Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3. Ali Bey
Saaffia, poi Mahhaladiaya, indi a Hheberhhil, Dameguiniddena, Schebberis, Saoun-el-Hajar, Nikleh, per ultimo Addahharie allora occupato da' Mamelucchi: per cui ci siamo ben guardati dall'avvicinarvici, tenendoci presso alla destra riva, ove trovasi il casale di Schabour.
Alle otto della sera giunti al di là di Noffa, il bastimento diede in secco sulla sponda destra; lo che ci forzò a passarvi la notte.
In sul far del giorno mi avvidi d'essere tra Nitmè e Caffer-el-Baga. Non bastando l'equipaggio a metter la nave a galla si fecero venire alcuni Arabi; ma si dovette restare a Caffer-el-Baga finchè durò un gagliardo vento di levante. Approfittai di questo contrattempo per iscendere a terra, ed osservarvi il passaggio del sole che mi diede per latitudine settentrionale di questo villaggio 30° 47′ 55″.
Dopo tre ore di lentissima navigazione arrivammo alle quattro a Mischla, ed un'ora dopo dovemmo gettar l'ancora per mancanza di vento.
Trovavansi colà ancorati due altri bastimenti, dai quali fummo informati che gli Arabi della riva sinistra avevano alquanto più sopra preso un bastimento, e che avevano due scialuppe armate.
Alle sei ore e tre quarti si fece vela con leggier vento, e passata Zaïra, si diede fondo alle otto e mezzo a Tounoub.
Il tempo burrascoso non ci permise di partire avanti le due dopo mezzogiorno. Dopo i villaggi di Komscherif, e di Tschan arrivammo alle quattr'ore e mezzo in faccia a Zaouch. Singolarissima è la vista di questo luogo. Figuriamoci un gruppo di cento cinquanta cupole paraboliche alte diciotto in venti piedi, la di cui base può averne dieci in undici di diametro, formate di terra e di mattoni neri, in mezzo alle quali s'inalza una torre. Queste cupole sono abitate da colombi, e la base dagli uomini; onde potrebbe dirsi essere questo un villaggio di piccioni con pochi individui della razza umana.
Avvicinandosi la notte, i tre equipaggi si posero in armi per esser pronti ad ogni avvenimento in caso che fossero attaccati dagli abitanti della riva sinistra.
Alle sei ore e mezzo, lasciato Nadir sulla sponda destra entrammo mezz'ora dopo nel canale di Menouf al S.O., abbandonando il tronco principale del Nilo, sul quale potevamo trovarci esposti agl'insulti degli Arabi della riva sinistra. Alle dieci ore si diede fondo nel canale.
Si spiegarono le vele alle sette ore e mezzo fra una densa nebbia, dissipatasi la quale, trovai che il canale poteva in quel luogo avere duecento cinquanta in trecento piedi di larghezza. Ritenuti dalla calma non arrivammo a Menouf prima del mezzogiorno. Ad un'ora ci rimettemmo in viaggio, e si dovette rimurchiare fino a notte.
Dopo essere rimasti all'ancora nel canale fino alle sette del mattino, si fece vela con un leggier vento, ed alle nove eravamo presso a Quèleti di dove incominciai a scoprire col cannocchiale le montagne del Cairo.
Vidi poco dopo sulla sponda diritta un villaggio con molte colombaje formate di segmenti di sfere di terra cotta, il di cui lato convesso è al di fuori, ed il concavo volto all'indentro serve di nido. Ogni sfera può avere un piede di diametro, ed ogni colombaja è composta da molte sfere ordinate in cupole paraboliche; una sola finestra serve all'ingresso ed all'uscita de' colombi; ed il padrone vi entra per un'apertura fatta nella base della cupola. Al di fuori sono assicurati nel muro molti bastoncelli perchè possano appollajarvisi i piccioni.
Alle dieci ore e mezzo entrammo nel tronco sinistro del Nilo che scende a Damiata. Il canale di Menouf riceve le acque del tronco destro del Nilo, e le versa nel sinistro. Alle dieci e tre quarti ci ancorammo sul braccio sinistro del Nilo, di dove vedevo perfettamente le due grandi piramidi benchè distanti ancora dodici leghe.
Si mise alla vela alle undici ore e mezzo, e dopo sei ore e mezzo di navigazione, durante la quale lasciammo a diritta ed a sinistra diversi villaggi, demmo fondo felicemente a Boulak, che è il porto del Cairo sulla riva destra.
La navigazione del Nilo da Rosetta al Cairo è altrettanto deliziosa, quanto stucchevole per il lettore deve riuscire il nome di tanti villaggi; ma avrei creduto di mancare all'esattezza del mio itinerario, ommettendo di ricordarli.
