Il processo Bartelloni. Jarro

Il processo Bartelloni - Jarro


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a dormire?

      – Sarò andato alla solita ora… quasi appena buio… non avendo mai avuto lume per vegliare, ed essendomi proibito dalla polizia di girare la notte.

      – E perchè la polizia ve lo aveva proibito?

      – Perchè alle volte, senz’accorgermene, cascavo per la strada, e mi addormentavo… e mi trovavano addormentato lungo i muri, sugli scalini delle porte: e spesso… dice… mi pigliavano le convulsioni: poi perchè i ragazzi mi davano noia… Una sera un branco di ragazzi mi si avventarono addosso verso le Loggie del Mercato Nuovo, mi portarono a forza di spinte nell’osteria dell’Impannataccia; là mi fecero bere; c’erano altri uomini, che mi misero le mani addosso, e fui trovato sotto una tavola ferito alla testa e tutto insanguinato…

      – Basta! Basta! – accennò il presidente – Voglio sapere…

      – Vostra Signoria mi perdoni! – interruppe in tuono cortese, ma serio, l’avvocato Arzellini, alzandosi. E tenendo nella mano destra il berretto e congiungendo i polpastrelli del pollice e dell’indice della mano sinistra, che agitava in aria, continuò nel gergo curialesco di allora:

      – Con licenza di V. S. io credo che il racconto dell’inquisito giovi all’interesse della difesa perchè ci dimostra come l’inquisito fosse inviso, perseguitato in mezzo a quella classe di mercatìni dalla quale il Fisco ha scelto le testimonianze più gravi, che si trovano nel suo libello…

      – Parlerà dopo, signor avvocato – osservò il presidente. – Ella entra ora nel merito…

      – È dovere del mio sacro ministero… ripigliava l’avvocato.

      – La prego!… – E il presidente accompagnò l’invito con un gesto affabile e risoluto.

      L’avvocato sedette, senza protestare, e in atto molto rispettoso.

      – Voi assicurate – disse il presidente indirizzandosi a Nello – che vi coricaste appena buio? Prima di addormentarvi, o durante il sonno avete sentito qualche rumore?

      – No, Eccellenza! – rispose Nello tutto intimorito. – Non mi pare.

      – Spiegateci, dunque, come accadde che essendo voi andato a dormire di prima sera, siete stato trovato la notte nel vostro letto tutto coperto di sangue? Come può essere avvenuto che un uomo sia stato assassinato, trascinato sino alla porta della vostra stanza, senza che voi abbiate udito il più piccolo rumore?

      – Ma, signor presidente! – tuonò l’avvocato Arzellini, alzandosi impetuoso. – Mi permetto far notare a V. S. che nessuno dei vicini ha udito alcun rumore.

      – Signor avvocato… non interrompa… la prego! – replicò asciutto e un po’ sconcertato il presidente. – Voi… Nello… siete stato trovato nel vostro letto, insanguinato… Ma non basta… Sotto il materasso furon trovati nascosti l’orologio, la catena, uno spillo rubati all’uomo che giaceva dinanzi alla vostra porta, e il pugnale col quale era stata fatta la ferita da lui riportata alla testa.

      – Il pugnale, la catena, l’orologio li ho presi io – rispose Nello, senza turbarsi, – ma l’uomo non l’ho assassinato io!

      – Dove e come avete preso questi oggetti, se dianzi avete asserito che vi coricaste di sì buon’ora e vi addormentaste?

      La mente di Nello già principiava a smarrirsi.

      Egli non sapeva dare alcuna risposta.

      – E voi siete in mendacio – proseguì il presidente, parlando con molta rapidità – poichè, mentre asserite di esser rimasto a letto sin dalle prime ore della sera, ci è un testimonio, che abita nel palazzo della Cavolaja, il quale la sera del 14 gennaio, circa le 10, mentre egli suonava il violino, vi ha udito cantare nella Piazza Luna.

      Nello restò come fulminato.

      Nella sala, ove regnava il più profondo silenzio, si sarebbe sentito alitare una mosca.

      Ma ad un tratto, il silenzio fu turbato dai suoni di un organetto.

      Una specie di zingaro, che la polizia tollerava pe’ misteriosi servigi da lui resi, passava nella via de’ Librai, suonando un’arietta popolarissima.

      Nello, come già è noto al lettore, aveva una qualità, che si riscontra pure in molti poco sani della mente: una spiccata propensione alla musica.

      La memoria musicale però in lui aveva bisogno per agire, secondo già dicemmo, d’essere aiutata dal ritmo. Era incapace di ripetere le parole senza l’accompagnamento della musica, e di rammentarsene altro che cantando.

      Gli uomini di scienza conoscono questo fenomeno.

      Dopo le prime note dell’organetto, Nello, invece di rispondere alla interrogazione del presidente, cominciò a cantare.

      Cantava a squarciagola nella sala, come quando si trovava nella Piazza Luna.

      Lì per lì tutti furono presi da stupore.

      Poi nacque un baccano indiavolato.

      Il pubblico si agitava.

      Gli auditori, l’Avvocato fiscale, il cancelliere si alzarono.

      L’avvocato Arzellini si accostò, anch’egli meravigliato, al suo cliente.

      Ma già Lucertolo aveva steso una mano e sbarrato la bocca al mentecatto.

      Nessuno capiva la vera ragione di quel canto improvviso.

      Neppure uno tra coloro, che si trovavano nella sala, dubitò di attribuire a impostura, a raffinata simulazione, quell’atto di demenza del disgraziato.

      – Impostore!

      – Ipocrita!

      – Birbante!

      – Assassino!

      Così il pubblico, e i birri, eccettuato Lucertolo, salutavano Nello.

      L’eccitazione era immensa.

      Specialmente dopo le risposte dell’inquisito, che avevano tanto aumentato, in apparenza, gl’indizii della sua colpabilità.

      – Silenzio! – gridò l’usciere.

      E tutti i birri rivolsero al pubblico le loro fisonomie accigliate.

      Lo zingaro continuava a suonare l’organetto.

      E Nello, appena Lucertolo gli ebbe lasciato la bocca libera, principiò di nuovo a cantare.

      Allora gli esecutori, ad un cenno del presidente, lo trassero fuori della sala.

      Ritornò due minuti dopo, tutto eccitato.

      Lo zingaro si era ormai allontanato nella direzione della piazza San Firenze e Nello non cantava più.

      Non rammentava anzi neppure di aver cantato.

      Il pubblico strabiliava, ma ormai nessuno osava più far mormorii o atti, che provocassero rigori, secondo gli ordini dati dal presidente.

      Il presidente fece a Nello un severo rabbuffo, gli spiegò come egli sempre più aggravava la sua condizione, tentando d’ingannare i giudici con mezzi tanto irrispettosi e grossolani, annunziandogli che, in separato giudizio, sarebbe stato chiamato a rispondere per schiamazzi, disordini nella sala d’udienza,

      – Persistete – riprese il presidente – nel dichiarare di non aver commesso voi l’omicidio nella persona del pittore Roberto Gandi?

      – Io dichiaro davanti a Dio, davanti ai giudici, davanti al popolo – disse Nello, in preda ad una singolare esaltazione – che qualcun altro ha commesso l’assassinio: io sono innocente… innocente… innocente…

      E si mise a piangere.

      – Signor presidente! – disse alzandosi l’avvocato Arzellini. – Credo anch’io – proseguì commosso – che il vero assassino non sia dinanzi alla Rota…

      – Signor avvocato?

      – Credo insomma che l’Attuario, che il Fisco abbiano troppo precipitato…

      – Le ripeto!…

      – Voglio


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