Le tigri di Monpracem. Emilio Salgari
neve.
Ad un segnale del lord tutti uscirono dal parco, preceduti da parecchi battitori e da due dozzine di grossi cani.
Appena fuori, il drappello si divise, dovendo frugare un grande bosco che si prolungava fino al mare.
Sandokan, che montava un focoso animale, si cacciò in uno stretto sentiero, spingendosi audacemente innanzi onde essere il primo a scovare la belva; gli altri presero differenti direzioni ed altri sentieri.
– Vola, vola! – esclamò il pirata, spronando furiosamente il nobile animale, che seguiva alcuni cani abbaianti. – Bisogna che io mostri a quell’impertinente ufficiale, di quanto io sia capace. No, non sarà lui che offrirà la pelle della tigre alla lady, dovessi perdere le braccia o farmi sbranare.
In quell’istante uno squillo di trombi echeggiò in mezzo al bosco.
– La tigre è stata scoperta – mormorò Sandokan. – Vola, destriero, vola!… Attraversò come un lampo un lembo di foresta irta di durion, di cavoli palmisti, di arecche e di colossali alberi della canfora e giunse addosso a sei o sette battitori che fuggivano.
– Dove correte? – chiese.
– La tigre! – esclamarono i fuggiaschi.
– Dov’è?
– Presso lo stagno!
Il pirata discese di sella, legò il cavallo al tronco di un albero, si mise il kriss fra i denti e afferrata la carabina si spinse verso lo stagno indicato.
Si sentiva nell’aria un forte odore di selvatico, odore particolare ai felini e che dura qualche tempo anche dopo il loro passaggio.
Guardò sui rami degli alberi dai quali la tigre poteva balzargli addosso e seguì con precauzione le rive dello stagno, la cui superficie era stata smossa.
– La belva è passata di qui – disse. – La furba ha passato lo stagno per far perdere le tracce ai cani, ma Sandokan è una tigre più astuta.
Tornò al cavallo e risalì in arcione. Stava per ripartire, quando udì a breve distanza uno sparo seguito da una esclamazione il cui accento lo fece trasalire. Si diresse rapidamente verso il luogo ove era echeggiata la detonazione e in mezzo ad una piccola radura scorse la giovane lady, sul suo bianco poney e la carabina ancora fumante in mano. In un baleno le fu vicino, mandando un grido di gioia.
– Voi… qui… sola!… – esclamò.
– E voi, principe, come vi trovate qui? – chiese ella arrossendo.
– Seguivo le tracce della tigre.
– Anch’io.
– Ma su chi avete fatto fuoco?
– Sulla belva, ma è fuggita senza essere stata toccata.
– Gran Dio!… Perché esporre la vostra vita contro simile fiera?
– Per impedirvi di commettere l’imprudenza di pugnalarla col vostro kriss.
– Avete avuto torto, milady. Ma la fiera è ancora viva e il mio kriss è pronto a squarciarle il cuore.
– Nol farete! Siete coraggioso, lo so, lo leggo nei vostri occhi, siete forte, siete agile come una tigre, ma una lotta corpo a corpo colla belva potrebbe esservi fatale.
– Che importa! Io vorrei che mi causasse tali crudeli ferite, da averne per un anno intero.
– E perché mai? – chiese la giovanetta sorpresa.
– Milady – disse il pirata, avvicinandosi vieppiù. – Ma non sapete che il mio cuore scoppia, quando io penso che verrà il giorno in cui io dovrò lasciarvi per sempre e non rivedervi mai più? Se la tigre mi dilaniasse, almeno rimarrei ancora sotto il vostro tetto, godrei un’altra volta quelle dolci emozioni provate, quando vinto e ferito giacevo sul letto di dolore. Sarei felice, assai felice, se altre crudeli ferite mi costringessero a rimanere ancora presso di voi, a respirare la vostra medesima aria, a riudire ancora la vostra deliziosa voce, a inebriarmi ancora dei vostri sguardi, dei vostri sorrisi!
