Senilità. Italo Svevo
quella vergogna per lei e per se stesso.
S’avvicinò a Stefano Balli col proposito di fargli una promessa per cui la sua risoluzione fosse resa irrevocabile. Invece la vista dell’amico bastò a fargliela abbandonare. Perché non si sarebbe potuto divertire anche lui con le donne come faceva Stefano? Ricordò quale sarebbe stata la sua vita senz’amore. Da una parte la soggezione al Balli, dall’altra la tristezza d’Amalia, e null’altro. E non gli parve d’essere meno energico ora che poco prima; anzi, ora voleva vivere, godere anche a costo di soffrire. Avrebbe dimostrato energia nel modo con cui avrebbe trattato Angiolina, non nel fuggirla vigliaccamente.
Lo scultore lo accolse con una bestemmia brutale: – Sei vivo ancora? Bada che se, come sembrerebbe dalla tua faccia contrita, ti avvicini per chiedermi un favore, sprechi fatica e fiato. Bastardo!
Gli gridava nelle orecchie comicamente minaccioso, ma Emilio fu liberato da ogni dubbio. L’amico, parlandogli d’appoggio, gli aveva dato un buon consiglio; e chi meglio del Balli avrebbe potuto soccorrerlo in quei frangenti? – Te ne prego supplicò, – avrei un consiglio da chiederti.
L’altro si mise a ridere. – Si tratta d’Angiolina, nevvero? Non voglio saperne di cose che la concernono. E capitata fra noi a dividerci e ci stia, ma non mi secchi altrimenti.
Avrebbe potuto essere più brusco ancora che Emilio cionondimeno non avrebbe rinunziato ad averne il consiglio. Da quello doveva risultare la salvezza; Stefano, che tanto bene se ne intendeva, gli avrebbe indicata lui la via da seguirsi per continuare a godere senza più soffrire. In un solo istante giunse così dall’altezza di quel suo primo virile proposito alla più bassa abiezione: la coscienza della propria debolezza e la perfetta rassegnazione alla stessa. Chiamava aiuto! Avrebbe voluto conservare almeno l’aspetto della persona che domanda un semplice consiglio tanto per udire un parere altrui. Per un effetto meccanico, invece, quei gridi nelle orecchie lo resero supplichevole. Avrebbe avuto grande bisogno di venir accarezzato.
Stefano ne ebbe compassione. Lo prese ruvidamente pel braccio e lo trascinò seco verso la Piazza della Legna ove aveva lo studio. – Sentiamo. Se c’è aiuto possibile, sai bene ch’io te lo darò.
Commosso, Emilio si confessò. Sì. Ora lo sentiva chiaramente. La cosa era divenuta per lui molto seria, e descrisse il proprio amore, l’ansietà di vederla, di parlarle, la gelosia, il dubbio, il cruccio incessante e l’oblio perfetto d’ogni cosa che non avesse avuto attinenza a lei o al proprio sentimento. Poi parlò d’Angiolina come ora la giudicava in seguito al contegno ch’ella teneva sulla via, alle fotografie appese al muro della sua stanza e alla sua dedizione al sarto e ai loro patti. Parlandone sorrise più volte. L’aveva evocata alla mente, la vedeva lieta, ingenuamente perversa e le sorrideva senz’ira. Povera fanciulla! Ella ci teneva tanto a quelle fotografie da tenerle in parata sul muro, amava tanto di venir ammirata per la via da volere ch’egli stesso tenesse il registro delle occhiate lanciatele. Parlandone sentì che in tutto ciò non v’era offesa per chi aveva dichiarato di non cercare in lei che un giocattolo. Vero è che nel racconto non erano entrate tutte le sue osservazioni ed esperienze, ma quelle che ne erano rimaste fuori per il momento non esistettero più. Guardò il Balli con timidezza perché temeva di vederlo scoppiare in una risata, e fu soltanto la logica che lo costrinse a proseguire. Aveva dichiarato di volere un consiglio e doveva chiederlo. Il suono delle proprie parole echeggiava ancora nel suo orecchio ed egli ne trasse una conclusione come da parole altrui. Con grande calma, quasi avesse voluto far dimenticare il calore con cui aveva parlato fino a quel punto, chiese: – Non ti pare che visto che non so comportarmi come dovrei, farei bene a cessare da questa relazione? – Dissimulò di nuovo un sorriso. Sarebbe stato comico che il Balli, in buona fede, gli avesse dato il consiglio di lasciare Angiolina.
Ma Stefano diede subito prova della sua intelligenza superiore e non volle consigliare. – Capisci che io non posso mica consigliarti d’essere fatto altrimenti, – disse affettuosamente – Lo sapevo io che questa specie di avventure non era fatta per te. – Emilio pensò che, poiché Balli ne parlava a quel modo, i sentimenti di cui egli poco prima s’era tanto spaventato dovessero essere una cosa comune, e ne trasse un nuovo argomento di tranquillità.
