La favorita del Mahdi. Emilio Salgari

La favorita del Mahdi - Emilio Salgari


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il cuore ti getterò in quelle dell’antica tua fidanzata, in quelle di mia sorella Elenka. Ira di Dio! Ti farà uscire il sangue a goccia a goccia, se tu non ti piegherai dinanzi a lei. So quanto sia vendicativa mia sorella che ha nelle vene puro sangue greco.

      Egli si tacque nello scorgere il nubiano che montato su di un mahari carico d’oggetti, galoppava furiosamente verso la collina. Sorrise di gioia e si stropicciò le mani mormorando più volte:

       A me ora la vendetta.

      Takir in pochissimo tempo giunse ai piedi della collina e salì subito alla grotta carico di viveri, di coperte e di talleri.

       Avete udito, poco fa, un colpo di fucile sparato qui vicino? chiese il nubiano, gettando a terra tutta quella roba.

       Non inquietarti Takir, disse Notis. L’ho sparato io contro uno schiavo di Hassarn.

       Avete ammazzato Amr? L’ho veduto un’ora fa uscire dalla tenda dell’arabo.

       Gli ho fatto scoppiare la testa e poi l’ho seppellito. Ma lasciamo lì i morti e parliamo dei vivi, ora. Che notizie rechi dal campo?

       Novità eccellenti, padrone.

       Fathma, trovasi ancora nella sua casupola?

       Trovasi sempre là.

       Come mai Abd-el-Kerim commette simili imprudenze?

       Non so di chi dovrebbe aver paura, ora che vi crede morto.

       Hai ragione, Takir, disse Notis sorridendo. Credo che questa mia morte abbia a giovarmi assai per condurre a buon fine i miei progetti. Tira innanzi, negro mio.

       Ho veduto l’arabo recarsi alla casupola ed entrare.

       L’ho scorto pure io. Parlami d’Hassarn, quel maledetto turco che odio quasi al pari di Abd-el-Kerim. Che fa egli?

       Per quanto lo cercassi non potei vederlo ma suppongo che si trovasse nella tenda di Dhafar pascià.

       Sia bene, ora faremo i nostri piani per colpirli proprio in mezzo al cuore tutti quanti.

      Stette un momento silenzioso immergendosi in tristi pensieri, poi, fattosi versare un bicchiere di bilbel, specie di birra fatta con maiz e dòkòn, di sapore dolcigno, e tracannatala, s’alzò, piantandosi dinanzi al nubiano.

       Takir, disse con voce grave. Se tu fosti nei miei panni che faresti?

       Assassinerei tutti e tre quei miserabili, rispose il negro senza esitare.

       Sarebbe una vendetta troppo dolce, eppoi, bisogna che serbi Fathma per me ed Abd-el-Kerim per mia sorella.

       Allora che fare? È una gran disgrazia che vi siate innamorato di quell’altera almea.

       Taci, Takir; io l’amo alla follia, l’amo furiosamente. È tanto bella e tanto giovane che sarebbe un peccato farla morire. Ma non credere che l’ami solamente, no, ira di Dio! L’amo tremendamente, ma nel medesimo tempo l’odio ferocemente.

       E dunque che volete fare?

       Innanzi a tutto bisogna che abbia in mano uno dei due, meglio se avrò prima Abd-el-Kerim.

       Abd-el-Kerim! esclamò Takir sorpreso. E per che farne?

       Una volta in mia mano penseremo a strappargli quella passione che ha per Fathma e a gettarlo nelle braccia di mia sorella. Coi tormenti a tutto si riesce.

       Si capisce che volete tormentarlo per bene.

       Sì, e terribilmente. Odimi ora, Takir.

      Tornò a sedersi, vuotò la fiaschetta del bilbel, e facendo cenno al nubiano di avvicinarglisi:

       Tu comprendi, che senza aiuti sarà difficilissimo se non impossibile, d’impadronirsi di Abd-el-Kerim. Conosci tu qualche hossanieh poco scrupoloso che si possa comperare con un bel pugno d’oro?

       So che alle ruine di El-Garch sta accampato lo sceicco Fit Debbeud con un seguito abbastanza numeroso. Questo beduino, che io conosco a fondo, per un bel gruzzolo d’oro potrebbe mettersi ai vostri servigi. È un uomo forte, coraggioso, capace di pugnalare cento uomini senza commuoversi.

