Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4. Botta Carlo

Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4 - Botta Carlo


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tutto il presidio di una sì gran città poco passava i cinquemila uomini, inclusi gli stanziali, le milizie ed i marinari. Dei primi, i quali erano il membro più grande della difesa, se ne annoveravano da circa due migliaia. Lavoravasi intanto con incessabile fatica alle fortificazioni. Consistevano le difese della città dalla parte di terra, da quel lato che si distende dietro di quella dal fiume Ashley a quello, che chiamano Cooper, in una tela di bastioni, di trincee e di batterie, ove si annoveravano ottanta grossi cannoni, e parecchie bombarde. Le opere esteriori, che fronteggiavano l'aperta campagna, erano da due fianchi protette da paludi, le quali nate dall'una parte e dall'altra dai due fiumi si distendevano all'indentro verso il miluogo posto tra i medesimi. Per serrare poi il passo di mezzo, le due paludi erano state congiunte da un canale artefatto, che correva dall'una all'altra. In mezzo allo spazio compreso tra queste opere esteriori e le trincee avevano gli Americani fatto due forti palafitte coll'aver ficcato dentro in terra grossi alberi di modo, che i rami colle punte loro fossero volti all'infuori. Tra le due palafitte avevano scavato un fosso molto affondo con entrovi l'acqua. Tra lo steccato interiore e le trincee avevano per maggior sicurezza fatte certe buche qua e là da trappolarvi dentro gli assalitori, se fin là fossero penetrati. Le trincee poi ed i ripari fattivi erano da fianco, cioè a riva i due fiumi da ambe le parti fortissimi, e sì fattamente costrutti, che le artiglierie loro tiravano rasente terra, e spazzavano la campagna. Ma le trincee nel mezzo essendo più deboli, si praticò in questo luogo un puntone ammattonato, il quale a guisa di rivellino fortificasse l'entrata della Terra, e la porta principale di lei coprisse. Quest'erano le fortificazioni, che stendendosi a traverso del promontorio dietro la città da un fiume all'altro, la difendevano dalla parte di terra. Ma sui due lati, dov'ella è bagnata dalle acque dei fiumi, avevano piantato spesse e grosse artiglierie su certi ripari fatti con molta diligenza, e costrutti, perchè meglio resistessero ai colpi delle artiglierie, con terra frammescolata al legno di palmetto. I luoghi poi, dove si sarebbe potuto sbarcare, avevano accuratamente fortificati con grosse palificate. Oltreacciò, e per cooperare con quella difesa, che dalle batterie di terra si sarebbe fatta, e per impedir alle navi inglesi il passo dentro del porto, apparecchiato avevano una nave, che portava 44 cannoni, sette fregate loro proprie, una fregata francese di 36 cannoni con altri legni minori, principalmente galee. Tutto questo barchereccio da principio con ottimo consiglio avevano fermato nello stretto passo, che si trova tra l'Isola di Sullivan ed il Middle-ground; nella quale positura se avessero continuato a starsene, avrebbero potuto grandemente danneggiare la flotta inglese nel suo approssimarsi al Forte Moultrie, posto su quell'isola, e tanto celebrato per la valorosa difesa fatta contro gli Inglesi nel 1776. Ma quando l'ammiraglio Arbuthnot si avvicinò colle sue navi allo scanno, abbandonato quel luogo, ed alle proprie forze il Forte Moultrie, si avvicinarono vieppiù alla città, ed andarono a porsi di traverso a quel canale, che non è altro che il fiume Cooper, e scorre tra il sinistro lato della città, ed un renaio assai basso, che chiamano Shutte's-folly. Ivi furono le fregate affondate in un con altri legni mercantili, e sopra di esse con gomene, catene e barre fu fatta come una barricata, che si stendeva da una riva all'altra; e per assicurarla vieppiù v'intralciaron dentro gli alberi delle navi affondate. Così non rimase agl'Inglesi altro impedimento all'entrar nel porto, ed a venir sopra alla città per cooperar colle genti di terra fuori di quello del Forte Moultrie. In cotal modo i Caroliniani con grand'animo si apparecchiarono contro gli assalti inglesi, stando anche in isperanza degli aiuti delle vicine province della Carolina Settentrionale, e della Virginia. Lincoln, e Rutledge grandissima lode meritarono per lo zelo e per l'industria singolari, coi quali si adoperarono nel confortar i popoli, e fortificar la città. Gli ingegneri francesi De-Laumoy, e De-Cambray con molt'arte gli secondarono. Furono gli stanziali posti a difendere le trincee, dov'era maggiore il pericolo, le milizie i lati a riva il fiume.

