Decameron. Giovanni Boccaccio
che io ami, questo non dee esser maraviglia a alcun savio, e spezialmente voi, per ciò che voi il valete. E come che agli antichi uomini sieno naturalmente tolte le forze le quali agli amorosi essercizii si richeggiono, non è per ciò lor tolto la buona volontà né lo intendere quello che sia da essere amato, ma tanto più dalla natura conosciuto, quanto essi hanno più di conoscimento che i giovani. La speranza, la qual mi muove che io vecchio ami voi amata da molti giovani, è questa: io sono stato più volte già là dove io ho vedute merendarsi le donne e mangiare lupini e porri; e come che nel porro niuna cosa sia buona, pur men reo e più piacevole alla bocca è il capo di quello, il quale voi generalmente, da torto appetito tirate, il capo vi tenete in mano e manicate le frondi, le quali non solamente non sono da cosa alcuna ma son di malvagio sapore. E che so io, madonna, se nello elegger degli amanti voi vi faceste il simigliante? E se voi il faceste, io sarei colui che eletto sarei da voi, e gli altri cacciati via.»
La gentil donna, insieme con l’altre alquanto vergognandosi, disse: «Maestro, assai bene e cortesemente gastigate n’avete della nostra presuntuosa impresa; tuttavia il vostro amor m’è caro, sì come di savio e valente uomo esser dee, e per ciò, salva la mia onestà, come a vostra cosa ogni vostro piacere imponete sicuramente.»
Il maestro, levatosi co’ suoi compagni, ringraziò la donna: e, ridendo e con festa da lei preso commiato, si partì. Così la donna, non guardando cui motteggiasse, credendo vincer fu vinta: di che voi, se savie sarete, ottimamente vi guarderete.
CONCLUSIONE
Già era il sole inchinato al vespro e in gran parte il caldo diminuito, quando le novelle delle giovani donne e de’ tre giovani si trovarono esser finite.
Per la qual cosa la loro reina piacevolemente disse: – Omai, care compagne, niuna cosa resta più a fare al mio reggimento per la presente giornata se non darvi reina nuova, la quale di quella che è a venire, secondo il suo giudicio, la sua vita e la nostra a onesto diletto disponga. E quantunque il dì paia di qui alla notte durare, per ciò che chi alquanto non prende di tempo avanti non pare che ben si possa provedere per l’avvenire e acciò che quello che la reina nuova dilibererà esser per domattina oportuno si possa preparare, a questa ora giudico doversi le seguenti giornate incominciare. E per ciò, a reverenza di Colui a cui tutte le cose vivono e consolazione di voi, per questa seconda giornata Filomena, discretissima giovane, reina guiderà il nostro regno.
E così detto, in piè levatasi e trattasi la ghirlanda dello alloro, a lei reverente la mise, la quale essa prima e appresso tutte l’altre e i giovani similemente salutaron come reina, e alla sua signoria piacevolmente s’offersero.
Filomena, alquanto per vergogna arrossata veggendosi coronata del regno e ricordandosi delle parole poco avanti dette da Pampinea, acciò che milensa non paresse ripreso l’ardire, primieramente gli ufici dati da Pampinea riconfermò e dispose quello che per la seguente mattina e per la futura cena far si dovesse, quivi dimorando dove erano; e appresso così cominciò a parlare: – Carissime compagne, quantunque Pampinea, per sua cortesia più che per mia vertù, m’abbia di voi tutte fatta reina, non sono io per ciò disposta nella forma del nostro vivere dover solamente il mio giudicio seguire, ma col mio il vostro insieme; e acciò che quello che a me di far pare conosciate, e per conseguente aggiugnere e menomar possiate a vostro piacere, con poche parole ve lo intendo di dimostrare. Se io ho ben riguardato oggi alle maniere da Pampinea tenute, egli me le pare avere parimente laudevoli e dilettevoli conosciute; e per ciò infino a tanto che elle o per troppa continuanza o per altra cagione non ci divenisser noiose, quelle non giudico da mutare. Dato adunque ordine a quello che abbiamo già a fare cominciato, quinci levatici, alquanto n’andrem sollazzando e, come il sole sarà per andar sotto, ceneremo per lo fresco, e dopo alcune canzonette e altri sollazzi sarà ben fatto l’andarsi a dormire. Domattina, per lo fresco levatici, similmente in alcuna parte n’andremo sollazzando come a ciascuno sarà più a grado di fare, e, come oggi avem fatto, così all’ora debita torneremo a mangiare, balleremo; e da dormir levatici, come oggi state siamo, qui al novellare torneremo, nel quale mi par grandissima parte di piacere e d’utilità similmente consistere. È il vero che quello che Pampinea non poté fare, per lo esser tardi eletta al reggimento, io il voglio cominciare a fare: cioè a ristrignere dentro a alcun termine quello di che dobbiamo novellare e davanti mostrarlovi, acciò che ciascuno abbia spazio di poter pensare a alcuna bella novella sopra la data proposta contare. La quale, quando questo vi piaccia, sia questa: che, con ciò sia cosa che dal principio del mondo gli uomini sieno stati da diversi casi della fortuna menati, e saranno infino al fine, ciascun debba dire sopra questo: chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla speranza riuscito a lieto fine.
