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mezzo alla via, con passo che voleva essere disinvolto ma che s’impacciava continuamente. Aveva dunque disimparato di camminare?

      Avuto il giornale si rintanò immediatamente. Si gettò sul materasso che aveva trascinato sotto all’unica finestra e si mise a leggere. Mai in tutta la sua esistenza egli non aveva trovato tanto interesse a un pezzo di carta stampata, giammai su questa carta egli aveva saputo rivolgere tutta la sua attenzione e dimenticare il proprio contorno da sembrargli, cessata la lettura, di destarsi da un lungo sogno.

      L’assassinio era il fatto più importante della cronaca locale e la riempiva quasi del tutto. Il racconto del misfatto era preceduto da alcune considerazioni fatte dal giornale sulla frequenza con cui simili fatti di sangue si verificano in città e con un tono d’amarezza che certamente impressionò maggiormente l’assassino che leggeva che le autorità a cui era destinato, si lagnava della trascuratezza con cui s’invigilava alla pubblica sicurezza.

      Leggendo a lui sembrava di odiare il giornale! Perché quell’accanimento? Certamente anche se egli fosse stato punito l’altro non si sarebbe risvegliato più. Non bastava l’accanimento che già naturalmente ci avrebbe messo l’autorità a ricercarlo?

      Da tutto l’articolo appariva o si voleva far apparire, che l’assassinio aveva destato la massima sensazione in città. Si trattava di un misfatto, diceva il giornalista, commesso con un’audacia inaudita, in una via della città abbastanza vicina al centro e ad un’ora avanzata bensì, ma non tanto che si dovesse supporne specialmente spopolato quel rione. Un passante qualunque per la sola ragione che aveva seco del denaro era stato ucciso proditoriamente.

      S’ingannavano e Giorgio avrebbe dovuto esserne lieto perché in tale modo il sospetto sarebbe caduto anche più difficilmente su lui; nessuno aveva veduto la vittima accompagnata dall’assassino. Però descritto in tale modo quale l’opera di un aggressore che aveva ucciso un passante qualunque solo perché nelle sue tasche aveva supposto del denaro il delitto diveniva ben più terribile; il malessere di Giorgio ne veniva aumentato. Costoro che di lui parlavano non sapevano a quale tentazione egli era stato esposto dall’imbecillità di Antonio.

      Era facile a comprendere che descritto in tale guisa l’assassinio doveva commuovere tutta la città. Ognuno sentiva minacciata la propria amata persona e sarebbe divenuto al caso un utile ausiliare della polizia.

      Dell’assassino non una sola parola giusta.

      Poco prima del fatto, raccontava il giornale, erano stati veduti aggirarsi in quei pressi due individui di pessimo aspetto presumibilmente gli autori dell’omicidio.

      Quest’errore era assolutamente consolante per Giorgio ed egli stesso si meravigliò di non sentirsi scendere nel cuore un po’ di calma all’apprenderlo.

      Quell’articolo l’aveva scosso profondamente. Egli aveva sospettato delle persecuzioni fatte con maggiore fortuna, ma, per quanto sfortunate ora che vi si trovava di fronte, lo agitavano e lo impaurivano. Forse esiste nel nostro organismo qualche parte tanto delicata che già si risente al solo augurio del male. Egli sentiva convergere sul suo tale un cumulo di odio, che, per quanto impotente dovesse sembrargli per il momento, lo opprimeva.

      Il giornale che non poteva dire una parola sull’assassino, si sfogava col fare una biografia particolareggiata dell’assassinato.

      Antonio Vacci era maritato e padre di due ragazze. La famiglia era vissuta poveramente fino a qualche mese prima, in cui le era toccata inaspettata una vistosa eredità. Il Vacci veniva descritto quale persona di poco cervello e che dacché era arricchito aveva l’abitudine di portare seco una grossa somma di denaro che faceva vedere a chi lo desiderava.

      Non era quindi possibile di elevare dei sospetti contro quelle persone che sapevano di questo tesoro ambulante perché erano troppe. «Intanto», soggiungeva il giornale, «l’autorità fa subito degli interrogatori a tutti gli abitanti della casa ove abitava il povero Vacci».

      «Oh! Fossi fuggito», pensò con rammarico cocente l’assassino. Da quanto aveva letto era chiaro che il sospetto fino ad allora non era caduto su di lui e partendo da Trieste la sera innanzi egli sarebbe potuto giungere fino in Isvizzera prima di aver a temere persecuzioni. Riteneva fondatamente che il profondo malessere che lo rendeva tanto infelice non lo avrebbe colto se si fosse trovato lontano dal luogo ove aveva ucciso.

