La battaglia di Benvenuto. Francesco Domenico Guerrazzi
fuggiaschi non potendo salvarsi pel contado cremasco rimontarono l’Oglio, e si dispersero per quello di Bergamo molti rifiniti dal disagio caddero morti per via; molti per quei sentieri paludosi, o tentando tragettare il fiume, si sommersero; moltissimi dai Bergamaschi sollevati contro di loro furono uccisi. Tra per la battaglia, tra per la fuga, meglio di cinquemila uomini perirono; sarebbero morti tutti, se Pagano della Torre Signore di Valsassina non gli avesse raccolti, e questo fu il principio dei Della Torre in Milano. Pietro Tiepolo, figlio del Doge di Venezia, Podestà, imprigionato da Federigo, è da lui indegnamente fatto decapitare in Puglia, su la torre di Trani posta lungo la riva del mare, affinchè la flotta veneziana, che per quelle spiaggie veleggiava, lo potesse vedere. Seguiva l’assedio di Brescia, nel quale si rinnuovarono tutte le barbarie adoperate dal Barbarossa nello assedio di Crema: ma Federigo non potè superarla, e gli convenne ritirarsi a Cremona senza avere nulla acquistato. I Veneziani, tutti sdegnosi della morte del Tiepolo, presero parte alla Lega; il Papa Gregorio non solo si univa contro Federigo, ma ben anche lo scomunicava. Allora non si conobbe più freno: intese l’Imperatore a sollevare gli Stati del Papa; il Papa, a sollevare quelli dell’Imperatore. Federigo però più potente in armi, meglio istruito nell’arte di lusingare le passioni, superati gli ostacoli, va a Roma. I Romani gli si dimostrano favorevoli, il Pontefice parve ormai disperato. Mentr’egli tutto dolente stava ad aspettare gli ultimi danni, gli sorge in mente un pensiero, donde nacque la sua salvezza: si volge al Vaticano, toglie le teste di San Pietro e di San Paolo; le porta in processione per tutta la città, rimettendo a quei Santi la cura di difenderla: se ne commossero i Romani; di nemici che gli erano, si convertirono subito in caldi difensori, e presa la croce, si dettero a combattere Federigo; il quale sebbene facesse tra crudelissimi tormenti morire quanti crocesignati gli capitavano in mano, pure non potè superare Roma, e sdegnoso e avvilito si ridusse nei suoi dominii di Puglia.
Gregorio Papa, rimesso della presente paura, volgeva la mente a cose maggiori; convoca per l’anno seguente un Concilio a San Giovanni Laterano, e manda lettere circolari a tutti i Vescovi della Cristianità, affinchè intervenissero. Federigo adesso temendo che il suo credito non diminuisse in Lombardia, vi torna con buono esercito, e dopo di avere ad avventuroso fine condotte alcune imprese, assedia Faenza. Qui fu che mancatigli i danari mise in corso monete di cuoio, le quali in séguito, con raro esempio di fede, riscosse pel prezzo di un agostaro l’una, senza apportare il minimo scapito ai possessori. Guglielmo Ubbriachi Ammiraglio dei Genovesi imbarcava i prelati francesi riunitisi in Nizza all’oggetto di portarsi al Concilio. Federigo manda tosto il figlio Enzo o Giovanni colla flotta siciliana per collegarsi a quella dei Pisani, capitanata da Ugolino Buzzaccherini dei Sismondi, e muoversi contro la genovese. S’incontravano il 3 maggio 1241 le due armate nemiche tra il Giglio e la Meloria, e ne seguiva una fiera battaglia, nella quale i Genovesi furono disfatti, ed ebbero diciannove galere prese, e tre cacciate a fondo. I prelati si mandarono nelle prigioni di Puglia, dove si racconta che fossero legati con catene di argento. Ricchissima raccolsero la preda: la fama riporta che i Pisani e i Siciliani si dividessero a moggia il danaro. Come se poi questa ingiuria fosse poca, tanto si adoperò Federigo, che fece ribellare alla Chiesa Giovanni Colonna Cardinale di Santa Prassede, il quale condusse seco nella rivolta i castelli di Colonna, Lagosta, Palestina, Monticello, e più altri. Gregorio IX profondamente angustiato nell’animo, non potendo più comportare tanto acerbo dolore, moriva. Ora non è da dirsi a qual punto si sollevasse la superbia dello Imperatore. Il collegio dei Cardinali di sei soli individui si componeva. Celestino IV nominato Pontefice visse diciotto giorni: dopo lui la Chiesa stette per ben due anni vacante. Insoffribili erano ed obbrobriose le minacce e le villanie, che adoperava Federigo contro il consesso dei Porporati. Odasi un po’ con quali parole gli salutasse: «A voi figli di Belial, a voi figli di Efrem, a voi gregge di perdizione indirizzo la parola, a voi colpevoli di ogni umano sconvolgimento, pietra di scandalo di tutto l’Universo.» Nè andò molto, che lo percosse il gastigo: nel 24 giugno del 1243 fu eletto Papa Sinibaldo del Fiesco, Cardinale di San Lorenzo in Lucina, col nome d’Innocenzio IV. Appena Federigo lo seppe, che vôlto ai suoi cortigiani disse loro: «Di questa elezione noi abbiamo disavanzato assai, imperciocchè costui, che ci fu amico Cardinale, ci sarà nemico Pontefice.» Volendo però se fosse stato possibile nell’antica amicizia continuare, mandò suoi Legati ad Innocenzio per proporgli il matrimonio di una sua nipote con Corrado figlio dello Imperatore, purchè dal proteggere i Lombardi desistesse, ed il Legato che contro di lui predicava la Crociata richiamasse. Si condussero queste pratiche, ora più, ora meno lentamente, fino al 1244, nel qual anno, quando sembrava che fossero vicini a concludere, Innocenzio, avvertito che i Frangipani trattavano di rendere a Federigo le fortezze che tenevano al Colosseo, si traveste da soldato, fugge da Roma, s’imbarca a Sutri, e ripara in Genova sua patria. Se Federigo congiurava contro il Papa, questi dal canto suo non se ne stava. Dicesi, che fosse scoperta in quell’anno stesso una cospirazione ordita dai Frati Minori contro la vita dello Imperatore, e che la più parte di loro ne avessero le mani tagliate, e la testa recisa.
