Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 2. Bertini Giuseppe

Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 2 - Bertini Giuseppe


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serbò solo il nome. A che far dunque tanti rumori? In quanto alla dottrina dei rivolti, niuno mette in dubbio la loro utilità, e solo dal P. Sacchi, e dal Bertini, non sognando si sostiene, che il metodo degli antichi su i rivolti per la facilità e chiarezza, che maggiore non potrebbe desiderarsi, è preferibile di molto a quello dei moderni, Rousseau, Rameau, e d'Alembert, i quali colla loro dimostrazione teorica l'hanno anzi che no inviluppato, reso più difficile, e per conseguenza inutile. “Le speculazioni, i discorsi, le dispute, che i moderni ne hanno fatte, e tuttavia ne fanno, quale vantaggio mai hanno arrecato all'arte? In quale parte per essi o più perfetto, o più facile è divenuto l'artificio musicale?” (Sacchi, Lett. a M. Pichl). Se il Censore si fosse presa la pena di comparare il semplicissimo sistema dell'Eximeno intorno ai rivolti a quello intrigatissimo del Rameau, l'avrebbe trovato tutt'altro di quel che dà ad intenderlo, e così svanita sarebbe la di lui maraviglia per quel che dice questo autore in favor de rivolti. Ma egli malignamente confonde l'una cosa con l'altra, miscet quadrata rotundis, e non fa che rumori.

      In questa contingenza Bertini (egli prosiegue) dopo d'aver trattato il Rameau come trattansi i grand'uomini da chi non è alla portata di conoscerli, finisce in tali termini, ec. Come ci entra quì contingenza, sel veda egli che ama usar delle parole oltre al senso stabilito dalla convenzione degli uomini. E dopo aver riferite le mie stesse parole, così poi termina: Ecco per tanto Rousseau, e d'Alembert, Condillac ed intere accademie tacciate di presunzione e d'ignoranza di cose musicali. Quì scambia le accademie di scienze per accademie di musica, mentre pretende che quelle non ignorassero le cose musicali. L'onore di questa critica era riserbato all'autore del dizionario l'ab. Bertini. Rameau è l'oracolo del Censore, ed ei dà dell'anatema a tutti coloro che osano contraddirlo in qualche cosa: ipse dixit, e tanto basta. Rameau è il suo idolo, e egli come Don Chisciotte si crede in dovere di brandir la lancia in difesa della sua Dulcinea. Chi contende frattanto al Rameau il titolo di grand'uomo in riguardo a moltissime cose, ch'egli ha scritto utilissime alla pratica? chi niega esser egli stato uno dei più celebri musici della Francia? Il dettaglio dei servigj resi da lui a quest'arte si appartiene all'articolo che di lui verrà fatto a suo luogo: nel Discorso preliminare non si attacca che il suo sistema di teoria musicale, il quale non è più che un sistema, del di cui successo dubitava egli stesso, come può vedersi da due lettere da lui scritte al P. Martini, a cui l'Instituto di Bologna rimesso ne aveva l'esame. Da me non se n'è dato altro giudizio oltre a quello che ne han recato i grand'uomini, e musici filosofi di tutte le colte nazioni, senza eccettuarne gli stessi di lui nazionali non inferiori di merito ai d'Alembert, Rousseau, Condillac, quivi da me riferiti. Costoro, dopo un esame imparziale di quel sistema, non per via di vane declamazioni, e di pedantesca ciarlataneria, armi usate dal nostro ridicolo censore, ma con valevolissime ragioni dimostrato ne hanno l'incoerenza, i difetti, e l'inutilità insieme. Le accademie stesse non sono tribunali infallibili, e i loro giudizj non sono inappellabili, questi debbono riguardarsi relativamente ai lumi dal secolo, in cui sono stati profferiti. Gli elogj e le censure non vanno a numero, ma a peso.

      Io so che il buon uomo ha poi le sue ragioni di lodare a torto ed a dritto il gran Rameau. All'ombra di questo celebre scrittore non va egli superbo di essere autore di due lettere di ciarlataneria musicale? e quel ch'è più, ci minaccia anche della terza, e quarta. Come minaccia eziandio di continuare la luminosa sua critica, e le sue sensatissime riflessioni. In quanto a me basta di avere così additato ex ungue leonem.3 Chechè in avvenire farà, dirà, scriverà contro di me, io profitterò della favoletta del Boccalini. “Un viaggiatore nojato al sommo dal romor delle cicale, come gli saltò in testa di ammazzarle, non fece che sviarsi: se egli proseguiva in pace il suo cammino, le cicale sarebbero morte senz'altro a capo d'otto giorni.”

