Il Colpo. Kate Rudolph
quella scintilla di magia che qualsiasi strega normale sprigionava. Ma quando si arrivava al punto, sapeva sempre che lui era Bob e che era lì per lei. Non c’era bisogno di altro, per quel che la riguardava.
Mel si diresse al tavolo dei suoi soci, sedendosi di fronte a loro. Ad un suo cenno, Krista attivò una barriera di deviazione del suono. Avrebbe distorto tutto ciò che dicevano in modo che nessuno intorno a loro potesse capire il senso della loro conversazione, ma lasciando che comunque si sentisse il mormorio delle loro voci. Nessuno aveva mai fatto domande al riguardo e quella magia era così impercettibile che nemmeno Mel, con i suoi affinati sensi all’erta, riusciva a rilevarla.
“Allora, perché ci hai voluto qui?” chiese Krista. “Pensavo che il lavoro di squadra non ti si addicesse più.” C’era una nota tagliente nella sua voce, e Mel sapeva che era giustificata.
“È stata Tina a propormi il lavoro.” Krista inarcò le sopracciglia serrando le labbra, e Mel continuò. “E non c’è la minima possibilità che io possa farcela da sola. Mi fido di voi due più che di chiunque altro per aiutarmi a portarlo a termine.”
“Lo Smeraldo Scarlatto?” chiese Bob, con la voce piatta di sempre. “Pensi che io abbia istinti suicidi, micetta?”
Mel serrò i pugni sentendo quel nomignolo. Bob doveva essere davvero incazzato. “Sì. E come pagamento potete avere qualsiasi oggetto vogliate dalla mia raccolta. Uno a testa.” Sarebbe stata disposta a dividere a metà la sua collezione e a dare via tutto in cambio di Ava. Ma non era necessario arrivare a questo.
“E hai dovuto portarci nel territorio dei mutaforma per questa offerta?” Krista non sembrava soddisfatta. “Noi due abbiamo probabilmente violato tre trattati solo per aver preso un aereo fino a qui, per non parlare del fatto che siamo seduti in un bar a venti chilometri di distanza dal castello del Re dei Leoni!” Se non ci fosse stata la necessità di non dare nell’occhio la donna più giovane avrebbe battuto il pugno sul tavolo. “Queste sono solo stronzate manipolatorie, Mellie, non funzionano con me. Se mi vuoi per un lavoro, basta chiedere.”
Bob non disse nulla, ma annuì in segno di assenso.
Mel si prese un momento, e cercò di scaricare la tensione dalle spalle. “Mi aiuterete a rubare lo Smeraldo Scarlatto? Non posso farcela senza di voi.” Non fu nemmeno doloroso ammetterlo, non nei confronti di Bob e Krista. Fu una sorpresa.
I suoi soci si scambiarono un sorrisetto. “E quel diamante grosso come il pugno di Bob?”
Mel sapeva esattamente di cosa stesse parlando Krista. Ci erano voluti sei mesi di pianificazione per rubarlo. “È tuo.” Guardò Bob.
Lui scrollò le spalle. “Sono sicuro che troverò qualcosa.” Lo avrebbe fatto, lo faceva sempre.
Mel si sporse in avanti, con i gomiti sul tavolo. Poteva quasi sentire la voce di sua madre che le urlava di toglierli da lì. “Sarà complicato. Non ci sono planimetrie ufficiali, nessun dettaglio sui sistemi di sicurezza. E sono mutaforma, il che significa che rubare qualcosa a loro è circa venti volte più difficile che a chiunque altro, fatta eccezione forse per un edificio protetto da una congrega di streghe.”
Krista fu irritata da quell’apprezzamento. “Prova a derubare una congrega senza qualcuno che rompa le barriere.”
“Non c’è niente negli archivi della contea?” chiese Bob.
Mel sorrise. “Stando alla loro documentazione il signor Torres vive in una casa a due piani di centotrenta metri quadrati, con tre camere da letto e due bagni.” Estrasse dalla borsa una cartellina e dispose le fotografie sul tavolo di fronte a loro.
Castello non era proprio la definizione corretta per la casa di Torres. Era troppo moderna, tutta linee rette e cemento, con finestre piccole al piano terra e leggermente più grandi a partire dal quarto piano. L’intero edificio era alto quanto gli alberi intorno, i cui rami per fortuna si avvicinavano fin quasi a toccarlo. Dal punto di vista difensivo era una scelta stupida, ma un felino evidentemente non poteva resistere al richiamo della foresta.