      Verso sera si recò anche una volta all’aperto. Camminò più franco ed egli si affrettò ad attribuire quel coraggio alla certezza di sapersi inosservato. Ma la paura regnava sovrana nel suo organismo. A farlo trasalire bastava qualche cosa d’immediato e impreveduto, per esempio di trovarsi improvvisamente faccia a faccia con una montura qualunque che magari somigliasse soltanto a quella di una guardia. Non era la lettura del giornale, la sicurezza di sapersi non sospettato che gli dava coraggio, e finì col riconoscerlo anche lui. Era l’abitudine alla nuova posizione che gli permetteva di muoversi più sciolto. Gran parte di quello che noi diciamo coraggio è l’esperienza e l’abitudine del pericolo.

      III

      Giovanni entrando alle sette di sera lo guardò con cipiglio comicamente serio: – Sai che si sospetta che tu sii l’assassino di Antonio Vacci? – gli disse a bruciapelo.

      Giorgio era nell’oscurità, sul suo giaciglio. Egli sentì che se non fosse stato così, l’altro, alla sola vista della sua fisonomia, che doveva essersi alterata orribilmente, avrebbe compreso che quel sospetto di cui parlava scherzosamente era ben fondato. Ove erano iti i suoi propositi di freddezza e di disinvoltura? – Chi? – balbettò. Non si poteva movere una domanda più sciocca ma l’aveva preferita a tutte le altre perché la più breve che gli fosse venuta in mente.

      Giovanni rispose che tutti i loro amici ne parlavano. A quanto raccontava il Piccolo Corriere della Sera una donna aveva veduto fuggire l’assassino dal luogo del delitto, anzi quasi ne era stata gettata a terra, e aveva saputo dare sul suo aspetto dei particolari abbastanza precisi: Intanto dei capelli ricci neri, abbondantissimi, e un cappello a cencio.

      Lo spavento che in Giorgio era stato provocato dalle prime parole di Giovanni, da queste ultime venne alquanto diminuito. Piccolissima, ma qualche tranquillità gliene doveva derivare. Egli si rammentava di quella donna la quale lo aveva visto nell’oscurità e per un breve istante, tale che sicuramente non le aveva concesso di osservare in lui altro all’infuori del cappello a cencio e dei capelli neri. Di più ella non lo aveva visto uccidere e se anche lo avesse ritrovato e riconosciuto, egli non era del tutto perduto; poteva salvarsi negando. Certo! Era atroce la sua situazione ed egli ne era consapevole, ma tutt’altro che disperata. I capelli si potevano tagliare e mutare il cappello.

      – Guarda quale combinazione! – disse pronto a Giovanni con un’audacia di cui poco prima non si sarebbe creduto capace. – Nell’ozio di quest’oggi io avevo deciso di tagliare i capelli che mi pesano, e anche… anche mutare questo cappello a cencio che non mi piace.

      Non c’era male, ma lo spavento trapelava se non dalle parole dal suono della voce, e un osservatore più abile di Giovanni se ne sarebbe accorto.

      Con intelligenza costui osservò: – Se non vuoi avere seccature da parte della polizia farai bene a non mutare per ora né la tua barba né il tuo cappello.

      – Ma se ci sei tu per dichiarare che avevo l’intenzione di fare questi mutamenti prima che del cappello o della barba dell’assassino si parlasse.

      Oh! Se avesse potuto trarre Giovanni nella sua orbita, farne il suo complice! Se non fosse stata quella orribile paura di vederlo sorgere quale primo accusatore gli avrebbe gettato le braccia al collo, gli si sarebbe confidato e gli avrebbe offerto metà del suo tesoro imponendogli metà delle sue torture. Gli sarebbe sembrata la liberazione quella di avere un complice, perché egli credeva che avrebbe mutato natura il suo terrore se avesse potuto metterlo in parole. Quel pensiero continuo dei suoi persecutori gli sembrava più terribile perché non espresso. Causa la mancanza della parola ragionata egli credeva di non aver saputo prendere una risoluzione energica che lo avrebbe salvato. Si ragionava tanto male con quelle idee mobili che passavano per la mente senza lasciarvi traccia, inafferrabili pochi istanti dopo nate.

      Fece un leggero tentativo di ottenere aiuto da Giovanni non appellandosi però con una confessione alla sua amicizia, ma


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