La tigre della Malesia. Emilio Salgari

La tigre della Malesia - Emilio Salgari


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essere, questa Perla, una creatura celeste per toccare il cuore di quel selvaggio.

      – È quello che penso pur io, Sandokan. Sai, che io darei il meglio del mio bottino della settimana scorsa per vederla?

      Sandokan non rispose. Solo le sue labbra si contrassero in istrana maniera, lasciando a nudo i denti, bianchi come l’avorio e accuminati come quelli di una tigre.

      – Vivaddio! – esclamò il Portoghese. – Te lo confesso sinceramente, Sandokan, che mi sento scottare dalla voglia di fare un giretto verso quella dannata isola. So, so bene che non sono che idee, ma…

      – E perché non sono che idee? – chiese con tono beffardo Sandokan.

      – Chi di noi, andrà a gettar l’âncora sulle coste di Labuan? Sono troppo pericolose oggi.

      – Ah! – esclamò Sandokan. – Nol sai chi sarà l’audace, che spiccherà il volo per Labuan?

      – In fede mia, nol saprei.

      – Ebbene, fratello mio, quest’audace sarò io, la Tigre della Malesia!…

      – Sandokan! – esclamò il Portoghese spaventato. – Tu ti vuoi perdere!

      La fronte della Tigre s’annebbiò e lo sguardo si fece fosco.

      – Guarda, Sandokan – continuò Yanez. – Tu sei valoroso fra i valorosi, che fai mordere la polvere ai più valenti campioni di Borneo. Le tue braccia accerchiano potentemente questi mari che possono chiamarsi tuoi. Tu devii le palle dirette sul tuo petto e spunti le armi, ma la forza talvolta cede al numero, e potrebbe darsi che a Labuan incontrassi un nemico potente e forte quanto te e fors’anche più, che potrebbe accerchiarti, avvilupparti, soffocarti. Che ne dici, Sandokan?

      Il pirata non disse verbo; solo la sua fronte s’ottenebrò ancor più e le labbra semi-aperte lasciarono sfuggire un rauco sospiro che sembrava un lontano ruggito.

      – Vedi – ripigliò Yanez, – tutti han giurato in questi mari la tua perdita. Il tuo nome suona troppo alto fra queste isole ed insolita è la tua audacia. Credi tu che l’affamata Inghilterra non abbia gettato lo sguardo sulla nostra Mompracem e non abbia teso delle reti a Labuan? Se puoi, domanda che fa quel fumante incrociatore, di cui tu me ne hai parlato. Non può essere che una spia, non può essere che un leone silenzioso nel deserto che s’aggira attorno la tenda dell’Arabo, aspettando il momento opportuno per precipitarvisi contro. Se tu vai a Labuan, ti piomberà addosso prima che tu tocchi le coste dell’isola maledetta.

      – Ma incontrerà la Tigre!… – esclamò Sandokan che tramutavasi tutto.

      – E sia. Il leone perirà nella lotta, ma il suo ruggito giungerà fino alle spiaggie dell’occidente. Cento nuovi leoni si slancieranno sulle traccie della Tigre, fino a che verrà un dì che la incontreranno intavolando una suprema pugna. Morranno dei leoni, ma morrà anche la Tigre!

      – Io?…

      Sandokan si era alzato mugolando come la Tigre della Malesia. Un sinistro sorriso sfiorava le labbra contratte pel furore, mentre gli occhi lanciavano lampi e le mani raggrinzate brandivano fremendo un’arma immaginaria. Fu un lampo. Tornò a sedere vuotando fino all’ultima goccia il contenuto del suo bicchiere.

      – Hai ragione – diss’egli perfettamente calmo.

      – Credi tu che abbiamo parlato bene?

      – Troppo bene, fratello mio.

      – E che recarsi a Labuan sia la massima delle imprudenze?

      – Sì.

      – Ebbene, che hai deciso?

