Gli Isopodi Del Tempo. Angel Martinez

Gli Isopodi Del Tempo - Angel Martinez


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stava impugnando, cercando di colpire qualcosa di altrettanto immaginario nell’aria. Non sapendo bene se dovesse buttarlo di nuovo in terra o lasciare solo che superasse la sua allucinazione, Vikash indietreggiò contro il piedistallo della statua.

      «Kash! Che cazzo sta succedendo laggiù? Ci farebbe comodo…»

      Tra una parola e la successiva, la voce di Kyle si mozzò. Il parco scomparve e Vikash si ritrovò a battere le palpebre in un luogo di luce abbagliante e strani suoni.

      «Kyle?» chiamò con impotente angoscia, strozzandosi per la paura. Era successo qualcosa. Stava avendo le allucinazioni come Vance. Resta fermo. Resta solo fermo e lascia che Kyle venga a prenderti. Niente panico. Deve essere una cosa temporanea.

      «Saluti. Le serve aiuto?»

      Vikash sobbalzò e si girò verso la voce. Una visione in una larga veste era in piedi accanto a lui, sorridente, gli occhi verdi che lo fissavano con innocente compassione. Lunghi capelli biondi scendevano sulle spalle della visione e, anche se Vikash si ritrovò incapace di comprenderne il genere, il volto di quella persona era dolorosamente familiare. «Kyle?»

      «No. Sono Cirrus. Ma potrei essere Kyle se volesse che lo fossi». Cirrus rise, e perfino quel basso suono sensuale era come quello di Kyle quando stava flirtando. «È un ricostruttore? È stato separato dalla sua troupe video?»

      «Ah. Uhm». Vikash osservò ciò che lo circondava ora che i suoi occhi si erano abituati, sentendosi più stupido a ogni momento che passava. Erano su una superficie bianca e luccicante simile a porcellana che si muoveva fluida sotto i loro piedi. Enormi guglie di vetro e cromo svettavano sopra di loro, occupando la maggior parte del cielo. Quel poco di cielo che riusciva a vedere era di un impietoso blu, perfino più dolorosamente luminoso del cielo invernale che si era appena lasciato alle spalle nel parco.

      «È davvero perso, non è così?»

      «Perso. Sì», mormorò Vikash mentre passavano accanto a una vetrina che esponeva blocchi porosi e colorati.

      «Oh, ha fame! Questo spiega lo sguardo velato». La risata di Cirrus fu più viva stavolta, felice e disinibita. Lui… lei… afferrò la mano di Vikash e si affrettò lungo il marciapiede mobile. «Non vuole mangiare lì. Le prot sono davvero troppo gessose. Conosco un posto dove il cibo è buono da morire».

      Non riuscendo a pensare a una buona obiezione, , Vikash si lasciò trascinare. Altri pedoni lo fissavano, ma sembravano più intrigati che ostili, e la loro attenzione era più concentrata sulla sua uniforme che sulle mani intrecciate. «Io… Dove?»

      «Dove stiamo andando? Proprio dietro l’angolo. Non è lontano».

      «No, dove…» Non voglio fare questa domanda. Non voglio davvero. «Dove sono?»

      Cirrus si fermò e rifletté per un attimo. «Intende in che via?»

      «Sono ancora sulla Terra?»

      La risata successiva fu interrotta da un’esclamazione sconvolta. «È serio, non è vero?» Cirrus gli rigirò la mano, accarezzando con cautela la pelle del suo polso. «Ha preso qualcosa di nuovo oggi? Non dovrebbe davvero accettare droghe dagli sconosciuti».

      «No…» Vikash notò la gente che passava oltre in fretta, alcuni in vesti semplici come quella della sua guida, altri con nulla più dell’equivalente di un lucido tanga brasiliano. «Io credo di essere stato… dislocato in qualche modo. Philadelphia. È lì che mi trovavo prima».

      «Questa è Philadelphia». Cirrus socchiuse gli occhi. «Scommetto che so di che si tratta. Sta facendo una rappresentazione storica. Ventesimo, ventunesimo secolo magari? E hanno delle nuove pillole di pelle che ti mandano completamente nel personaggio. Ma si è allontanato dalla sua troupe. Poverino. Non mi meraviglia che sia tanto disorientato».

      «Storica.

      «Esatto».

      «Che secolo è questo?»