Le donne e gli uomini parimente tutti questo ordine commendarono e quello dissero da seguire; Dioneo solamente, tutti gli altri tacendo già, disse: – Madonna, come tutti questi altri hanno detto, così dico io sommamente esser piacevole e commendabile l’ordine dato da voi. Ma di spezial grazia vi cheggio un dono, il quale voglio che mi sia confermato per infino a tanto che la nostra compagnia durerà, il quale è questo: che a questa legge non sia costretto di dover dire novella secondo la proposta data, se io non vorrò, ma qual più di dire mi piacerà. E acciò che alcun non creda che io questa grazia voglia sì come uomo che delle novelle non abbia alle mani, infino da ora son contento d’esser sempre l’ultimo che ragioni.
La reina, la quale lui e sollazzevole uomo e festevole conoscea e ottimamente s’avisò questo lui non chieder se non per dovere la brigata, se stanca fosse del ragionare, rallegrare con alcuna novella da ridere, col consentimento degli altri lietamente la grazia gli fece. E da seder levatasi, verso un rivo d’acqua chiarissima, quale d’una montagnetta discendeva in una valle ombrosa da molti albori fra vive pietre e verdi erbette, con lento passo se n’andarono. Quivi, scalze e con le braccia nude per l’acqua andando, cominciarono a prendere varii diletti fra se medesime. E appressandosi l’ora della cena, verso il palagio tornatesi con diletto cenarono; dopo la qual cena, fatti venir gli strumenti, comandò la reina che una danza fosse presa e, quella menando la Lauretta, Emilia cantasse una canzone da’ leuto di Dioneo aiutata. Per lo qual comandamento Lauretta prestamente prese una danza e quella menò, cantando Emilia la seguente canzone amorosamente:
Io son sì vaga della mia bellezza,
che d’altro amor già mai
non curerò né credo aver vaghezza.
Io veggio in quella, ognora ch’io mi specchio,
quel ben che fa contento lo ’ntelletto:
né accidente nuovo o pensier vecchio
mi può privar di sì caro diletto.
Quale altro dunque piacevole obgetto
potrei veder già mai
che mi mettesse in cuor nuova vaghezza?
Non fugge questo ben qualor disio
di rimirarlo in mia consolazione:
anzi si fa incontro al piacer mio
tanto soave a sentir, che sermone
dir nol poria né prendere intenzione
d’alcun mortal già mai,
che non ardesse di cotal vaghezza.
E io, che ciascuna ora più m’accendo
quanto più fisi tengo gli occhi in esso,
tutta mi dono a lui, tutta mi rendo,
gustando già di ciò ch’ei m’ha promesso:
e maggior gioia spero più dappresso
sì fatta, che già mai
simil non si sentì qui da vaghezza.
Questa ballatetta finita, alla qual tutti lietamente avean risposto, ancor che alcuni molto alle parole di quella pensar facesse, dopo alcune altre carolette fatte, essendo già una particella della brieve notte passata, piacque alla reina di dar fine alla prima giornata. E fatti torchi accender, comandò che ciascuno infino alla seguente mattina s’andasse a riposare: per che ciascuno alla sua camera tornatosi così fece.
GIORNATA SECONDA
FINISCE LA PRIMA GIORNATA DEL