«Milady, voi mi avete stregato, io sento che lontano da voi non saprei vivere, non avrei più pace, sarei un infelice. Ma cosa avete fatto di me? Cosa avete fatto del mio cuore che un tempo era inaccessibile ad ogni passione? Guardate; al solo vedervi io fremo tutto e sento il sangue bruciarmi le vene.» Marianna, dinanzi a quell’appassionata ed improvvisa confessione, rimase muta, stupita, ma non ritirò le mani che il pirata le aveva prese e che stringeva con frenesia.
– Non irritatevi, milady – riprese la Tigre, con una voce che scendeva come una musica deliziosa nel cuore dell’orfana. – Non irritatevi se io vi confesso il mio amore, se vi dico che io, quantunque figlio d’una razza di colore, vi adoro come un dio, e che un giorno anche voi mi amerete. Non so, dal primo momento in cui mi appariste, io non ebbi più bene su questa terra, la mia testa si è smarrita, vi ho sempre qui, fissa nel mio pensiero giorno e notte. «Ascoltatemi, milady, tanto è potente l’amore che mi arde in petto, che per voi lotterei contro gli uomini tutti, contro il destino, contro Dio! Volete essere mia? Io farò di voi la regina di questi mari, la regina della Malesia! Ad una vostra parola, trecento uomini più feroci delle tigri, che non temono né piombo, né acciaio, sorgeranno e invaderanno gli stati del Borneo per darvi un trono. Dite tutto ciò che l’ambizione vi può suggerire e l’avrete. Ho tanto oro da comperare dieci città, ho navi, ho soldati, ho cannoni e sono potente, più potente di quello che possiate supporre.»
– Dio mio, ma chi siete voi? – chiese la giovanetta, stordita da quel turbinio di promesse e affascinata da quegli occhi che pareva mandassero fiamme.
– Chi sono io! – esclamò il pirata, mentre la sua fronte si ottenebrava. – Chi sono io!…
Egli si avvicinò sempre più alla giovane lady e, guardandola fissamente, le disse con voce cupa:
– Vi sono delle tenebre attorno a me che è meglio non squarciare, per ora. Sappiate che dietro queste tenebre vi è del terribile, del tremendo, e sappiate pure che io porto un nome che atterrisce tutte le popolazioni di questi mari non solo, ma che fa tremare il sultano del Borneo e perfino gli inglesi di quest’isola.
– E voi dite di amarmi, voi, così potente – mormorò la giovanetta con voce soffocata.
– Tanto che per voi mi sarebbe possibile ogni cosa; vi amo di quell’amore che fa compiere miracoli e delitti insieme.
«Mettetemi alla prova: parlate e io vi ubbidirò come uno schiavo, senza un lamento, senza un sospiro.
«Volete che diventi re per darvi un trono? Io lo diventerò. Volete che io, che vi amo alla pazzia, ritorni a quella terra dalla quale sono partito, io vi ritornerò, dovessi martirizzare il mio cuore per sempre; volete che io mi uccida dinanzi a voi, io mi ucciderò. Parlate, la mia testa si smarrisce, il sangue mi brucia, parlate, milady, parlate!…»
– Ebbene… amatemi – mormorò ella, che si sentiva vinta da tanto amore.
Il pirata gettò un grido, ma uno di quei gridi che di rado escono da una gola umana. Quasi nello stesso tempo echeggiarono due o tre colpi di fucile.
– La tigre – esclamò Marianna.
– È mia! – gridò Sandokan.
Cacciò gli sproni nel ventre del cavallo e partì come un fulmine, cogli occhi sfavillanti d’ardire e il kriss in pugno, seguito dalla giovanetta che si sentiva attratta verso quell’uomo, che giuocava così audacemente la propria esistenza, per mantenere una promessa.
Trecento passi più oltre, stavano i cacciatori. Dinanzi a loro, a piedi, si avanzava l’ufficialetto di marina col fucile puntato verso un gruppo di alberi. Sandokan si gettò d’arcioni, gridando:
– La tigre è mia!
Pareva una seconda tigre; spiccava salti di sedici piedi e ruggiva come una fiera.
– Principe! – gridò Marianna, che era discesa da cavallo.
Sandokan non udiva nessuno in quel momento, e continuava ad avanzarsi correndo.
L’ufficiale