La testa della vipera. Bersezio Vittorio

La testa della vipera - Bersezio Vittorio


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da certe monache, le quali, oltre il rosario e un ricco repertorio di giaculatorie, nulla sapevano insegnare.

      Della vita, la poveretta non conobbe mai nulla, del mondo non potè vedere che le quattro pareti della triste casa paterna, un umido cortiletto, e il convento e il tratto di strada che conduceva alla chiesa, e la chiesa dove il padre la traeva, estate e inverno, ad assistere alla prima messa.

      In casa, naturalmente, a fare le più umili come le più faticose bisogne, non c'era altra persona che lei.

      Marianna cominciò ad aver attinenza coll'usurajo, cercando accatti pel suo padrone.

      Al vecchio gufo tornò gradevole la vivace grossolanità di quella paffuta e rubiconda comare; si stabilì a poco a poco fra quei due una certa famigliarità; la governante di Lorenzo fu la sola creatura umana che il padre di Luisa ammettesse in casa per altro che per affari.

      Ed ecco che un bel giorno, un tiro secco di colpo rapì l'usurajo alla figliuola e agli accumulati e nascosti tesori, senza che egli, il quale rifuggiva sempre con orrore dal pensiero della morte, avesse, in alcun modo, provvisto alle cose sue.

      La figliuola, unica erede, essendo già maggiore di età, entrò subito in possesso delle sostanze paterne, e, inesperta, ignorante di tutto com'era, trovossi più imbarazzata d'un pulcino nella stoppa. Ma c'era lì la Marianna, e la povera fanciulla ringraziò la Provvidenza che le avesse procurato un sì valevole ajuto a trarla d'impiccio.

      Quando la governante del Lograve ebbe veduto a quale vistosa ricchezza ammontasse la eredità lasciata dall'usurajo, provò invincibile la tentazione di metterci le mani dentro, e il mezzo più facile e più sicuro per ciò vide subito esser quello di far sposare Luisa da Lorenzo. La fanciulla era una scempietta che non avrebbe mai avuto una volontà sua, che di certo avrebbe subìto dalla Marianna quella tirannìa che fin allora aveva sofferto da suo padre. Luisa poi aveva ancora agli occhî della governante un altro merito: era brutta.

      Lorenzo dapprima si rifiutò energicamente a tal disegno, ma l'ostinata donna, tanto più stimolata a spuntarla, finì per vincere, e nulla valse a salvare la povera Luisa dal suo triste destino.

      Da principio però ella non ebbe a dolersene: le parve anzi di non essere mai stata così bene: aveva cessato di fare la servaccia e godeva di alcuni agi e vantaggi della ricchezza, cui la spilorcerìa del padre non le aveva lasciato conoscere mai. Suo marito di certo non le inspirava nessun tenero affetto e nemmeno fiducia e stima; e il carattere violento di Lorenzo, che con tanta frequenza diventava bestiale, riuscì a incuterle una tremenda paura. Per un po' di tempo la Marianna ebbe verso Luisa un'apparenza di protezione e difesa, ma fu proprio breve quel tempo, perchè la serva-padrona ben presto prese in uggia quel mostricciuolo di donna, che, in fin dei conti, altro non erale che un impaccio e una seccatura.

      Allora fu una gara fra due anime malvagie a chi più tormentasse quella debole, impotente creatura abbandonata in loro balìa; così bene, che le miserie, i rabbuffi, gli stenti ch'ella aveva dovuto soffrire sotto la tirannìa paterna parvero a Luisa un nonnulla appetto alle sragionate violenze del marito, alle perfide persecuzioni della governante.

      Dopo cinque anni di matrimonio, ecco avverarsi un inaspettato avvenimento che rialzò l'animo accasciato della poveretta, le diede una energìa di cui nemmeno essa si sarebbe creduta capace: ella stava per essere madre!

