Verso la cuna del mondo: Lettere dall'India. Guido Gozzano
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Guido Gozzano
Verso la cuna del mondo: Lettere dall'India
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066069377
Indice
Prefazione
È bene che il lettore, chiuso questo libro del nostro caro morto Guido Gozzano, indugi un poco prima di giungere ad una conclusione sul suo significato e sul suo valore.
Udrà allora molti suoni fievoli e sordi comporsi in una triste armonia seduttrice; vedrà molte macchie di colore, che parevano buttate a caso, connettersi pei margini e formar quadro. Le tinte, elementari e franche, parevano, finché leggevamo, giustaposte. Il ricordo le modula, così come fa la distanza per certe tele del Segantini o del Previati.
Da principio non si vede altro ordine e legge che quelli della curiosità esotica. Si pensa a un De Amicis meno colto e ardito, a un Barzini meno esperto e potente. L'Italia deve molto a questa strana categoria di scrittori, tutta italiana. Dopo secoli di piè di casa, di provincialismo non senza odore d'aglio, ecco l'Italia nuova e avida di novità, un po' giapponese per l'ansietà d'avvenire, un po' americana per il disdegno delle catene tradizionali. V'è già un accenno di futurismo in questo viaggiare per viaggiare, così diverso dai viaggi intimi e psicologici dei romantici, in queste esplorazioni del settentrione e dell'Oriente, delle capitali brumose e dei fronti di battaglia. Sciami di circumnavigatori e di grandi reporters, ritornando in patria, non contribuivano soltanto a introdurvi il whisky and soda e il rasoio automatico; ma anche un certo numero d'impressioni fresche e d'idee elastiche, utili per mettere bene a fuoco l'obbiettivo dell'attenzione nostra; ed anche un certo numero di parole giovani, d'immagini acri, di temerità sintattiche, delle quali la tecnica sperimentale delle nuove scuole poetiche ha fatto un'orgia, ma che daranno qualche buon frutto nella poesia di domani. Lo stesso d'Annunzio dell'inno ad Ermes, il d'Annunzio di Corrado Brando e degli Ulissidi, si ricollega, almeno in parte, a questa tendenza, ch'era già preannunziata nel Carducci innografo della locomotiva.
Il Gozzano del viaggio in India desume le occasioni e i metodi da questa scuola. Ma, dentro di sé, è assai più romantico e sentimentale, con molto maggiori affinità ai viaggiatori sterniani. In India cercava soprattutto se stesso, il se stesso fisico e morale: un po' di buona salute, un po' di quiete e d'oblio promessigli dalla dottrina vagamente intravveduta del nirvana, e forse un ampliamento del suo dolce orizzonte canavesano. Cercava anche le farfalle — ch'egli adorava, egli così magro e fragile e occhiuto, egli così simile a una povera farfalla dall'ali bruciate —: le farfalle sotto archi anche più grandi che quello di Tito.
I suoi tentativi d'interessarsi alle cose esterne, quali sono realmente, non mancano: ma scissi, deboli, abbandonati ben presto quasi col gesto pallido e febbrile con cui l'incurabile rifiuta la pozione accostata alle labbra in una velleità di speranza. Né la salsedine può rifabbricargli i polmoni, né le lontananze esotiche possono nutrirgli l'anima che ha ormai compiuto il suo ciclo e si consuma in sé medesima. Non ignora certo Kipling, eppure non lo ricorda mai, perfino temendo la vicinanza di quell'imperiale britannico appetito di esistere; e i suoi occhi, già colmi di penombra, non sostengono le policromie fragorose che Gauguin cercava pei mari australi. Ammira gl'inglesi conquistatori e organizzatori, senza che questa ammirazione oltrepassi l'accento giornalistico e tocchi la soglia della storia. Ha appreso lì per lì, non senza sazietà e noia, le alcune cose che ci riferisce; e a lui, così vicino al gelo dell'eternità, la storia non è ormai che una lacrimevole commedia di equivoci in uno scenario orpellato. E tale gli era parsa, anche prima, immutabilmente; e non v'è nulla che neghi il carduccianesimo epico quanto l'Amica di Nonna Speranza: obbiezione nichilistica pronunciata con tanto più radicale decisione quanto più semplice e cordiale vi è la modestia del discorso. Perciò quasi non gli costa fatica la lealtà di confessare che, prima di sbarcare in India, confondeva i Parsi coi Paria. Nessuna dissimulazione d'ignoranza, nessuna pretesa di sapienza. Le cose che guarda sono spesso «buffe ed assurde». «Buffa ed assurda questa torre, circondata di alti palmizi, alternati alle aste della luce elettrica e del telegrafo, buffi ed assurdi quest'automobile e noi che sostiamo su questo pendio come dinanzi ad un aereodromo, a un ippodromo occidentale...» Tra l'incomprensibile passato e l'impossibile avvenire egli vacilla in un'ondulazione inconsistente — che è il ritmo lirico di queste sue prose — come uno che vada innanzi, su una passerella tarlata, certo in cuor suo che da un istante all'altro cadrà nell'abisso.
Poi tornò in Italia. E vennero i giorni di questa immensa rappresentazione storica. Bisognava credere nella realtà della storia, o sparire. Ma egli, Gozzano, già da tanto tempo amava le farfalle, il simbolico animale della rinunzia nel fuoco trasfiguratore. Già da tanto tempo aveva detto addio alle donne, agli amici, alle immagini care. Partì silenzioso — per un viaggio più lungo — verso il mitico buio Occidente, questa volta, ove tramonta il desiderio.
*
Anche allora, in India, aveva sperato questa pace. Sapeva delle dottrine orientali, vagamente. Ma era troppo stanco e sfiduciato per un pellegrinaggio ascetico; e, in fondo, soffriva troppo per imporsi penitenze. Nella terra ove fu rinnegata «la ruota delle cose» e fu celebrato il silenzio, udiva invece il frastuono di una barbarica idolatrica polifonìa. E doveva oscuramente riconoscere d'essere troppo artista perché gli riuscisse facile la condanna dei sensi.
Un odore di sensualità esotica circola qua e là per queste pagine. Ma ha qualcosa di chiuso,