Il Papa, disposto di procedere affatto nemico contro di Federigo, convoca un Concilio a Lione per la festa di San Giovanni. Nel 28 giugno del 1245 ne fu tenuta la prima sessione nel Convento di San Giusto, assistendovi centoquaranta Vescovi. Cominciò Innocenzio esponendo i mali della Chiesa; la Russia, la Polonia, e parte della Ungheria, dai Tartari devastate; Gerusalemme presa dai Carismieni. Costantinopoli dai Vataci minacciata: tutti questi mali attribuisce a Federigo; di spergiuro, di empietà, e di eresia lo accusa. Taddeo da Suessa Legato imperiale, vedendo il Cancelliere Piero delle Vigne non levarsi a difendere il suo signore, sorge arditamente, scusa Federigo, e lo dimostra prontissimo a combattere contro gl’Infedeli. Innocenzio chiede sicurtà; Taddeo nomina i Re di Francia, e d’Inghilterra; il Papa gli ricusa. Nella seconda sessione Taddeo con apprestata orazione difende Federigo; qualifica per parte del suo signore, menzognero il Vescovo di Catania, che ripeteva le accuse del Pontefice, ed annunzia che lo Imperatore sta per comparire di per sè stesso al Concilio. Il Papa vuol pronunziare la sentenza; gli Ambasciatori inglese e francese lo costringono a concedere le proroghe per dodici giorni. Taddeo, tentati gli animi dei Cardinali, e trovatili tutti prevenuti in favore d’Innocenzio, avvisa Federigo, che si era avanzato fino a Torino, che non si affatichi di andare più oltre; essere la causa sua oggimai terminata. Sorgeva il giorno 17 di luglio, e col giorno si apriva la terza sessione. Si presentava Taddeo protestando incompleto il numero dei Vescovi, e perciò, dove fosse pronunziata sentenza, fino di allora frapponeva appello a più completo Concilio. Ciò nondimeno ributtate Innocenzio le proteste, pronunzia la sentenza contro Federigo come misleale vassallo della Chiesa, violatore dei patti giurati, sacrilego, eretico, e finalmente, secondo lo usato costume, chiudeva così: «Noi dunque che sebbene indegni teniamo luogo del nostro Signore Gesù Cristo; Noi, cui furono volte le parole di San Pietro Apostolo, tutto quello che avrete legato su la terra sarà legato in cielo; Noi, co’ Cardinali nostri fratelli, e il sacro Sinodo, deliberammo, essersi questo Principe reso indegno dello Impero, degli onori, e delle dignità. Dio pei suoi misfatti lo respinge, nè soffre ch’ei sia più Imperatore. Noi manifestiamo alla gente, siccome è legato dai suoi peccati, respinto da Dio, privato dal Signore di ogni dignità, e di queste cose anche con la presente sentenza lo priviamo; quelli che gli sono tenuti per giuramento sciogliamo; anzi per nostra autorità di più oltre obbedirgli vietiamo, non pure come ad Imperatore, ma benanche in qualunque modo pretendesse obbedienza, e lo anatema nostro fino di adesso decretiamo contro loro, che in qualunque modo, e sotto qualunque pretesto, lo sovvenissero ec.»
Pronunziata la sentenza, i Cardinali rovesciarono le candele, che tenevano accese, in atto di esecrazione; Taddeo da Suessa fuggì dal Concilio, percuotendosi il petto, ed esclamando «Giorno d’ira è questo! giorno di sventura e di sangue!» Giunge le novella a Federigo, che furiosamente levatosi in piè grida: «Chi è questo Papa che mi ha ributtato dal suo Sinodo? Chi è colui, che vuole toccar la mia corona su la mia testa? Chi è colui che lo può? Dove sono i miei gioielli? Presto, recatemi i miei gioielli.» Glieli recavano: aperta una cassetta, dove teneva diverse corone, ne tolse una, e se la pose in capo dicendo: «Oh! ella non è per anche perduta; nè Papa, nè Sinodo, me l’hanno tolta, nè me la torranno senza che sangue ne costi.»
Dopo questa sentenza Federigo non ebbe più un’ora di bene. Innocenzio spedì lettere circolari per ribellargli la Sicilia; tentò farlo morire per opera di congiura ordita dai figli del Gran Giustiziere Mora, dai San Severino, e dai Fasanella: andato a vuoto il tentativo, non