“È evidente che la contea ha documenti contraffatti.” Mel guardò Krista. “Come puoi farmi entrare?”
Anche se Krista era in grado di fare a botte e avrebbe preso a pugni chiunque si fosse azzardato a guardarla male, i suoi veri talenti erano la ricognizione e la magia tattica. “Ho qualcosa per te. In un paio d’ore dovrei riuscire a ottenere una rappresentazione interna accettabile.”
Perfetto. “Quando puoi iniziare?”
Krista sorrise. “Stasera. Sono mesi che aspetto di poter usare quel gioiellino.” Krista amava creare dispositivi magici che potevano infiltrarsi anche nei luoghi più protetti.
Mel rabbrividì e si guardò intorno. Un uomo con un giubbotto di pelle aveva appena varcato la soglia. Quando lei lo guardò, fu come se un filo scoperto le avesse dato una scossa elettrica direttamente nel petto, oltre che altrove. L’uomo emanava un’energia primordiale. Mel distolse bruscamente lo sguardo. “Sembra che il grande capo sia qui. Potete muovervi subito? Vi faccio guadagnare un po’ di tempo per sistemare tutto.” In assenza dell’alfa, il pericolo di fare un sopralluogo sarebbe stato minimo. Se c’erano persone in grado di farlo, quelle erano Krista e Bob.
I suoi compagni di cospirazione si scambiarono uno sguardo e iniziarono una conversazione silenziosa fatta di mutevoli espressioni del viso, così velocemente che Mel non riusciva a coglierne il significato. Non era telepatia, semplicemente avevano lavorato insieme così a lungo che alcuni scambi non necessitavano di avvenire ad alta voce. Bob finalmente annuì. “Cerca di procurarci più tempo che puoi, ma in ogni caso trattienilo qui per almeno venti minuti. Ci ritroviamo alla baita fra tre ore,” disse Krista. Mel fece un cenno di assenso. Aveva preso in affitto per un mese una bella baita per vacanze nella periferia della città, appena oltre la linea di confine che separava la contea dal territorio di Luke Torres. Se lui in seguito avesse parlato del colpo con le persone giuste alla fine avrebbe capito chi era stato ad organizzarlo, ma lei non voleva che ci potesse arrivare semplicemente controllando i registri dei due motel della città.
Krista disattivò la barriera e l’odore dei felini che erano appena entrati quasi la travolse, ma riuscì a rimanere impassibile. Lei e Bob uscirono senza dare nell’occhio e Mel non li guardò allontanarsi. Il suo sguardo si rivolse all’alfa.
Aveva del lavoro da fare.
C’era qualcosa che non andava all’Eagle Creek. Luke lo percepì nell’istante stesso in cui varcava la soglia. A prima vista, tutto sembrava normale. Quasi tutti i presenti vivevano in città, anche se notò la famigliola che aveva fatto tappa al Sid’s Motel mentre attraversava le montagne. Ma loro non erano un problema, erano completamente umani e ignari del fatto che ci fossero persone che non lo erano.
Si avvicinò al bancone, che Sinclair stava tirando a lucido. “Qualche novità?”
La barba dell’uomo gli copriva metà del viso ed era lunga diversi centimetri. Celava un brutto groviglio di cicatrici, e oscurava la linea della mascella abbastanza da nascondere il fatto che tempo prima era stato violentemente colpito in pieno volto. Lo faceva anche sembrare più vicino ai sessanta che ai trenta, ma quelli erano affari suoi. “Vince e gli altri sono fuori sul retro a fumare. Hanno preso un tavolo. Non hanno fatto niente da quando sono arrivati.”
Proprio il gruppo che Luke aveva necessità di incontrare. Vince Hardy e i suoi compari erano esattamente il tipo di stronzetti con cui non avrebbe voluto avere a che fare in quel momento. “E i nostri ospiti?”
La barba di Sinclair si mosse mentre lui sorrideva. “Quali?”
La domanda lasciò Luke interdetto. Qualcuno doveva essere arrivato in città dopo aver ricevuto il suo aggiornamento. Per quanto sembrasse assurdo, con il summit in programma entro due settimane aveva bisogno di un sistema di sicurezza blindato. Nessun estraneo in città di cui non fosse a conoscenza, nessuna sorpresa. “Della famiglia so già