I rossi e i neri, vol. 2. Barrili Anton Giulio

I rossi e i neri, vol. 2 - Barrili Anton Giulio


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gente che sa di lunga mano i negozi del partito, in cui s'è gittato il Salvani, e conosce così bene il giorno e l'ora di un tentativo politico da cavarne profitto per sè, mandando lo scatto de' suoi congegni di conserva collo scoppio della rivolta; questa gente che ci ha i carabinieri apocrifi a' suoi comandi, e mentre vi maneggia i bari da carte, i ladri notturni, così facilmente com'io questo bicchiere vuoto, fa a fidanza con tutte le autorità costituite; questa gente che ha modo di farvi uscire spontaneamente una virtuosa e severa fanciulla dalla casa che ama; questa gente, dico io, è schiuma di neri, o ch'io ho perduto l'ultima oncia di cervello. E chi sarà poi la dama che ha condotto via la fanciulla?

      – Sua madre; – entrò a dire l'avvocato Emanuel.

      – Potrebbe darsi, quantunque non lo creda; ad ogni modo, una dama di misericordia. La pietà è un'ottima bandiera per coprire ogni razza di merce.

      – E i falsi carabinieri?

      – Furfanti di tre cotte; gente avvezza al furto con rottura, vecchie pratiche della eccellentissima Corte, pensionati di Sant'Andrea; cotesto s'intende a bella prima. A me importa piuttosto indagare chi li ha guidati; e questi, già lo sapete dai sospetti del servitore, è quella buona lana del Garasso. E chi conferisce a costui l'ardimento di mettersi a questa impresa difficile? I pezzi grossi, sempre i pezzi grossi. Notate infatti: all'udire di quel doppio tiro, che farebbe rizzar i capegli in testa ad ogni fedel cristiano, la polizia non si commuove, manda tre gentiluomini da Erode a Pilato…

      – Ottimamente! – gridò il Savioli, che non aveva ancor detto la sua. – Ma tutto ciò non ci chiarisce dove sarà la ragazza.

      – Bravo! e dovrò dirtelo io? Ma dopo tutto, perchè no? In una casa privata, no certo, che sarebbe poco prudente consiglio. E questo mi fa pensare che la madre non c'entra, o soltanto (scusate la ripetizione) di sbieco. La madre, che ha cercato di occultare per oltre diciott'anni il suo peccato, non sarà diventata così audace ad un tratto. Io mi attengo sempre alla dama di misericordia; e la dama di misericordia mi chiama alla mente il monastero. La fanciulla è chiusa in un monastero; metterei la mano sul fuoco. Ho detto.

      – E ben detto, Giuliani! – soggiunse capitan Dodero.

      – Al primo avvocato fiscale che tira le cuoia, ti proporremo candidato a quel ragguardevole uffizio. Ma ora, che si fa?

      – Anche questo v'ho a dire? Orbene, mi provo. Due intenti abbiamo; riavere le carte, e per questo occorre sapere chi le ha; riavere la fanciulla, e per questo occorre sapere dov'è.

      – Torniamo da capo! – disse il Contini. – Saper questo! sapere quest'altro! Francava la spesa di ragionar tanto!

      – Hai finito? – chiese il Giuliani.

      – Io sì; e tu hai ancora da cominciare.

      – Probabilmente, e tu mi darai una mano, venendo con me alla scoperta di questo segreto.

      – Adesso?

      – Subito subito; genovese aguzzo, piglialo caldo.

      – Possiamo venire anche noi, se c'è da scoprire qualcosa, – entrò a dire l'Assereto.

      – No; è un negozio delicato; due bastano, uno di più guasterebbe.

      – Ma dove andate? – chiese Mauro Dodero.

      – Nell'antro del lupo rapace. Hai fede in me. Contini? – proseguì il Giuliani, volgendosi al compagno che aveva scelto. – Si fa un'impresa da vecchi Templarii.

      – Mi piaci più quando operi, che quando ragioni; – rispose romanamente il Contini.