      «Ventitreesimo, sciocco. No, mi dispiace». Cirrus gli riprese la mano e ripartì al suo ritmo affrettato. «Non è giusto. Lei non lo sa al momento. Non si preoccupi. Resterò con lei e se non passerà entro un paio d’ore la porterò a un centro di cura. Senta, non ha un contatto di emergenza nei suoi impianti da qualche parte?»

      «Impianti?»

      «Sono stati approfonditi, glielo concedo. Dovrò scambiare qualche parola con la sua troupe quando la troviamo». Cirrus gli rivolse un altro snervante sorriso Kyle-esco prima di trascinarlo verso quella che sembrava essere una solida lastra di vetro.

      Vikash si impuntò, tirandosi indietro fino a quando la mano e la spalla di Cirrus non furono passate attraverso la barriera. «Come…?» Ma come sapevi che era una porta sembrava una domanda troppo ridicola da fare, perciò rimase in silenzio, preferendo osservare. Se in qualche modo era davvero scivolato in avanti nel tempo, doveva apprendere in fretta, aggrapparsi alle piccole cose familiari, o impazzire.

      La stanza in cui Cirrus lo tirò era fortemente illuminata, con colorati mosaici astratti che coprivano pareti incurvate in nicchie, grotte e caverne in miniatura. C’erano persone radunate attorno a sottili piedistalli con sopra quelli che sembravano essere fiori sgargianti con lunghi pistilli fallici. La maggioranza degli occupanti, a prescindere dall’età, indossavano poco o niente. Nessuno nascondeva i rotolini o gli afflosciamenti dovuti all’età, tutti erano del tutto a loro agio indipendentemente dal tipo di fisicità. Vikash si ritrovò acutamente in imbarazzo e incerto sul fatto che fosse o meno educato fissarli. Finì col guardarsi le scarpe.

      Cirrus lo rimorchiò verso un piedistallo floreale non occupato. «Il prot saporito è il migliore qui, ma anche quello speziato è buono. O preferirebbe un veg?»

      «Uh?»

      «È piuttosto sicuro che stia avendo un crollo nutritivo». Cirrus gli diede una pacca sulla mano e osservò lo strano fiore color cannella e chartreuse davanti a loro. «Uno di ognuno, penso. Qual è il suo nome, bell’uomo?»

      «Vikash».

      «Carino. Molto insolito».

      Con le dita sotto l’estremità di uno dei pistilli, che a Vikash sembravano tutti identici, Cirrus rimase immobile mentre l’apertura espelleva una pastosa sostanza arancione dando forma a un cubo perfetto. Il processo venne ripetuto con sei pistilli diversi: cubi rosso, verde, blu, viola, giallo fluorescente e a strisce arcobaleno si unirono a quello arancione. Cirrus posizionò ogni cubo su un vassoio rotondo di ceramica, poi offrì l’intera selezione a Vikash. Lui prese il vassoio, cercando di non restare a bocca aperta, anche se una cauta occhiata attorno a sé gli mostrò altre persone che mangiavano quelle cose. A quanto pareva, quello era cibo del ventitreesimo secolo.

      Prese il cubo arancione, forse quello che si avvicinava di più al colore di cibo vero, e ne morse un angolo. La consistenza era strana, un incrocio tra una mousse e un macaron, ma c’erano accenni di mandorla e sesamo, cardamomo e zenzero. Il resto andò giù in due morsi ansiosi.

      «Buono, eh? Meglio della roba che si ha da Serra». Cirrus si tolse la veste, rivelando un tanga rosso mela candita al di sotto. Petto piatto, longilineo, Vikash ancora non era sicuro.

      «Mi dispiace. Non voglio essere maleducato, ma che pronomi usi?»

      «Pronomi?» Cirrus ottenne un cubo blu e se lo mise in bocca intero.

      «Lui? Lei?»

      «Oh, ora sta solo lucidando i poligoni per divertimento».

      Vikash mordicchiò il cubo blu, traendone accenni di frutta anche se non avrebbe saputo dire di che genere. «Non ho idea di che significhi».

      Cirrus scosse la testa, la splendida fitta chioma di capelli che faceva da contrappunto alla sua incredulità. «Non possono aver… Hanno davvero bloccato tutto? Insomma, questo è portare il realismo nelle produzioni un po’ troppo oltre».

      «Non so cosa mi sia successo. Per favore. Io penso… Non so niente».

      «Spero che quelle droghe


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