La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери
per entro i pensier miran col senno!
121 El disse a me: «Tosto verrà di sovra
ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
tosto convien ch’al tuo viso si scovra».
124 Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna
de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,
però che sanza colpa fa vergogna;
127 ma qui tacer nol posso; e per le note
di questa comedìa, lettor, ti giuro,
s’elle non sien di lunga grazia vòte,
130 ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro
venir notando una figura in suso,
maravigliosa ad ogne cor sicuro,
133 sì come torna colui che va giuso
talora a solver l’àncora ch’aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
136 che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.
Canto XVII
«Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».
4 Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
vicino al fin d’i passeggiati marmi.
7 E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
ma ’n su la riva non trasse la coda.
10 La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d’un serpente tutto l’altro fusto;
13 due branche avea pilose insin l’ascelle;
lo dosso e ’l petto e ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle.
16 Con più color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari né Turchi,
né fuor tai tele per Aragne imposte.
19 Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come là tra li Tedeschi lurchi
22 lo bivero s’assetta a far sua guerra,
così la fiera pessima si stava
su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.
25 Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in sù la velenosa forca
ch’a guisa di scorpion la punta armava.
28 Lo duca disse: «Or convien che si torca
la nostra via un poco insino a quella
bestia malvagia che colà si corca».
31 Però scendemmo a la destra mammella,
e diece passi femmo in su lo stremo,
per ben cessar la rena e la fiammella.
34 E quando noi a lei venuti semo,
poco più oltre veggio in su la rena
gente seder propinqua al loco scemo.
37 Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena
esperienza d’esto giron porti»,
mi disse, «va, e vedi la lor mena.
40 Li tuoi ragionamenti sian là corti;
mentre che torni, parlerò con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti».
43 Così ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio tutto solo
andai, dove sedea la gente mesta.
46 Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
di qua, di là soccorrien con le mani
quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:
49 non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo or col piè, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani.
52 Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
ne’ quali ’l doloroso foco casca,
non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi
55 che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch’avea certo colore e certo segno,
e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
58 E com’ io riguardando tra lor vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro
che d’un leone avea faccia e contegno.
61 Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
vidine un’altra come sangue rossa,
mostrando un’oca bianca più che burro.
64 E un che d’una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
67 Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
sappi che ’l mio vicin Vitaliano
sederà qui dal mio sinistro fianco.
70 Con questi Fiorentin son pado ano:
spesse fiate mi ’ntronan li orecchi
gridando: «Vegna ’l cavalier sovrano,
73 che recherà la tasca con tre becchi!»».
Qui distorse la bocca e di fuor trasse
la lingua, come bue che ’l naso lecchi.
76 E io, temendo no ’l più star crucciasse
lui che di poco star m’avea ’mmonito,
torna’mi in dietro da l’anime lasse.
79 Trova’ il duca mio ch’era salito
già su la groppa del fiero animale,
e disse a me: «Or sie forte e ardito.
82 Omai si scende per sì fatte scale;
monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,
sì che la coda non possa far male».
85 Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,
e triema tutto pur guardando ’l rezzo,
88 tal divenn’ io a le parole porte;
ma vergogna mi fé le sue minacce,
che innanzi a buon segnor fa servo forte.
91 I’ m’assettai in su quelle spallacce;
sì volli dir, ma la voce non venne
com’ io credetti: ’Fa che tu m’abbracce’.
94 Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch’i’ montai
con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
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