Racconti Di Habbaassi III. Juan Moisés De La Serna

Racconti Di Habbaassi III - Juan Moisés De La Serna


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di piramide quadrangolare, ma con il vertice verso il basso e attraverso di esso, si connetteva con l’energia gravitazionale del pianeta; lo costruirono in poco tempo e in mezzo al deserto, dove nessuno poteva disturbarli e dove nessuno importava di sapere chi fossero e cosa facessero. Lì, raggiunsero importanti risultati per una nuova energia gravitazionale terrestre grazie a nuovi progressi tecnologici nati dall’ispirazione di uno di loro.

      Vi fu un grande e terribile terremoto, e grandi movimenti come reazione della Terra al bombardamento che veniva dal cielo; parte del materiale atterrò su quella piramide seduta sulla roccia, coperta e sostenuta dalla sabbia; altro invece sprofondò sotto il livello del mare, e parte del deserto si trasformò in isola, mentre il resto della sabbia divenne una spiaggia che sopravvisse allo sprofondamento. Ciò permise solo a una delle facce della piramide di mostrarsi ancora al cielo.

      I dispersi vissero in quelle condizioni precarie e i messaggi che loro mandavano per far sapere agli altri dove fossero rimasero inascoltati per molto tempo, per cui dovettero ricorrere a mezzo di sopravvivenza offerti dal posto come le coltivazioni interne e il mare che li circondava, considerato la fonte primaria quasi assoluta della loro sopravvivenza dato che sull’isola non cresceva nulla.

      Ma ciò non li scoraggiò e fece nascere in loro un’idea: vollero sviluppare, nell’essere umano, le funzioni che gli avrebbero permesso di respirare sott’acqua e al tempo stesso vivere degli alimenti che il mare forniva naturalmente, ma non separandosi dalla forma umana.

      Con quest’idea in mente, cominciarono gli esperimenti chirurgici su alcuni membri della collettività che secondo loro avevano maggiori probabilità di sopravvivenza, ma questi non furono efficaci, quindi sospesero le operazioni e decisero di studiare fino in fondo tutti i tipi di animali che avrebbero potuto aiutare gli esseri umani a sopravvivere sott’acqua.

      Per ottenere tale risultato cercarono di non fare a meno della ricerca di ossigeno dai polmoni, e che i figli di tale essere fossero concepiti all’interno del grembo umano fino a quando avrebbero potuto sopravvivere da sé.

      Studiarono e studiarono, e approfondirono la materia della genetica; prima quella degli animali e poi quella che riguardava loro in prima persona: conclusero anche innesti con la genetica animale, ma ne risultarono mostri, così gli studiosi decisero di votarsi agli studi sulla propria genetica, e vollero fare tentativi di innesto sugli umani con altri esseri umani. I risultati furono più soddisfacenti, questa volta.

      Trasformarono la fisionomia degli astanti e si resero conto che le donne non potevano crescere i feti in grembo: dovettero crearli in laboratorio, sostituendo il parto delle madri.

      Riuscirono a creare il primo uomo-pesce e lo chiamarono DELF.

      Il giovanotto fu lasciato in mare, e anche se l’atto può sembrare inumano, gli altri pensarono che fosse il modo migliore affinché si adattasse nonostante sapessero dei rischi che poteva correre, e cercarono di evitarli delimitando una zona della spiaggia con alcune corde in modo che i grandi mostri del mare non potessero avvicinarsi; lì, il giovane visse tutto il periodo della sua prima infanzia.

      Si adattò, e quando gli studiosi ritennero che fosse in grado di affrontare il mondo esterno, levarono il cordone e il ragazzo uscì verso il mare aperto, dove le acque erano più profonde, vi era cibo ma anche i pericoli, e questa è la storia della sua vita.

      Era nato in laboratorio ma era umano: era dotato di polmoni e del sistema normale di riproduzione, anche se all’inizio non riuscì a trovare una compagna.

      Era forte e molto agile, e questa era la prima condizione necessaria posta a sua migliore difesa giacché era risaputo che i grandi mostri erano lenti e che un essere molto agile avrebbe avuto grandi possibilità contro quegli esseri. Possedeva anche due cose molto importanti: un muso che gli serviva da arma e più di ogni altra cosa, aveva una forte capacità psichica, che aumentava grazie alle vibrazioni trasmesse tramite le acque marine.

