Morti e viventi. Enrico Panzacchi

Morti e viventi - Enrico Panzacchi


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nel letto un grande fantoccio, che doveva essere la vecchia governante, segretamente innamorata di lui; un'altra volta era il letto che gli sprofondava sotto con orribile fracasso; un'altra volta... Sempre le stesse burle e sempre le stesse risate.

      Quello, a ogni modo, fu il tempo aureo di queste cappelle villereccie; e qualche bella giornata avevano — con ricchezza d'apparati, di lumi, di fiori — almeno per la solennità del santo titolare.

      Ma poi successe un'epoca infausta alle povere chiesette abbandonate. Finchè i conti e i marchesi si limitavano a leggere Voltaire, il male non fu irrimediabile, visto che anch'esso il signore di Ferney andava alla messa per un riguardo ai suoi contadini. Ma la invasione delle novità doveva andare molto più a fondo e portare ben altri mutamenti! Mutarono le idee, mutarono le usanze e mutarono anche i padroni. Per effetto di chirografi troppo facilmente moltiplicati e messi in giro, alcune cappelle, insieme alle ville e ai poderi, caddero persino in manus infidelium; e non furono sempre le peggio trattate... Quante altre, per gli umili usi a cui si vedevano ridotte, avrebbero avuto ragione d'invidiare le sorti di quelle che i padroni, nuovi o vecchi, avevano allegramente adeguate al suolo, in onta ai sacri canoni, per ampliare l'area del prato o del giardino o del parco inglese!

       * * *

      Molte altre, come questa, rimasero semplicemente nell'abbandono e nell'incuria. Il tempo fece la parte sua, e sopra di loro si distese lentamente la fisonomia delle cose morte...

      Quanto tempo sarà passato dacchè uno spirito di vita non è entrato là dentro?... La bruna cicuta verdeggia liberamente ai piedi dei muri laterali e qualche bel ciuffo di erba si vede anche sui gradini e sul margine della porta. La Santa titolare, dipinta a buon fresco entro il vano del timpano barocco, poveretta, non ha più nè sembiante nè emblemi riconoscibili; e mostra da ogni parte il color nero della imprimitura.

       Mi vince la curiosità; e passato il cancello vado a osservare l'interno della chiesetta per una delle due finestrelle basse ai lati della porta... Tra la pace animata, gioconda, luminosa della campagna aperta e la quiete di quel breve ambiente chiuso, il contrasto non è solamente enorme; è quasi pauroso per me. Credo d'avere ben poche volte sentita così potentemente l'antitesi tra gli stati fondamentali della percezione e le forme della vita. — Ho in me come un senso di sdoppiamento subitaneo. — Una parte di me stesso è passata là dentro ad abitare la chiesina abbandonata, a osservare minutamente tutti gli oggetti, a spiare, a fiutare da per tutto, anche gli angoli più reconditi e più ombrosi, con un misto di attonitaggine sentimentale, di tenerezza e di pietà... Mi pare di sentirmi vivere in un piccolo pezzo di spazio freddo e in un piccolo pezzo di tempo inerte, non so da quanti secoli e da che forza magica imprigionati là dentro fra quelle quattro mura — immobili, taciturni, tristi — lontano dall'eterno movimento mondiale, divelti e sequestrati per sempre dal gran dramma della vita universale, al quale un tempo furono congiunti...

      Intanto i miei occhi si sono avvezzati a veder meglio nell'interno. Un pulviscolo d'oro si muove silenzioso dentro un raggio di sole pallidissimo, che è passato a stento dall'alto, per una vetrata sulla quale, chi sa da quanto tempo, si vanno addensando il grumo e la polvere e le tele di ragno.... Il raggio di sole arriva a rischiarare un inginocchiatoio, che un tempo deve essere stato tinto in verde, collocato dinanzi a una povera Praeparatio ad Missam, gialla come una vecchia cartapecora e strappata largamente nel mezzo... Da tempo immemorabile quella Praeparatio non prepara più nulla a nessuno...

       Sopra l'altare senza candelabri, vaneggia una cornice di gesso, a muro; ma il quadro manca. Era forse un buon dipinto del Franceschini o del Calvi o di uno dei due Gandolfi, e fu levato di là, e ora si trova in qualche vecchia galleria. Ma quella grande cornice vuota accresce la squallidezza a tutto quello squallore; e pare che sconsacri l'ambiente.

       * * *

      Una cosa è certa. Anche da questo chiuso, da questo silenzio e da questo abbandono, esce un sottile aroma di poesia. Mi tornano in mente — chi sa per quali meandri mnemonici — delle strofe caramente melanconiche di Jacopo Vittorelli e di Ippolito Pindemonte; tornano perfino certe lontanissime letture dei romanzi del visconte D'Arlincourt, ove le chiesette campestri, vicino ai castelli turriti o in mezzo ai boschi, nelle pronube albe serene o nelle notti cupe di tempeste e di delitti, hanno spesso tanto da fare.

      Attorno alle pareti interne della cappella, giù verso il pavimento, riesco a leggere in modo abbastanza distinto alcune lapidi sepolcrali. Incontro per tre volte un nome, Giovanna; e mi sovviene che lo porta pure l'attempata signora, che abita adesso nella villa paterna, dalle mura screpolate e nerastre. — Una rovina anch'essa, come tutto il rimanente, quantunque opponga al tempo delle resistenze disperate.

      Ed ecco, io penso, tutto quello che qui rimane in piedi di tante tradizioni domestiche! Un nome comunissimo di donna, tenuto vivo nella famiglia per mera consuetudine e che presto finirà... E dire che probabilmente alcune di quelle ormai lontane antenate, quando pensavano al sepolcreto domestico, avranno anche immaginato con tenerezza confidente una lunga catena di ricordi pii proseguita dalle future generazioni... Avranno pensato alla loro cappella gentilizia parata a bruno in certi memori giorni e a delle grandi corone di fiori freschi posate dinanzi alle lapidi mortuali.... O nostre ingenue fedi nella pietà dei ricordi domestici! La Vita guarda davanti a sè con sollecitudine affannosa, e presto si scorda di voltarsi indietro....

      In buon punto, una voce femminile viene a rompere quel mio triste soliloquio; e mi volgo verso la strada... Alta sopra la verde linea della siepe, vedo una testa di donna con una gran chioma di un colore inverosimile, che si avanza, si avanza rapidamente, come se volasse; e arrivata al secondo pilastro, svolta improvvisamente.... Santi numi! È lei, la mia quarta Giovanna, che torna da una passeggiata in bicicletta, seguìta dal suo giovane fattore. Alla sua età e con tutto questo Sole, che i poeti invocarono lampa rivelatrice!

      Col busto eretto sui fianchi doviziosi, il volto acceso, una parte dei capelli al vento e le due mani ferme al lucido manubrio, passa come un lampo la indomita signora, evidentemente non badando nè a me nè alla chiesetta ove posero le sue antenate. È veramente splendida; è addirittura sorprendente, per chi sappia il suo atto di nascita!... Un mio giovane amico, poeta e miope, ora vedrebbe in lei il simbolo della Vita, che passa trionfando....

      Io mi levo il cappello.

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