      Sandokan stette un momento sopra pensiero, poi con voce vibrante, metallica, irrevocabile:

      – Andrò a Labuan a vedere la Perla, dovessi abbordare l’incrociatore e misurarmi con tutti gl’Inglesi dell’isola!…

      E siccome il Portoghese stava per ribattere la parola, stizzito:

      – Silenzio – disse con gesto imperioso. – Silenzio, fratello mio. Così voglio!…

      CAPITOLO II. I pirati di Mompracem

      All’indomani, ancor prima che le sei fossero suonate, Sandokan e il Portoghese erano in piedi, sorseggiando una tazza di the, che un garzone dalla tinta giallognola aveva loro preparato.

      – Ebbene, Sandokan – disse il Portoghese, – sei ancora fermo nella tua idea?

      – Fermissimo, fratello mio – rispose il pirata.

      – E lasciarti tu sfuggire una sì bella occasione, d’abbordare dei prahos carichi di mercanzie preziose, pel capriccio di recarti a Labuan?

      – Oibò! Non aver paura, Yanez. L’interesse innanzi tutto.

      – Sicché, daremo la caccia ai due legni?

      – Certamente. Dove vedo sangue, e dove c’è occasione di fiutare polvere, ci corro.

      – Per poi andarti a far assassinare a Labuan? Ah! Sandokan, tu tronchi il mio sogno di andar a finire la mia vita in una città dell’oriente.

      – Pueh! – fe’ il pirata alzando sdegnosamente le spalle. – Che belle idee d’avventuriero.

      – Cospetto! Vorresti tu che una volta tanto ricco da sfidare la miseria, me ne restassi ancora a Mompracem, come un sorcio in trappola?

      – In tal caso, non prenderai parte alla spedizione. Non vedrai questa Perla, e potrai continuare i tuoi sogni.

      – Eh! Non lo pensare nemmeno, Sandokan.

      – La Perla ti attira adunque?

      – Niente affatto. Ma lasciarti partire senza di me, sarebbe metterti la corda al collo per appiccarti. Senza la mia prudenza a quest’ora saresti morto le cento volte.

      – Lo credi? – chiese la Tigre con tono incredulo.

      – Sì, perdio, che lo credo.

      – Ed io niente affatto.

      – Perché, di grazia?

      – Perché?… Perché io sono invulnerabile!…

      – Tu vuoi burlarmi, Sandokan.

      – Zitto là, fratello mio. I prahos, non sono d’umore di aspettare che tu finisca i tuoi discorsi. Prendi la tua carabina e scendiamo al villaggio. I nostri tigrotti, mi pare di vederli, s’impazientano. Hanno sete e sete di sangue.

      Il Portoghese cacciò fuori un sospirone, e maledicendo in cuor suo la Perla di Labuan, staccata dalla parete una pesante carabina, seguì la Tigre di già uscita.

      L’uragano era del tutto cessato, lasciando solo qualche nube sull’orizzonte e le traccie del suo passaggio nelle foreste dell’isola. Il sole, sciolti gli ultimi vapori, brillava all’oriente colla solita fulgidezza, versando torrenti di fuoco nel mare ancor agitato dai soffi della notte, e sulle verdeggianti pianure, in mezzo alle quali scorrevano numerosi ruscelli e torrenti, che parevan filoni d’argento liquido, scesi da miniere inesauribili.

      I due pirati scesero la tortuosa scala, e si diressero verso la spiaggia, presso la quale prahos d’ogni dimensione e in completo armamento da guerra, danzavano all’âncora.

      La loro comparsa fece uscire dalle capanne del villaggio tutti i pirati che le abitavano. Essi corsero come un sol uomo a schierarsi dinanzi ai due capi presentando colle loro cento divise e le loro cento tinte, uno spettacolo bizzarro.

      Vi si vedevano in mezzo dei Cinesi dalla tinta gialla come poponi col pen-sse() nazionale; Indiani dal capo rasato, cui una continua vita di pericoli aveva dato loro una certa dose di coraggio del quale mancano generalmente i loro compatrioti; dei Malesi dalla statura bassa, ma membruti e robusti, dalla faccia quadra, piatta, ossuta, a tinta fosca; dei Battiassi di una carnagione fuliggine chiara e ancor più piccoli ma forse più robusti e che al coraggio aggiungevano ferocia d’antropofagi; dei Lampunghi non molto dissimili dai Cinesi; dei Negritos d’orribile struttura


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