      C

      Caccini (Giulio), gentiluomo romano ed uno di quei dotti professori di musica del secolo 16º, in Firenze, i quali riunivansi per ragionar di quest'arte presso il Conte Giov. de' Bardi. Il Caccini, siccome era di vivo e pronto ingegno fornito, prese a perfezionare la maniera inventata dall'illustre Vincenzo Galilei, e molte belle cose introdusse del suo nella musica, che non poco contribuirono a migliorarla. Uno dei principali mezzi fu quello di applicar l'armonia a parole cantabili cioè a poesie appassionate ed affettuose. Egli sollecitò per ogni dove gli autori a lavorare a bella posta poesie pel canto, nè tralasciò di concorrere anch'egli poetando al medesimo fine. Dalle carte di lui musicali cavò l'Arteaga una sua graziosa canzonetta, perchè rendesse, egli dice, più noto a' suoi nazionali codesto valentuomo ignorato in oggi da' poeti e da' musici, ma che merita un luogo distinto fra gli uni e fra gli altri. (Delle rivoluz. ec. tom. I. p. 244) Il Caccini nella dotta prefazione alle sue Nuove Musiche attesta, che più vantaggio egli trasse dal commercio e da' suggerimenti degli uomini letterati, che da' trent'anni spesi nelle scuole musicali e nell'arte del contrappunto, il quale, secondo lui, poco o nulla giova a perfezionare la musica. Egli di accordo co' suoi amici il Corsi, il Rinuccini ed il Peri, studiò tanto sulla maniera di accomodar bene la musica alle parole, che finalmente trovò l'antico recitativo, ossia la declamazione musicale usata da' greci, ch'era stato da lungo tempo il principale scopo delle loro ricerche. Il primo saggio, ch'ei ne diede fu nella Dafne del Rinuccini l'anno 1594 ch'egli mise in note, e quindi nella tragedia dell'Euridice in occasione dello sponsalizio di Maria de' Medici col re di Francia Arrigo IV che ebbe il più maraviglioso successo. Fra le altre poesie da lui poste in musica furonvi i Pietosi affetti del Grillo rinomato poeta di quei giorni, cantati avanti il pontefice. Il Grillo al Caccini in ringraziamento scrive tra le altre cose: “Ella è padre di nuova maniera di musica, d'un cantar senza canto o piuttosto d'un cantar recitativo, nobile e non popolare: che non tronca, non mangia, non toglie la vita alle parole, non l'affetto: anzi gliele accresce, raddoppiando in loro spirito e forza. È dunque invenzion sua questa bellissima maniera di cantare, e forse ella è nuovo ritrovatore di quella forma antica perduta già tanto tempo fa nel vario costume d'infinite genti, e sepolta nell'oscura caligine di tanti secoli: il che mi si va più confermando, dopo essersi recitata sotto cotal sua maniera la bella pastorale del signor Ottavio Rinuccini: – In somma questa nuova musica oggidì viene abbracciata universalmente dalle buone orecchie, e dalle corti de' principi italiani è passata a quelle di Spagna e di Francia, e d'altre parti d'Europa ec.” (V. Idea del segretario di Bartol. Zucchi, p. 2). Il Caccini fu anche il primo a raffinare il canto monodico, introducendovi non pochi ornamenti di passaggi, trilli, gorgheggi e simili cose le quali saggiamente e parcamente adoperate contribuirono a dar espressione e vaghezza alla melodia. Egli era stato discepolo di Scipione della Palla celebre pel suo tempo: visse alla corte del gran duca di Toscana e morì in Firenze sul principio del secolo decimosettimo.

      Caffarelli (Gaetano), il di cui vero nome di famiglia era Majorano, nacque a Bari nel regno di Napoli da un povero contadino: fu allievo di Porpora come Farinelli, cui egli uguagliò in riputazione e in talento, ma non mai in modestia. Si sa in qual maniera instruì Porpora questo cantante, di cui detestavane l'insolenza. Per lo spazio di cinque anni fecegli costantemente imparare la stessa pagina sulla quale aveva egli notato da prima i più semplici elementi del canto, e quindi dei trilli, delle note di salto e de' passaggi di diverse specie. Al sesto anno vi aggiunse delle lezioni di articolazione, di pronunziazione e di declamazione in fine, dopo di che lo scolare che ancora non credeva di essere se non agli elementi, restò ben sorpreso allorchè gli disse il maestro: Vattene mio figliuolo, tu nulla hai più d'apprendere: tu sei il primo cantante dell'Italia e del mondo. Verso il 1730, Caffarelli portossi in Inghilterra, e sorprese tutti coloro che l'udirono; di ritorno alla patria cantò egli su molti teatri con un prodigioso successo. Fu allora che sentendo il merito straordinario di Gizziello, il quale trovavasi in Roma, prese subito la posta, e viaggiò per tutta la notte affinchè giungesse, ove l'indomani darsi doveva una grand'opera. Involto nel suo mantello, entrò di soppiatto in platea, ed allorchè ebbe inteso Gizziello, bravo!, gridò egli, bravissimo Gizziello! è Caffarelli che te lo dice. Lasciò quindi prestamente il teatro, riprese la posta, a tornò con la medesima prestezza in Napoli. Egli venne in Francia ai tempi della delfina, principessa di Sassonia, che molto amava la musica; e cantò più volte nel Concerto spirituale. Luigi XV incaricò uno de' suoi gentiluomini di camera a fargli un regalo: il gentiluomo mandò a Caffarelli, per mezzo del suo segretario, una superba scatola d'oro da parte del re. E che! disse Caffarelli, il re di Francia manda a me questa


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È bene il rilevar quì dei vezzi della buona lingua di questo dotto pedante. Nè Rousseau, nè Eximeno, nè altri come loro han pensato ec.