      Fu una rivelazione per quella derelitta, cui nessuno aveva ancora amata, che fin allora non aveva amato nessuno mai. La sua facoltà affettiva, inerte, si destò a un tratto e di subito forte e risoluta. In quell'essere ancora ignoto che la Provvidenza le mandava si concentrò per lei la ragione di vivere, tutto il bene possibile sulla terra, una luce divina che rischiarava meravigliose mai più sognate plaghe nell'avvenire. Se essa poteva soffrire rassegnata ogni sopruso, ogni travaglio, non voleva, non doveva permettere che una sorte uguale, accogliesse nel mondo quella creaturina che Dio le affidava; era suo obbligo prepararle più soffice il nido, più mite l'aurora, per così dire, più sereno il cielo. Di qui nuovi e maggiori contrasti col marito e la governante. La notizia della prossima maternità di Luisa era stata accolta da Lorenzo colla sgarbata indifferenza del suo cinico egoismo, da Marianna con nuovo dispetto e un accrescimento di malevolenza. Ogni giorno avevano luogo scene violente, disgustose, vergognose fra quei due tristi e la loro vittima, la quale ora trovava un coraggio non avuto mai per difendere in sè stessa il figliuolo nascituro; ma ognuna di quelle scene portava via, per così dire, parte della vita alla povera donna, già così debole e cagionevole, di modo che quando giunse il momento del parto, l'infelice era affatto stremata di forze. Ella avrebbe voluto allattare il bambino essa stessa, ma il medico la persuase che ciò era impossibile; avrebb'ella voluto che la nutrice stesse in casa, per aver essa sempre seco suo figlio; ma questo la Marianna non voleva tollerare, e il marito lo negò assolutamente. In una cosa sola vinse il desiderio di Luisa; nella scelta del padrino.

      Dei congiunti che gli rimanevano, Lorenzo Lograve non aveva conservato relazione con alcuno, fuorchè con un cugino di secondo grado, Emilio Danzàno, ricco industriale, che da qualche tempo aveva rinunciato a fabbricare quei panni che lo avevano arricchito per godersi in pace gli agi onestamente acquistati e le dolcezze della famiglia. Nelle rare visite che si facevano, Luisa ammirò la tenerezza fiduciosa e concorde che aveva luogo fra i conjugi Danzàno e l'amore, l'attenzione di entrambi per un loro figliuoletto che, quand'ella si sentiva madre, contava appena tre anni o poco più. Un simile amore la poveretta sapeva pur troppo che suo figlio non lo avrebbe trovato nel padre, e pensò che quel galantuomo di Danzàno sarebbe stato un difensore, un ajuto al nascituro.

      Fu la sola contentezza che Luisa ebbe il vedere accettati per padrino e madrina i conjugi Danzàno.

      Ma non fu solamente contentezza, fu trasporto, ebbrezza, delirio di felicità quello che la povera donna provò, quando la levatrice le ebbe posto fra le braccia un fantolino che piagnucolava con appena udibil voce.

      Egli era grosso come un ranocchio, magro, schiacciato il viso, nero di carnagione, tutto rughe la pelle; eppure all'estasiata madre parve la bellezza di un angioletto sceso per lei dal paradiso.

      Ella aveva sofferto di molto, e dolori morali e tormenti fisici; ma tutti furono obliati, o meglio benedetti, poichè le avevano procurato tanto bene, tanta gioja, tanto rapimento.

      Il medico diceva che di molte cure aveva bisogno la puerpera: ma che grazie allo zelo di chi la vegliava avrebbe potuto essere salva anche la vita della madre. Giù da un paese montanino era arrivata una balia tanto fatta che poteva dirsi il ritratto della prosperità; e la giovane madre se n'era tutta rallegrata.

      A Lorenzo la nuova paternità non aveva prodotto grande entusiasmo di gioja; egli guardava con occhio fra dispettoso e mortificato quel scimiottino, e lo mortificavano viepiù i sogghigni, le ironìe, i compatimenti della Marianna.

      Luisa dapprima era stata un po' gelosa della balia, ma poi, visto che essa dimostrava molto affetto al bambino, e che questi suggeva con così avida soddisfazione l'alimento da quel turgido seno, le aveva posto subito un gran bene, e avrebbe fatto non so che cosa per contentarla. La balia mostrò un gran desiderio di avere un orologio, e Luisa, staccato dal capoletto il suo, glie lo diede.

      A sera, Lorenzo rincasando irritatissimo per una vistosa perdita al giuoco, eccitato dai fumi del vino e dei liquori, passò nella camera della moglie, e il suo occhio grifagno vide che l'orologio mancava dal suo solito posto. Ne chiese, e udito del regalo fattone alla balia, scoppiò senz'altro in una di quelle sue tremende collere che già agghiacciavano di terrore la poveretta quando era in salute.

      L'ammalata fu assalita da una violenta febbre, e quella sera medesima il medico la giudicò in pericolo.

      Due giorni dopo essa era morta.

      V

      Tutte queste cose passavano e ripassavano per la mente di Lorenzo; finchè pur finalmente venne un greve sopore che lo tolse a quella penosa fantasmagorìa. Fu destato da una mano, che, senza troppa precauzione, gli si posò sulla spalla. Aprì gli occhî e vide ritta presso al letto la Marianna.

      – Che cosa c'è?

      – C'è Danzàno.

      – Ebbene, che m'importa?

      – Vuole parlarti.

      – Ditegli


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