S’avvicinò Michele, il servo del Balli, un uomo in età, antico soldato. In posizione di attenti disse al padrone qualche parola a mezza voce e s’allontanò dopo d’essersi levato il cappello con un gesto largo ma il corpo sempre immobile.
– Sono atteso nello studio, – disse il Balli con un sorriso. – E’ una donna ed è peccato che tu non possa assistere al nostro colloquio. Sarebbe molto istruttivo per te. – Poi ebbe una idea: – Vuoi che ci troviamo una sera in quattro? – Credette d’aver trovata la via per dare aiuto all’amico ed Emilio accettò con entusiasmo. Naturalmente! L’unico mezzo per poter imitare il Balli era di vederlo all’opera.
La sera Emilio aveva convegno con Angiolina al Campo Marzio. Nella giornata egli aveva meditati dei rimproveri. Ma ella venne per essere per qualche ora tutta sua; a Sant’Andrea, a quell’ora, non v’erano dei passanti che gliene rubassero l’attenzione. Perché avrebbe dovuto diminuire la felicità con dei litigi? Gli parve d’imitare meglio il Balli amando dolcemente e godendo di quell’amore, cui, la mattina, in un istante di follia, per poco non aveva rinunziato. Del suo risentimento non trapelò che una eccitazione che andò a dar anima alle sue parole, a tutta la serata che fu nel principio dolcissima. Stabilirono di dedicare una delle due ore che potevano passare insieme ad allontanarsi dalla città, l’altra a rientrare. Fu lui che fece la proposta volendo tranquillarsi camminando accanto a lei. Ci misero circa un’ora ad arrivare all’Arsenale, un’ora di felicità perfetta, nella notte chiara, in quell’aria limpida, rinfrescata da un autunno anticipato.
Ella sedette sul muricciuolo che fiancheggiava la via ed egli rimase in piedi dominandola tutta. Vedeva proiettarsi quella testa, illuminata da una parte dalla luce di un fanale, sul fondo oscuro: l’Arsenale che giaceva sulla riva, tutta una città, in quell’ora morta. – La città del lavoro! – disse egli sorpreso d’esser venuto là ad amare.
Il mare, chiuso dalla penisola di faccia, nascosto dalle case, nella notte era sparito dal panorama. Restavano le case sparse alla riva come su una scacchiera, poi, più in là, un vascello in costruzione. La città del lavoro pareva anche maggiore che non fosse. Alla sinistra, dei fanali lontani parevano segnarne la continuazione. Egli rammentò che quei fanali appartenevano ad un altro grande stabilimento situato sulla sponda opposta del vallone di Muggia. Il lavoro continuava anche là; era giusto che alla vista apparisse come la continuazione di questo.
Anch’ella guardava e, per un istante, Emilio si trovò col pensiero ben lungi dal suo amore. In passato egli aveva vagheggiato delle idee socialiste, naturalmente senza mai muover dito per attuarle. Come erano lontane da lui quelle idee! Ne ebbe rimorso come di un tradimento, perché egli sentiva le cessazioni da desideri e da idee, le sole sue azioni, come apostasìe.
Il piccolo malessere presto sparì. Ella chiedeva parecchie cose, specialmente intorno a quel colosso sospeso nell’aria ed egli le descrisse un varo. Nella sua vita di pedante solitario egli non aveva saputo conformare giammai il pensiero e le parole alle orecchie cui erano dirette e, invano, parecchi anni prima, aveva tentato d’uscire dal suo guscio e comunicare con la folla; s’era dovuto ritirare indispettito e sprezzante. Ora, invece, come era dolce evitare la parola o magari il concetto difficile, e farsi intendere. Come parlava era capace di spezzettare il proprio concetto liberandolo dalla parola con cui era nato, pur di veder passare un lampo d’intelligenza in quegli occhi azzurri.
Ma una grave stonatura anche allora venne ad interrompere tutta quella musica. Giorni prima egli aveva sentito raccontare un fatto che l’aveva assai commosso. Un astronomo tedesco, da una diecina di anni, viveva nel suo osservatorio, su una delle punte più alte delle Alpi, fra le nevi eterne. Il più vicino villaggio era situato un migliaio di metri sotto ai suoi piedi, e di là gli veniva portato giornalmente il cibo da una fanciulla dodicenne. Nei dieci anni, a mille metri il giorno di salita e di discesa, la fanciulla era divenuta grande e forte e bella, e lo scienziato ne fece sua moglie. Il matrimonio s’era celebrato poco prima nel villaggio, e, per viaggio di nozze, gli sposi erano saliti insieme alla loro abitazione. Fra le braccia di Angiolina egli vi ripensò; così avrebbe voluto possederla, a mille metri di distanza da qualunque altro uomo; così