Minerva e lo scimmione. Ettore Romagnoli
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Ettore Romagnoli
Minerva e lo scimmione
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066071783
Indice
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
II. IL CORVO CON LE PENNE DEL PAVONE
VII. LA SELEZIONE ALLA ROVESCIA
VIII. CETERUM CENSEO PHILOLOGIAM ESSE DELENDAM
I. L'EDIZIONE «KOLOSSAL» DEL DECAMERONE MANTISSA QUASI COMICA
II. PER L'AFFRANCAMENTO DELLA LIBRERIA ITALIANA
III. INTERVISTA CON UGO FOSCOLO SUI POETI CLASSICI E L'ASINITÀ DEI PEDANTI
PREFAZIONE
ALLA SECONDA EDIZIONE
In talune marcite dell'«alta filologia», Minerva e lo Scimmione è piombato con lo schianto d'un bolide. I filologi, lí per lí, sono rimasti sgomenti, e si sono sprofondati nel motriglio, come le rane d'Esopo. Poi, sempre come le rane, rane scusate, d'Esopo, hanno ripreso animo, hanno risollevato i musi a fior d'acqua, e, con altissimi gracidii, si sono arrampicati sull'intruso, fiduciosi di affondarlo nella belletta. L'avevano preso per un travicello.
Ma travicello non era. Eccolo, di nuovo a galla, sibilar dalle pagine della seconda edizione.
* * *
Io ebbi a scrivere, e la penna mi esitò allora a lungo fra le dita, tanto alla mia ingenuità sembrava superflua la dichiarazione, che assai differente è la disposizione del mio spirito verso la cultura tedesca e verso la cultura italiana (pag. 130). Poniamo che esse siano, come io sostengo, due malate. Ebbene, vada la prima in isfacelo; e date, date pietre a sotterrarla, rovine di Ypres e di Lovanio, di San Quintino e di Reims, di Asiago e d'Aquileia. Ma la cultura italiana si vuol curare con affetto di figli. E con una malata occorre aver pazienza, molta pazienza, e tollerarne in pace i malumori irragionevoli, gli scatti inconsulti, i violenti rabbuffi.
Sí. Ma non già fingere di non vedere i suoi mali. Sarebbe rea compassione. Ora, accanto ai sintomi che io già ebbi a svelare, ecco, e appunto sotto lo stimolo del mio libro, sono apparse altre stimmate. E stimmate vergognose.
* * *
Minerva e lo Scimmione è un libro di battaglia: e, se volete, d'attacco. Io combatto metodi e idee. E poiché dietro i metodi e le idee ci sono gli uomini, ché mai non mi sedusse il diporto d'affrontare mulini a vento, giustificabile, anzi desiderabile sarebbe stato che i paladini delle idee da me combattute insorgessero a difenderle.
Ma perché io mi limitavo appunto a combattere le idee, e il dissenso, anche grave, in problemi intellettuali, non implica offesa, anche ai miei contradittori incombeva il dovere di attenersi alle armi legittime d'ogni polemica: le argomentazioni, la eloquenza, l'ironia. E se queste armi avessero rivolte contro me, ragione contro ragione, passione contro passione, davvero non avrei avuto diritto di recriminare.
Invece si è seguita un'altra via: si è tentato di sopraffare il mio libro e me stesso con metodi che ricordano tempi e disposizione d'animi che da un pezzo dovrebbero essere sepolti. Mi spiace tediare il lettore con tali miserie; ma è necessario per le mie conclusioni. E, d'altra parte, in tutti questi maneggi è una punta d'involontaria comicità che ne tempera la squallida sciocchezza.
Si è dunque organizzato un vero e proprio attacco, suddiviso in varie fasi, che, se nell'ordine reale di svolgimento presentarono qualche interferenza, nel prestabilito ordine teorico si possono allineare nel seguente modo.
A — Avvisaglia d'una banda di anonimi (cinque), che, in giornaletti clandestini o in libelli volanti, spediti, senza riguardo a spesa, a tutti i «centri di cultura», proponevano e svolgevano i tèmi seguenti:
1) Il mio libro non era frutto di convinzione sincera, né rivolto a combattere metodi e idee. Attraverso queste, volevo colpire uomini odiati.
2) Era ispirato ad opportunità politica.
3) Tanto vero che prima della guerra ero appassionato ammiratore della Germania. — A questa ultima ridicola asserzione risponde il mio volume Vigilie italiche, Breviarî intellettuali, N. 99.
B — Uno degli anonimi, emulo dei costumi del cúculo, aveva deposte le sue note nell'opuscolo non anonimo d'un minuscolo filologo scientifico. In questo opuscolo si discutevano, in due capitoli differenti, il mio Scimmione, e i libri di testo d'un professore di storia che ha da solo piú ingegno di tutti i filologi scientifici messi in fascio, e che in un suo articolo aveva denunciata la infecondità e la miseria d'un insegnamento impartitogli dalla cattedra universitaria col piú severo «metodo filologico scientifico». Questo accoppiamento di bersagli, anodino in apparenza, spianò man mano la via ai piú subdoli equivoci.
C — Un giornalista fece in una grande effemeride una lunga recensione dell'opuscolo. E cosí, accortamente sanato il difetto dell'anonimia, ebbero modo di venire alla luce non solo gli argomenti, chiamiamoli cosí, del piccolo filologo firmato, ma anche, e di preferenza, le insinuazioni e le calunnie dell'occulto cúculo postillatore.
D — Il medesimo giornalista si diede a intervistare persone autorevoli, e a sollecitare la loro opinione intorno al mio libro. All'affettuoso grido risposero quattro professori, tutti e quattro dell'Istituto superiore di Firenze. Il giornalista dichiarò perentoriamente che essi erano «gli unici letterati e filologi in questo dibattito». Quelli, sicuri per tanto avallo, si impancarono, fieri e solenni, a giudicar la contesa. E i cuori ben fatti intenderanno di leggieri se mi diedero torto su tutta la linea.
* * *
Ora intendiamoci. Io non confondo il quartetto dei professori di Firenze col quintetto anonimo. Troppo ribaldo gesto sarebbe stato, in verità, avventarsi prima nel buio,