Morti e viventi. Enrico Panzacchi

Morti e viventi - Enrico Panzacchi


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       Enrico Panzacchi

      Morti e viventi

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066070366

       PREFAZIONE

       GABRIELE D'ANNUNZIO

       I. A proposito del “Plagio„

       II. A proposito del “Piacere„

       ERNESTO RENAN IN ITALIA

       I GIOVANI

       PITTORI SCOZZESI

       SIMBOLISTI (FRAMMENTO)

       UN RITORNO A GOLDONI

       MONACA E ROMANZIERE

       PAOLO FERRARI

       MASTRO-DON GESUALDO

       IL ROMANZO DI UN MAESTRO

       LA LETTERATURA DEL CARCERE

       Indice

      Possono dei brevi scritti — che mettono avanti qualche idea, svegliano qualche ricordo e agitano alcune questioni letterarie e artistiche vivamente sentite nel nostro tempo — venire riuniti in un volume, che non disdica nella bella collezione dei “Semprevivi„?...

       Questa domanda io rivolsi a me stesso, quando l'egregio editore Cav. Giannotta cortesemente mi invitò a mandargli la materia di un volumetto.

       Se io abbia fatto bene o male a rispondere sì (non però senza qualche esitazione), giudicheranno i lettori e giudicherà l'editore, secondo l'esito del libro.

      Questo credo io di certo: che la critica per la critica è un male anche maggiore dell'arte per l'arte.

       E se mi decisi a mandare il manoscritto, fu appunto perchè ho sempre abborrito non solo dalla critica vuota, oziosa, pettegola, ma anche da quella fatta solo per il gusto di giuocare d'abilità ministrando giudizi a destra e a sinistra.

       Un intendimento di bene mi ha sempre deciso a stampare, perchè sono sempre stato sincero nello scrivere. Se poi al bene io sia riuscito, anche questo decideranno i lettori e l'editore, secondo l'esito del libro.

      Enrico Panzacchi

       MORTI E VIVENTI

       Indice

      Quest'anno, l'estate ha voluto entrare allegramente nel dominio dell'autunno. La vendemmia, sollecita, è già finita nei vigneti e anche sulle viti attorte agli alti alberi allineati per i poderi. — Sovra i campi di frumento e di granturco è passato l'aratro. Le terre brune, e qua e là ancora lucenti per il taglio fresco del coltro profondato nei solchi, ora si scaldano al sole e si ritemprano all'aria, aspettando la seminagione prossima.

      E la campagna è ancora tanto bella! Più bella d'una bellezza solenne e dolce per questo ozio intermedio dei grandi lavori campestri, per tutto questo verde lavato, rinfrescato e visibilmente ringiovanito dalle ultime pioggie settembrine.

      Il sole è alto e scotta come di giugno; ma appena io tocco l'ombra d'una casa di un albero, sento che il fondo dell'aria si è molto mutato. Effetto delle notti già lunghe. E vado per questa distesa di campagne che dalla prima radice delle colline si abbassano lentamente, un poco ondeggiando, verso la via Emilia e verso il fiume.

      Una pace immensa, un silenzio immenso. Prendo per i sentieri vicinali — qui li chiamano stradelli — tortuosi e pieni di polvere. Le siepi di biancospino, umili nel maggio e di un verde delicato, ora si sono fatte alte e dense e aspre, come le vuole l'amico Gabriele; se non che di tratto in tratto un cespuglio di more selvatiche e qualche alberello carico di bacche rosse rompono questa irta monotonia di ostacoli bilaterali; e pare che l'occhio li noti volentieri.

      Io non so bene dove mi conducano questi stradelli polverosi. Continuano sempre dinanzi a me, entrando uno nell'altro, tagliandosi talvolta uno coll'altro, sdoppiandosi, piegando in tutte le direzioni. Per orientarmi, guardo il campanile rosso della parrocchia di Pizzocalvo che sorge sull'umile collina, alla mia destra....

       * * *

      Ho incontrato un barrocciaio a vuoto, e mi ha detto che veniva da Medicina e andava a Monterenzo per la strada che sale lungo il letto dell'Idice. Nessun altro incontro. Pei contadini questa è l'ora del desinare; e i signori villeggianti intanto digeriscono la colazione chiacchierando intorno alla tavola. Alcuni leggono il giornale pisolando. Qualche signora preferisce di rimettersi al lavoro d'ago, qualche ragazza di sbadigliare sopra un romanzo o di sognare a occhi aperti, distesa sopra una chaise-longue... Il dèmone meridiano entra per le finestre semichiuse, aleggia per le stanze silenziose e carezza delicatamente i corpi e le anime mezzo sopite.

      Ecco che arrivo in paese di conoscenza!... Nel punto ove i due stradelli s'incontrano, lo spazio improvvisamente si allarga, l'ombra è più estesa, l'aria più fresca. Quattro alti pilastri spiccano nel verde e due bei sedili di pietra invitano a riposare e a curiosare per la vasta cancellata.

      Io siedo e ricordo, guardando. L'antica villa signorile, ove non è nascosta dagli alberi del parco, mostra i muri neri e verdognoli, screpolati qua e là. Sul davanti e molto più vicino alla siepe di cinta — una bella siepe difesa da una rete di filo di zinco — si vede la cappella, ombreggiata anch'essa da vecchi olmi, piccola ma svelta e pomposetta nella sua architettura dalla prima metà del settecento.

      Di queste cappelle ne ho vedute parecchie venendo dalla collina. Difficile ritrovare una villeggiatura un po' antica che non abbia la sua; e quasi tutte appaiono costruite, o rifatte, nello stile del secolo scorso. Esse ricordano un tempo nel quale i nostri nonni, anche la pietà volevano circondata di tutti i commodi e non disgiunta da certe forme di privilegio. Le cappelle erano come l'accessorio sacro e il distintivo gentilizio della vita campestre dei signori. Quando la famiglia si stabiliva in campagna per i lunghi mesi dell'estate e dell'autunno, doveva avere tutto con sè; anche la messa in casa e il prete a disposizione.

      Il prete era, s'intende, ossequioso e compiacente. Veniva preferito d'umore gioviale; e se era un poco baggèo non guastava. Anzi! — Arrivava la mattina col cuoco sul barroccino della spesa. Celebrata la messa, trovava pronta la colazione a parte; e mentre sorbiva il cioccolatte,


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