Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta

Mater dolorosa - Gerolamo Rovetta


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di rivivere all’aperto, e partito appena il signor duca, si avviò, passo passo, fino al piccolo cimitero del borgo. Ivi fatta una breve sosta, nell’uscire incontrò Maria che passava in carrozza; e la carrozza ad un cenno della duchessa si fermò subito.

      – Vuol salire con me, don Gregorio? Lo accompagno a casa.

      – Grazie, figliuola; ma vorrei fare due passi; ne ho bisogno.

      – Allora scendo, e cammineremo un po’ insieme.

      Maria smontò infatti, e tutt’e due tennero dietro alla carrozza che andava lentamente verso il paese. Don Gregorio non disse nulla a Maria dell’arrivo e dei lunghi discorsi fatti quel giorno stesso col duca Prospero; ma coll’eloquenza della convinzione e del cuore ritornò bravamente all’assalto.

      Le fece capire che per l’avvenire e per la felicità di Lalla, era ormai necessario di prendere una risoluzione. La fanciulla s’era fatta una giovinetta, e non poteva più vivere in campagna. Bisognava ritornare a Borghignano: e allora Maria come avrebbe potuto rimanere in collera con suo marito? Per tutti e due doveva essere uno stato di cose insoffribile e da non potersi sostenere. Lalla stessa, notando la vita così irregolare dei genitori, ne avrebbe forse cercato anche la cagione angustiando il suo cuore di figlia colla scoperta di una verità molto dolorosa… e anche pericolosa assai per la serenità della sua coscienza e de’ suoi affetti. In ogni modo, il signor duca era pentito, pentitissimo… e domandava perdono de’ suoi falli. – Ma poi, in fine, se il signor duca si era allontanato qualche volta dal buon sentiero, non sentiva ella pure nel suo cuore di donna, di moglie, di aver contribuito a quel traviamento, colla propria durezza, colla propria inflessibilità?… Come pretendere che facciano gli altri il proprio dovere, quando noi ci rifiutiamo di adempiere il nostro?… E Lalla, che adorava il signor duca, non avrebbe trovata un giorno troppo eccessiva e crudele quella severità della mamma?… Finalmente poi Maria non aveva diritto di separare il babbo dalla figliuola, come non poteva più oltre rifiutarsi di dimenticare un’offesa, una grave offesa, ma dolorosamente espiata. – Bisogna perdonare – concluse don Gregorio – per essere alla nostra volta perdonati; e il Signore, che aveva insegnato ciò col suo esempio, aveva cara sopra tutte la virtù del perdono; era quella che maggiormente avvicinava ai beati spiriti del Paradiso la creatura della terra.

      – Io gli perdono, io gli ho perdonato, – balbettò Maria, un po’ mortificata dalle gravi parole del vecchio sacerdote.

      – Non basta… bisogna amarlo… egli è tuo marito; hai giurato a Dio che lo avresti amato per tutta la vita.

      – Amarlo… amarlo, non posso, non posso!

      – Perchè non puoi?… Sarebbe adunque così grande il tuo orgoglio da tener chiuso il cuore per sempre ad ogni dolce sentimento, oppure… oppure dimmi, figliuola, nel tuo cuore nasconderesti un segreto, un segreto che non mi hai confidato?

      E don Gregorio si fermò per fissar Maria attentamente, e la vide rossa, confusa, chinare il capo sul petto.

      – Dunque è proprio vero? Tu ami?… Ami un altro uomo?… So, so, so tutto ciò che mi vuoi dire: tu non ti credi colpevole perchè sei fuggita prima di cadere: ma nella fuga hai portato un’immagine nel tuo cuore; un’immagine che avresti dovuto scacciare, dimenticare, e invece è quest’immagine che oggi ancora si pone fra te e il tuo dovere.

      Ah! era davvero una colpa quell’amor suo misero e caro?… e lo scrupolo, il dubbio della povera tormentata adesso si mutava in rimorso.

      – Oh! no, no, don Gregorio! Io non sapevo di amare, fu un sogno, e quando mi sono svegliata non ero più padrona del mio cuore, non potevo altro che fuggire, e son fuggita via subito. Lui non sa nulla… mi ha veduta fredda, mutata, dubita che io non gli voglia più bene, non si ricorda più di me. Qui, così sola, lontana da tutti, non credevo di far male se pensavo a lui, qualche volta. Quel pensiero mi faceva tanto bene, mi rifaceva buona, mi confortava! Non era un turbamento, ma una consolazione che mi dava quiete e forza… che mi aiutava a vivere.

      – Sei madre e parli in questo modo? In tua figlia non avevi la consolazione, la quiete, la forza? Sei madre, e tua figlia non ti bastava per vivere? Piangi?… Sì… sì, piangi, Maria, perchè hai grandemente offeso la Provvidenza.

      Maria si era sentito stringere il cuore per l’inesorabile verità di quella risposta; e mentre grossi lacrimoni le colavano giù dagli occhi, balbettava timidamente, come per iscusarsi: – Non l’ho più riveduto… Non gli ho più scritto… non sa più niente di me…

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