I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio

I rossi e i neri, vol. 1 - Barrili Anton Giulio


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sostegno ad una abbondanza prodigiosa di capelli neri e lucenti, che la fanciulla stentava ogni mattina a chiudere nel minore spazio possibile.

      – Lorenzo, – diss'ella con un bel suono di voce argentina, – cercano di voi.

      – Di me? – chiese il giovine, trasognato. – E chi mai?

      Per intendere la maraviglia di Lorenzo bisognerà sapere ch'egli non riceveva nessuno. Amici ne aveva pochissimi, piuttosto conoscenti che amici; e se gli occorreva di accennare il numero del suo uscio di strada, non era certamente con aria d'invito. Non usava dimestichezza colla gente, e non ne lasciava prendere; a molti aveva reso servizio, senza chiederne mai a sua volta. Però gli era venuta la fama di carattere chiuso, solitario, ed anche un tantino ombroso; tranne i saluti di necessità, e le fermate di convenienza, non s'indugiava egli con la gente, nè la gente inclinava a trattenerlo per via.

      Soltanto l'Assereto, un antico suo compagno di scuola, aveva il privilegio di andare attorno con lui; e allora a vederli erano passeggiate lunghissime, in città, e fuori le porte. Ma i due amici si vedevano di rado. L'Assereto era un giovinotto così affaccendato nella piazza de' Banchi; Lorenzo Salvani, dal canto suo, viveva così immerso ne' suoi studi, che l'amicizia, l'intrinsichezza loro passava quasi inosservata; e il nostro Salvani restava sempre, nel concetto dei giovani, il solitario e l'ombroso di prima.

      Lorenzo aveva chiesto adunque chi fosse il nuovo e inaspettato visitatore.

      – Un signore, – rispose la fanciulla, – che dice di essere vostro amico. Michele non ha saputo ridirmene il nome; lo ha fatto passare nel salottino, ed io sono venuta ad avvertirvene.

      – Grazie, buona Maria! – E lo sguardo del giovine si fece tutto amorevole, per accompagnare quelle tre parole. Così nella voce, come negli occhi, era una espressione ineffabile di tenerezza quasi paterna.

      Mentre egli s'era voltato per indossare il soprabito, si sentì sfiorare il volto da qualche cosa, che, descritta in aria la sua curva, venne a cadergli da' piedi. Era un mazzolino di viole mammole, ch'egli si chinò prontamente a raccogliere. Rivòltosi da capo verso l'uscio, Lorenzo Salvani vide ancora la testa di Maria, che lo guardava e rideva.

      – Orso! – gli disse la fanciulla, temperando col sorriso il rimprovero. – Non siete venuto neanche a dirmi buon giorno, questa mattina, e non meritate che sia dato a voi in altra maniera.

      – Voi sarete sempre migliore di me; – rispose Lorenzo, mentre riponeva il mazzolino tra le risvolte della sottoveste. Sono un orso; è proprio vero.

      – Oh, come la pigliate voi? Non lo dico già perchè sia vero; – replicò la fanciulla, mettendosi sul grave. – So bene, io, che lavorate tanto, e pensate ancora di più. —

      Quindi levati gli occhi al ritratto della madre di Lorenzo, le scoccò un bacio colla punta delle dita, e disparve.

      – Chi è mai quest'importuno? – chiese a sè stesso Lorenzo, imitando senza avvedersene il conte Almaviva nella prima scena del __Barbiere di Siviglia__.

      E si mosse, per andare nel salottino.

      II

      Nel quale si dimostra come da buona pianta abbia a venir sempre buon frutto.

      Il primo a dir ciò, sebbene con diversa immagine, è stato Orazio Flacco, in uno di quei versi, che vincono il bronzo al paragone. Verrà il giorno, pur troppo, che in Italia non si saprà più il latino; ma in qualche altro paese non lo avranno dimenticato; i versi del nostro amico Orazio si leggeranno ancora, e si citerà sempre il suo aureo dettato: __fortes nascuntur fortibus et bonis__.

      Questo ricordo classico avrà fatto intendere al lettore il nostro proposito. In quella che Lorenzo Salvani va a ricever quell'altro, che ancora ignoriamo chi sia, non sarà male che diciamo qualche cosa intorno alla famiglia del nostro giovine amico.