      È quello che io cercava, Takir. Tu ti recherai nelle foreste e gli parlerai, poi monterai sul tuo mahari e trotterai verso Chartum. Ho bisogno assoluto di mia sorella Elenka per vincere Abd-el-Kerim.

       Oh! fe’ il nubiano, Elenka qui, al campo?

       Sicuro, la condurrai a Hossanieh ed ella non indugierà a venire quando tu le avrai raccontato come stanno qui le cose. Orsù, mettiti in cammino e recati a parlare con Fit Debbeud.

      E voi?

       Io verrò con mio comodo, quando tu avrai spianata la via e messo al corrente di tutto lo sceicco.

      Il nubiano riprese gli oggetti che aveva deposti a terra e tornò a partire. Notis, dopo d’averlo visto a correr come un’antilope, verso le foreste, esaminò la sua ferita, vi sovrappose un cataplasma di erbe medicinali e si sedette dinanzi a un vaso ripieno di ebrèk, cibo assai appetitoso e rinfrescante composto di durah ridotto in pasta sottile e un po’ agro per meglio conservarsi.

      Finito il pasto che inaffiò con un abbondante sorso di merissak, sorta di birra inebriante fatta con durah fermentato, e fumato un sigaretto, discese la collina e salì sul mahari di Takir, spingendolo a lento passo verso le foreste che chiudevano, all’est, l’orizzonte.

      Alle tre dopo il mezzodì giunse ai primi alberi e incontrò il nubiano che veniva in cerca di lui, accompagnato da un beduino avvolto in un gran taub, armato d’una lunga harba (lancia) e munito di una daraga, grande scudo di legno coperto di pelle di elefante.

       Tutto va bene, gli disse Takir. Lo sceicco Fit Debbeud è a secco di talleri e purchè voi riempiate le sue tasche vi ammazzerà dieci volte Abd-el-Kerim. Siate prudente, col danaro, so non volete venire assassinato sulla porta della tenda.

       Non temere, Tahir; rispose Notis. So cosa è il beduino.

       Allora in marcia e che Allàh ci protegga.

      S’internarono tutti e tre sotto la foresta seguendo un sentiero ombreggiato da magnifici tamarindi e giunsero, dopo una mezz’ora, dinanzi a una gran spianata cosparsa di colonne infrante, d’arcate cadenti ornate di mille ghirigori in mezzo ai quali spiccava l’ibis religiosa degli antichi nubiani e seminata da grandi sfingi, di statue colossali semi-coperte dalle piante arrampicanti e da ammassi di rottami.

       In mezzo a quelle ruine, chiamate d’El-Gareh, s’alzavano otto tende d’un color bruno sporco a striscie gialle, alte appena da potersi tenere in piedi, ma vastissime, sostenute da pali piantati irregolarmente, e gli orli rovesciati all’insù, di maniera che l’aria vi potesse circolare liberamente.

      Dispersi qua e là, fra una mandria di mahari e di cammelle, alcuni seduti e altri sdraiati sui tappeti laceri, se ne stavano due dozzine di beduini avvolti nei loro mantelli bianchi forniti di cappuccio infioccato, occupati a fumare pacificamente nei loro scibouk o nei loro narghilek. Essi inviarono al greco un saluto e si recarono a baciargli la mano a lo condussero nella tenda del loro capo, che era più elevata e più vasta delle altre.

      Nel mezzo di essa, Notis scorse, sdraiato indolentemente su di un mucchio di tappeti di kiki di tessuto di pelo di cammello, Fit Debbeud, il capo o meglio lo sceicco della piccola banda beduina.

      Era questi un uomo sui trent’anni, di mezzana statura ma di forme vigorose ed elastiche. La sua pelle, di color pan bigio, portava numerose cicatrici bianche ricevute in diverse battaglie; aveva naso acquilino, labbra sottili, zigomi poco salienti, occhi neri, tetri, che brillavano stranamente e una barba arruffata, ancora più nera, che dava alla sua faccia un’aria cupa, selvaggia, poco rassicurante. Il suo costume componevasi di un paio di calzoncini corti fino al ginocchio,


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