, sgommando via sul vialetto.
Per la frazione di secondo in cui pensò di stare per morire, fu contenta che almeno sarebbe successo proprio lì, davanti alla casa di June. Sembrava stranamente appropriato.
Accettò in quel secondo la piega che avevano preso gli eventi. Qualcosa sembrava essere uscito da sottoterra per ghermirle la vita. Ma che cos'era? Un enorme pipistrello? Un gigantesco serpente bestiale? Uno strano mostro che aveva abitato il vecchio maniero spettrale insieme a zia June per anni e anni?
Quando fu chiaro che nessuno le avrebbe tagliato la gola e che la bestia che le si era buttata addosso non pesava poi un granché, Marie aprì gli occhi e fu salutata da un naso umido e da una lingua ancora più umida proprio sulla fronte.
Era un cane. Aveva la testa inclinata, e la guardava con sguardo d'attesa. Fu allora, vedendo quanto fosse innocente quel musetto, che Marie iniziò a sentirsi imbarazzata.
Il cane le si levò di dosso, consentendole di mettersi seduta. Quando Marie si alzò in piedi,