      Il colonnello Salvani, già da due anni dormente il gran sonno, era stato a' suoi tempi uno di quegli uomini che ad una mente eletta e ad un cuor di leone accoppiano una squisita delicatezza di sentire. Grande sventura, essere cosiffattamente dotati dalla natura; perchè queste splendide virtù, con le quali si potrebbe fare il mondo, se fosse ancora da fare, e soprattutto se francasse la spesa di farlo, non riescono in quella vece se non a cozzar le une con le altre, o a renderci sventurati, in un mondo già fatto, anzi così mal fatto come ognun vede. Rigo Salvani, andando molto diritto sulla via del dovere, seguendo il bene e propugnandolo in ogni occasione, aveva avuto di molte amarezze, perfino nella ristretta cerchia de' suoi amici e compagni di lavoro. In politica il cuore è un viscere inutile, spesso anche dannoso; ed egli era così venuto, per una lunga trafila di disinganni, a disdegnare il genere umano, con tutta la migliore intenzione che aveva di amarlo.

      In assai giovine età Rigo Salvani aveva preso a congiurare, ed era uno dei più animosi soldati di quella falange sacra, decimata prima dai patiboli di tutti quanti i governi della penisola, poscia dai campi di battaglia, e schernita più tardi da una generazione di sconoscenti, i quali si figurano di aver fatta essi la patria, perchè hanno comperato cartelle del debito pubblico molto sotto alla pari, o perchè hanno messo mano in laute imprese industriali. Ai tempi di Rigo Salvani l'amor di patria non fruttava nulla in quattrini; e neanche in onori, salvo alle volte il cordone dell'ordine riverito di mastro Impicca.

      Ma lasciamo da parte queste malinconie. A Bologna, in una di quelle spedizioni di carbonaro, o giù di lì, Rigo Salvani si era invaghito di una nobilissima donna, e l'aveva fatta sua, nè parve che quelle nozze scemassero l'audacia e la costanza del congiurato. Profondamente innamorata di lui, animosa e paziente, Luisa Salvani fu una forza nuova, non già un ostacolo ai propositi dell'intrepido uomo.

      Il primo processo lo trovò padre d'un figliuoletto, e la dolcezza degli affetti domestici fu turbata poi dall'esilio. La sua Luisa rimase sola, sposa e vedova ad un tempo, senz'altra consolazione che quella creaturina, di cui ella doveva custodir l'esistenza, innanzi di poterla educare ai nobili esempi paterni.

      Così visse Lorenzo Salvani dal 1832 fino al '47, sempre accanto a sua madre, e non vedendo suo padre se non rarissime volte, allorquando l'esule interrompeva i suoi sconsolati viaggi per venire a salutar di soppiatto la moglie e fuggirsene da capo innanzi che la polizia avesse sentore della sua presenza: mesti ritorni e meste dipartite, che poi risplendevano come altrettanti fari luminosi sul mare tenebroso della sua vita raminga.

      Nè più riposato per lui fu il tempo succeduto all'esilio; perchè, ritornato del '47 in Italia, Rigo Salvani partecipò ai moti di Genova, che dovevano finire con la promulgazione dello Statuto e con la dichiarazione della guerra santa, come la chiamarono allora; nè valse a mutarle il nome che il papa Pio IX, dopo aver benedetta l'Italia, la maledicesse pentito.

      Non è nostro intendimento raccontare quel che operasse allora il Salvani. Uomini come lui non potevano stare inoperosi, o mancare, dovunque fosse da menar le mani; e quando le fortune d'Italia si trovarono ridotte allo stremo sulle sacre mura di Roma, minacciate dai fratelli di Francia, il Salvani era maggiore, e contava le sue quattro ferite.

      Era la sera del 29 aprile del '49, e il maggiore occupava coi suoi legionari la porta di San Pancrazio, quando gli venne annunziata la presenza di un giovinetto, il quale chiedeva di lui. Rigo Salvani stava in quel punto scrivendo; però, fatto entrare il visitatore, gli chiese, senza alzar gli occhi dal foglio, chi fosse e che cosa volesse.

      L'adolescente, ch'era vestito di rosso, e ad onta della tenera età portava molto fieramente il cappello di feltro a larghe falde con la penna tricolore, salutò militarmente e rispose:

      – Sono Lorenzo Salvani. —

      Immagini il lettore che senso facesse sull'animo del maggiore quella breve risposta. Rigo Salvani balzò dalla sedia, corse ad abbracciare il figliuolo, e tirandolo con dolce violenza sotto il lume d'una candela, gridò:

      – È lui, proprio lui! —

      Ma l'ebbrezza di quell'amplesso paterno non fu lunga; il maggiore, lasciata la bruna testa del figlio, che teneva stretta nelle palme, ripigliò con accento di rimprovero:

      – E tua madre, disgraziato?

      – Mia madre, – rispose l'adolescente, – mi


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