      Così Delf e gli umani con poteri psichici comunicavano telepaticamente: loro gli avevano insegnato tutto ciò che era necessario sapere del mondo sottomarino, e il ragazzo apprendeva molto bene, ma sapeva anche leggere le menti di alcuni pesci che gli nuotavano intorno. A volte, utilizzava i suoi poteri per paralizzare i potenziali nemici o quegli esseri che lui stesso attaccava perché considerati pericolosi.

      La sua vita fu un’avventura totale: si allontanò dalla base e visitò tutta la zona circostante; con i suoi poteri mentali, chi era in laboratorio era in grado di raccogliere informazioni che avrebbe passato agli studiosi che sarebbero venuti dopo di loro. Ma gli studiosi di allora non vollero essere sostituiti da esseri digitali, e crearono un altro essere umano, questa volta una femmina, che avrebbe procreato insieme a Delf.

      La maggiore avventura di Delf fu la scoperta che ci fossero altri esseri umani che vivevano in altri luoghi, ma quando egli si diresse verso di loro, questi vollero ucciderlo per mangiarselo; nonostante provò a comunicare con loro attraverso la mente, questi la tenevano chiusa come alcuni pesci, che però appartenevano al genere animale.

      Quindi, quando tentò di comunicare telepaticamente quanto era successo a chi viveva nel laboratorio, questi gli spiegarono che purtroppo situazioni del genere potevano accadere, e che loro non erano stati in grado di avvertirlo per tempo poiché, ritenutisi soli, erano a conoscenza dell’esistenza di quegli altri umani, che erano animali dalla forma umana e niente di più.

      Successe un’altra cosa durante lo stesso viaggio: fu sorpreso dalla forte corrente che lo trascinava verso una direzione e si lasciò trasportare senza però riuscire a uscirne. La corrente lo portò molto lontano e lui si sentiva felice, perché non aveva avuto bisogno di compiere sforzo alcuno: andava da un posto all’altro e poteva vedere e conoscere tante forme animali e vegetali diverse.

      Durante il viaggio scoprì molte rovine; il pianeta era cambiato abbastanza e alcune terre erano state inondate insieme alle loro città, e solo con il tempo queste poterono ritrovare la tranquillità sui fondali marini.

      Vide anche tanti resti che dovevano essere di macchine provenienti da altri tempi e rimase sorpreso nel vedere numerose creature marine che avevano forma umana, ignorando la domanda se avessero anche loro poteri di alcun tipo. Provò qualche approccio ma fallì, e concluse che era meglio rientrare nella corrente che andava in direzione opposta, anche se di poco distante dal luogo in cui si trovava, ma alla fine andò tutto bene e si sorprese di come, durante il tempo della sua breve assenza, era nata una ragazza che, scoprì dopo, sarebbe diventata sua moglie.

      La delfina crebbe e con lei anche altri maschi che avevano avuto modo di svilupparsi così come altre femmine. Quando tutti uscivano in mare, Delf ne era il capo e maestro, anche se non ne era il padre, ma quando anche quest’ultimo punto dei loro studi divenne realtà, tutti scoppiarono di allegria poiché videro la propria ricerca raggiungere il risultato sperato: far sì che l’essere umano vivesse in mare.

      Nella Scuola delle Conoscenze di Hab Y Ssinia (Etiopia), al terzo anno insegnano che l’arte del parlare deve essere svolta solo per insegnare o per fare del bene e mai per il male né per esprimere nulla che non sia un elogio o buone parole; per questo, gli studenti apprendono a creare racconti per comunicare con gli altri; uno di questi era di un bambino di dieci anni.

      Un giovane, enorme elefante maschio, si cibava da degli alberi all’interno di un bosco. quando, mentre masticava delle foglie, una formica si posò su una delle sue zanne ed esclamò:

      «Elefante, per caso credi di essere l’unico essere, qui, che ha diritto a mangiare? Io ho camminato per più di due ore per salire su questo ramo, e quando finalmente arrivo, tu mangi tutte le foglie e mi lasci senza. Me ne devi una e la pretendo»

      L’elefante, sorpreso da quella piccola formica che le stava dando ordini, rispose:

      «Sono per caso il tuo servo? Credi di potermi dare degli ordini? Ti darò il ramo, ma solo perché lo voglio, non perché me lo chiedi in tale modo»

      «Bene, visto che vuoi poggiala a terra laggiù, che è dove abito - disse la formica - e non tornare da queste parti se non per parlare con me»

      L’elefante


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