      Appena avuto assetto tutte queste cose, il dì 29 di marzo Clinton, lasciate le guardie a Wappoo-cut, dov'erano i magazzini, varcava colle altre genti, senza ostacolo veruno incontrare, il fiume Ashley a dodici miglia distante sopra Charlestown. E subito posto piede in terra mandò i soldati armati alla leggiera sì fanti che cavalli, ad occupar la strada maestra ed a correre il paese sino a gittata dei cannoni della città. Seguitò poscia tutto l'esercito, e pigliò gli alloggiamenti a traverso l'istmo dietro la città ad un miglio e mezzo distante. In tal modo fu del tutto infrachiusa la via di terra al presidio; ed essendo gl'Inglesi padroni delle rive dell'Ashley, gli rimaneva solo aperta a poter ottener rinfrescamento di vettovaglia e di genti quella a sinistra a traverso il fiume Cooper. Non tardarono i regj a trasportar al campo loro, prestando in ciò un'opera eccellente co' suoi battelli e galere il Capitano Elphinstone, le grosse artiglierie, le bagaglie e le munizioni sì da guerra che da bocca. La notte del primo aprile incominciarono a lavorare alle trincee, e nel termine di una settimana, avendo gli assediati tratto con poco frutto, già erano i cannoni posti sulle batterie e pronti a batter la piazza.

      Nel medesimo tempo l'ammiraglio Arbuthnot si era messo in punto per passare lo scanno, a fine di entrare nel porto di Charlestown. Le fregate, siccome più leggieri, trapassarono senza difficoltà alcuna. Ma a volere che le navi più grosse varcassero, fu mestiero alleggerirle col tor via le artiglierie, le munizioni e per fino l'acqua che portavano. Ebbe luogo il passaggio il dì 20 di marzo. Arbuthnot gettò l'ancora a Five-Fathom-Hole. Rimaneva a superarsi, perchè la sua armata potesse avvicinarsi a Charlestown e cooperare colle genti di terra, l'ostacolo del Forte Moultrie, alla guardia del quale era posto il colonnello Pinckney con un sufficiente presidio. L'ammiraglio inglese pigliando la opportunità di un vento da ostro, e della crescente, levate le ancore il dì nove aprile, e camminando a piene vele, passò oltre facilmente, ed andò a fermarsi a tiro di cannone dalla città presso l'isola di San Jacopo. Non aveva tralasciato Pinckney di sparar le sue artiglierie nel momento in cui gl'Inglesi passavano; ma tanta fu la celerità loro, che ne ricevettero poco danno. I morti ed i feriti non arrivarono a trenta. Solo una nave da carico fu abbandonata ed arsa.

      In questo stato di cose, essendo le batterie pronte a fulminare la piazza, e questa cinta quasi da ogni banda, Clinton e Arbuthnot ricercarono la città a Lincoln. Lo ammonirono con parole gravi delle calamità, che, se stesse ostinato, soprastavano alla città, dei terribili effetti di un assalto dato prosperamente, e che quella era la sola favorevole occasione, che gli si appresenterebbe per salvar la vita e la proprietà dei cittadini. Rispose animosamente l'Americano, volersi difendere. Avuta questa risposta, diedero tosto gl'Inglesi mano al trarre. Gli Americani dalle mura a più possa gli rimboccavano. Prevalevano gli assedianti, avendo più artiglierie, e massimamente bombarde, che facevano gran danno. Intanto i palaiuoli e maraiuoli, governati dal Montcrieffe, quegli stesso, che si era acquistato tanta lode nella difesa di Savanna, lavorando gagliardamente alle trincee, si facevano avanti. Già la seconda circonvallazione era condotta a compimento, e le batterie piantatevi. Ogni cosa prometteva una vicina vittoria agli Inglesi. Ma gli Americani avevano fatto una massa nelle parti superiori del fiume Cooper in un luogo detto Monk's-corner. Erano sotto la condotta del generale Huger. Potevano di là noiare gli assedianti alle spalle, rinfrescar di genti e di munizioni il presidio di Charlestown, e nell'estremo caso fargli ala al votar la città, ed al ritirarsi a luoghi sicuri nella campagna. Questa testa poi di genti, che tenevano il campo, avrebbe potuto servir d'incentivo e di nodo ad altre, che ad esse sarebbero venute ad accozzarsi. Già ricevuto avevano dalla settentrionale Carolina molto carreggio, armi, munizioni e bagaglie. Considerate tutte queste cose, Clinton si deliberò ad andargli a combattere primachè vieppiù s'ingrossassero. Mandò a questa bisogna con quattordici centinaia di soldati il colonnello Webster, acciocchè e quel nido di repubblicani sperperasse, e troncasse loro le vie per a Charlestown dalla parte del Cooper. Lo accompagnavano Tarleton e Fergusson, l'uno e l'altro molto arrischievoli condottieri di corridori. Avevano gli Americani posti gli alloggiamenti principali sulla sinistra riva di quel fiume, ed essendo padroni del ponte avevano anche mandato sulla destra tutta la cavalleria, colla quale grandemente prevalevano. Il luogo era forte, non essendovi adito al ponte, se non per un dicco, che scorreva a traverso di luoghi acquidosi e maremmani. Ma stavano a mala guardia, non avendo locato scolte all'intorno, nè fatto correre la contrada dai cavalleggieri. Inoltre l'ordinanza loro era da condannarsi, avendo posti i cavalli avanti ed i fanti dietro. Arrivarono gl'Inglesi improvvisi alle tre della notte. Fatto un gagliardo impeto smagliarono e ruppero tosto l'inimico. Chi non fuggì, fu morto. Il generale Huger, ed i colonnelli Washington e Jamieson cacciatisi nelle vicine paludi, col favore delle tenebre scamparono. Quattrocento cavalli, assai preziosa preda, vennero in poter dei vincitori con molti carri


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