La Sirenetta. Andersen Hans Christian
sì che pareva d’essere in mezzo a cento e cento fontane.
Poi giunse la volta della quinta sorella. Il suo natalizio veniva d’inverno, e così ella vide quello che le altre non avevano ancora potuto vedere. Il mare era tutto verde, e grandi blocchi di ghiaccio andavano galleggiando qua e là: ognuno di quei blocchi pareva una perla, diceva, e pure era molto più grande dei campanili e delle cattedrali edificate dagli uomini: avevano le più strane forme, e rilucevano come diamanti. Si era persino seduta sul più grande di tutti, ed aveva lasciato che il vento scherzasse con i suoi lunghi capelli, mentre i bastimenti le passavano dinanzi veleggiando, rapidi come freccie. Ma verso sera il cielo era divenuto tutto nero: che tuoni! che lampi! Le onde nere nere sollevavano il grande blocco di ghiaccio, sin che scintillasse su alto, nel sinistro chiarore. Su tutte le navi, le vele erano ammainate, e in tutte era spavento e angoscia. Ma essa se ne stava tranquilla sul suo blocco galleggiante, guardando i serpeggiamenti azzurrini delle saette, che guizzando cadevano nel mare.
Ciascuna delle sorelle, quando saliva per la prima volta alla superficie delle acque, era entusiasta del nuovo, magnifico spettacolo. Ma poi quando, fatte grandi, avevano il permesso di andare dove volevano, tutto ciò diveniva loro indifferente: non desideravano più che di tornarsene, e dopo un mese di tempo, finivano per conchiudere che giù sotto era più bello che da per tutto, e che in nessun luogo si stava così bene come a casa.
Molte volte, la sera, le cinque sorelle si prendevano tutte per mano e salivano così in fila alla superficie delle acque. Avevano voci magnifiche, più armoniose di quelle d’alcun mortale; e quando la tempesta si avvicinava, ed esse prevedevano che qualche nave sarebbe colata a picco, si mettevano a nuotare dinanzi la prora, cantando dolcissime canzoni, nelle quali si diceva quanto fosse bello giù, nel fondo del mare, e si esortavano i marinai a non aver paura di scendere. Ma i marinai non potevano comprendere le parole, e credevano che fosse il soffio della bufera; e non vedevano tutti quegli splendori dell’abisso, perchè quando il bastimento affondava, annegavano, e allora arrivavano soltanto cadaveri al palazzo del Re dei mari.
Quando le sorelle maggiori salivano a fior d’acqua, la sera, tenendosi per mano, la più giovane rimaneva soletta a guardar loro dietro; e le veniva una gran voglia di piangere; ma le sirenette non hanno lacrime, e per ciò soffrono molto più intensamente.
"Ah, se avessi quindici anni!…" – diceva: "So già che vorrò un gran bene al mondo di lassù ed agli uomini che ci vivono."
Finalmente compì davvero i quindici anni.
"Vedi, come ti sei fatta grande!" – disse la nonna, la vecchia Regina Madre: "Vieni, lascia che ti adorni come le tue sorelle."
Mise una ghirlanda di bianchi gigli tra i capelli della giovinetta; ma ogni giglio era per metà perla: e la vecchia signora permise che otto ostriche si attaccassero alla coda della Principessa, a far fede della sua alta posizione.
"Ma fanno male!…" – disse la sirenetta.
"L’orgoglio ha sempre la sua pena!" – rispose la vecchia signora.
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