CAPITOLO XXXI
Sbarco. – Stato politico del Cairo e dell'Egitto. – Le piramidi. – Djizè. – Il Mikkias. – Il vecchio Cairo. – Commercio.
Il giorno dopo diedi avviso del mio arrivo al mio amico scheih El-Medhluti, che ne informò all'istante Seid Omar el Makram primo scheih del Cairo, il quale spedì i cammelli necessarj per lo sbarco del mio equipaggio. Scheih-el-Medluti venne ad incontrarmi con molte persone, e mi condusse a casa sua ove mi aveva preparato un appartamento.
Colà ricevetti le visite di Seid Omar, e di molti altri grandi del Cairo. Ma fui altamente commosso alla vista di Muley Selema fratello dell'imperatore di Marocco. La sua figura, i suoi lineamenti, le sue maniere mi rammentarono vivamente quelle del mio rispettabile amico il Principe Muley Abdsulem: il mio cuore balzò di gioja, e gridai: Muley Selema!… e di già eravamo nelle braccia l'uno dell'altro: lungo tempo le nostre lagrime c'inumidirono le guancie. Sedemmo senza poter parlare. Io ero informato delle sue sventure, egli non ignorava ciò che m'era accaduto partendo dagli Stati di suo fratello; onde potevamo senza preamboli entrare in discorso. Selema si lasciò trasportare assai contro il fratello Imperatore. Cercai di calmarlo, e gli rimproverai amichevolmente alcuni suoi leggieri falli. Dopo un lungo trattenimento alzandosi mi baciò la barba, dicendomi che le mie parole erano più dolci dello zuccaro.
Poi ch'ebbi restituite le visite ai grandi scheih, andai con Seid Omar a trovare il Pascià Mehemed Alì, cui diedi la lettera del capitan Pascià; e non vi fu cortesia che non mi usasse. Questo giovane principe è di gracile corporatura e svajuolato; ha gli occhi vivaci ne' quali scorgesi una cotal aria di diffidenza: è per altro valoroso, e non privo di buon senso, ma non avendo avuto veruna istruzione trovasi spesse volte imbarazzato. In tali congiunture, Seid Omar che ha molta influenza sul di lui spirito, rende importantissimi servigi al popolo ed allo stesso Pascià.
Si fanno ascendere a cinquemila gli Arnauti sotto gli ordini di questo governatore dell'Egitto. Questi soldati sono caparbj ed esigenti oltre ogni dovere; ma il popolo li tollera pazientemente, perchè non sarebbe più felice nè co' Turchi, nè co' Mamelucchi; e non essendo in grado di darsi un governo rappresentativo, sopporta il presente giogo in silenzio. D'altra banda Mehemed Alì che riconosce il suo inalzamento dal coraggio di queste truppe, ne dissimula gli eccessi, e non sa rendersene indipendente. Altronde i grandi scheih avendo sotto questo governo molta influenza e libertà, lo sostengono con tutte le loro forze. Il soldato tiranneggia, ed il basso popolo soffre, ma tacciono i grandi perchè non soffrono, e la macchina va alla meglio. Intanto il governo di Costantinopoli privo di energia per tenere tutt'i paesi sotto l'immediata sua dipendenza, si accontenta di una specie d'alta signoria, che gli frutta alcuni leggieri sussidj, che ogni anno sotto varj pretesti cerca di accrescere. I pochi Mamelucchi che rimangono ancora, vivono rilegati nell'alto Egitto, ove non giugne la potenza di Mehemed Alì: ma siccome questi per una singolarità della natura non possono colla generazione mantenere la loro popolazione in Egitto, e loro non è permesso di tirarne altri dall'Asia, si ridurranno tra poco al nulla. Elfi Bey col suo corpo di Mamelucchi, di Arabi, di Turchi e di rinnegati scorre il deserto di Domanheur. Il governo di Costantinopoli non può fare verun conto d'Alessandria, la quale per la sua posizione geografica non è nè città Egiziana, nè città Turca: tale è il quadro fedele dello stato politico dell'Egitto.
Io non prenderò a descrivere la città del Cairo, troppo nota a tutti gli Europei; nè a parlare dell'immenso suo traffico presentemente ridotto in misero stato per le guerre d'Europa, per la rivoluzione de' Mamelucchi, e per i progressi de' Wehhabiti; nè de' principali scheih ond'è formato il suo governo, perchè il presente sistema dipende in gran parte dall'arbitrio del Pascià.
Quantunque le piramidi di Djizè fossero allora circondate d'Arabi ammutinati, e che fosse pericoloso l'avvicinarsi, volli ad ogni costo tentare di vedere questi colossi inalzati dalla mano degli uomini. Recatomi a Djizè m'avanzai verso le piramidi scortato della mia gente armata fino al punto in cui la prudenza permetteva d'inoltrarsi.
L'immaginazione senza il soccorso del tatto non basta per formarsi un'adequata