      – Ingrato! Io t'amo anche quando canti; chi è il migliore, di noi due?

      Ma lasciamo le chiacchiere, e mettiamo alla vela.

      – Si potrebbe almeno sapere che cosa hai immaginato? – chiese quell'ostinato di capitan Dodero.

      – Ah, gli è il grande arcano; lo saprete tra due ore, se non vi dorrà di aspettarci.

      – Aspetteremo sicuramente! – gridò l'Assereto. – Ma dove?

      – Sedetevi a consiglio sulle panche delle cavolaie, qui sulla piazza di San Domenico; due ore, e siamo da voi. —

      In questi discorsi s'erano alzati da tavola e scendevano, per la scaletta, nella sala a pianterreno. Colaggiù non c'erano più avventori, e il provvido tavoleggiante aveva già spento tre becchi della lucerna a gasse, lasciando a mala pena uno spiraglio nel quarto, per nutrire una scarsa fiammella, alla cui luce azzurrognola si poteva scorgere l'ostessa, che sonnecchiava dietro il suo banco in mezzo alle sue mostre di vivande, come un timoniere alla barra, in una notte di calma.

      All'udir scendere quella lieta brigata che la faceva pisolare ogni notte a quel modo, la povera ostessa aperse gli occhi e mise un sospiro.

      – Sospira per me? – chiese il Contini, accostandosi al banco.

      – Sì, per l'appunto; – rispose l'ostessa, – e penso che non vorrei esser sua moglie per tutto l'oro del mondo.

      – E perchè, di grazia?

      – Perchè? Ma le par ora, questa, di andare a casa?

      – Brava! appunto perchè non ci ho persona ad attendermi sulle celibi piume. Se sapesse com'è triste a vedersi, il letto d'uno scapolo! Vuol forse vederne uno?

      – Vada là, vada là, buona lana!

      – Non vuole? Ha torto. La cosa meriterebbe d'esser veduta. —

      E ridendo a crepapelle, il più matto dei Templarii seguitò l'amico Giuliani, non senza aver stretto la mano agli altri colleghi e ricevuti i loro augurii per la magna impresa fantasticata dal giornalista.

      Rimasti in due, tirarono diritto pel vicolo della Casana, e di là fino a Campetto. S'intende che il Giuliani guidava, e il Contini teneva dietro, non sapendo ancor nulla dei disegni dell'amico.

      X

      Qui si dimostra che, per far la guerra a modo, ci vogliono alleati.

      – E adesso mi spiegherai… – diss'egli, fermandosi alla svolta di Scurreria.

      – Certamente, ogni cosa; ma entriamo in questo andito. – E condotto Marcello nel vano di un portone, il Giuliani si fece a indettarlo sommessamente di ciò che aveva in animo di tentare.

      – Sì, perdinci, stupenda pensata! Tu hai buona lingua; io, non fo per dire, ho buone braccia, e se ardisce far l'omo, lo concio come va. Bravo, Giuliani! Ma se lo dicevo io, che mi piaci più quando operi…

      – Vuoi sentirti a ripetere che mi piace il tuo canto? Non lo sperare.

      Contini! Ma andiamo, che il merlo non ci abbia a sfuggire. —

      Abbiamo fede che i lettori discreti non ci chiederanno di condurre la precisione del racconto fino al segno di spiattellar loro il numero dell'uscio dove entrarono i nostri due personaggi. Era uno dei tanti che sono nella via di Scurreria, o di Scutaria, come si diceva cinque o seicent'anni fa, essendo in quella strada le officine degli scudai.

      I due Templarii salirono, coll'aiuto di mezza scatoletta di fiammiferi, sino al quarto piano, e colà fecero sosta dinanzi a un uscio di modesta apparenza.

      – Ecco il campanello! – disse a mezza voce il Contini, accennando la corda di lana intrecciata che pendeva, colla sua nappa, lunghesso lo stipite.

      – No; – rispose il Giuliani; – se ella non ha smesso le antiche consuetudini, questo è il picchio notturno che dovrà farci aprir l'uscio. —

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