Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II. Elia Augusto
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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II
CAPITOLO XIX
Era il mese di aprile, e notizia giungeva che in Sicilia si combatteva per scuotere il giogo borbonico e per la libertà. Già Francesco Crispi, anima della parte più avanzata degli esuli siciliani, presi accordi con Mazzini e col dittatore Farini, che pure era sempre inclinato a tutti gli ardimenti per l'unificazione della patria, si era arrischiato a recarsi nascostamente in Sicilia per dare anima e forza all'insurrezione; i patrioti s'intesero e la sollevazione dell'isola, che le brutalità del governo borbonico avevano resa fremente di libertà, fu deliberata. – Si decise di fare del Convento della Gancia la base di operazione della rivoluzione; e così fu. All'alba del 4 aprile, il suono delle campane a stormo chiamava all'armi la città di Palermo. Alla testa degli animosi, che dovevano cominciare il fuoco, era il popolano Francesco Riso, anima di patriota e di eroe.
Fatalmente, come avviene sempre nelle cospirazioni, vi fu il delatore, che informò il Maniscalco, il quale nella notte fatti occupare tutti gli sbocchi che portavano al Convento, si tenne preparato per soffocare nel sangue la sommossa popolare.
Al suono delle campane fu pronto il Riso ad uscire dal Convento, e furono pronte altre squadre per sostenerlo. Ma sopraffatti dalle soldatesche borboniche che sbucavano da ogni parte, furono ben presto accerchiati e risospinti nel Convento, ove i prodi difensori venderono cara la loro vita; assieme coi trucidati caddero da eroi il Riso ed il Padre Angelo di Monte Maggiore.
Anche le bande armate, che secondo gli accordi da ogni parte si erano accostate ai sobborghi ed alle porte della città, dovettero ritirarsi ai monti non essendo più sostenute dalla insurrezione interna; ma la rivolta non era vinta perchè le squadre non si sgomentarono e non si sciolsero, ma si mantennero nelle alture resistendo agli attacchi.
Al generale Garibaldi furono resi noti questi fatti; ma in seguito le notizie giungevano troppo incerte: quali dicevano che anche gli insorti delle campagne erano stati domati; quali invece affermavano che essi mantenevano coraggiosamente vivo il fuoco dell'insurrezione, dando filo da torcere alle truppe borboniche.
Bisognava accertarsi del vero stato delle cose dell'Isola, e Rosolino Pilo e Corrao, cari patrioti siciliani, si presero l'impegno di sfidare il pericolo di recarsi in Sicilia per abboccarsi cogli insorti, infondere in essi nuova lena per la resistenza e mandare informazioni. A tale uopo Garibaldi consegnava loro una lettera con caldo appello ai patrioti siciliani.
Intanto anche Nicola Fabrizi, grande patriota, mandava da Malta a Crispi non liete novelle sull'insurrezione siciliana. Ma Crispi che voleva far decidere risolutamente Garibaldi alla spedizione, faceva sapere a modo suo che le notizie erano buone.
I più decisi erano Crispi, Bertani, Bixio; Stefano Türr dichiarava che avrebbe seguito Garibaldi in qualsiasi spedizione. Sirtori faceva la stessa dichiarazione; Medici decideva di rimanere per seguire il generale con altre spedizioni.
Le insistenze di Crispi, di Bertani, di Bixio, la vinsero. Il 1o di maggio dalla bocca di Garibaldi usciva la fatidica parola "Partiremo!" Elia, che si teneva sempre presso al generale e che ebbe l'incarico di preparare gli equipaggi, avrebbe voluto chiamare i marinari che aveva avuto sotto i suoi ordini nei legni armati a Rimini, ma Garibaldi non credette di accordargli tale consenso, perchè non voleva si propagasse troppo la notizia della spedizione. A Genova vi erano buoni marinari, fra i quali i nostromi Lorenzo Carbonari, Demetrio Conti e Fabi Eugenio; li arruolò e mandò il Capitano della Marina Mercantile Carlo Burattini, per arruolarne altri a Livorno. Bixio ebbe l'incarico di provvedere al resto, e fu aiutato dal patriota garibaldino Francesco Carbone. Occorrevano vapori e fissò col Rubattino la presa di possesso, a momento opportuno, dei due vapori "Piemonte" e "Lombardo". Tutto fu in breve pronto. Nella notte del 4 al 5 maggio chiamato in casa sua Andrea Rossi (uno dei comandanti dei legni armati a Rimini) ed Elia, Bixio dispose che Rossi prendesse possesso senza rumore del "Piemonte" con metà dell'equipaggio e con Schiaffino ed Elia, con l'altra metà dell'equipaggio e con Menotti Garibaldi, s'impossessasse del "Lombardo".
La presa di possesso dei vapori fu eseguita col massimo ordine e silenzio. Quando Bixio arrivò col rimorchiatore, gli ormeggi erano già stati abbandonati, e tutto era pronto. Accodato al rimorchiatore il "Piemonte", e dietro al "Piemonte" il "Lombardo", alle 5 del mattino del 5 maggio i vapori erano già fuori di Quarto, per ricevere a bordo il generale Garibaldi ed i mille suoi seguaci.
Prima d'imbarcarsi il generale Garibaldi aveva raccomandato al suo grande amico Medici di preparare altre legioni che, da lui comandate, lo avessero raggiunto in Sicilia se la sorte gli fosse stata propizia – e il Medici, ossequiente ai desideri di Garibaldi, scriveva al Panizzi a Londra così:
Caro Panizzi,
"Garibaldi con 1000 uomini corre il mare in due battelli a vapore da ieri mattina alla volta della Sicilia. L'impresa è generosa; Dio la proteggerà, e proteggerà la fortuna dell'eroico condottiero.
"Io sono rimasto per appoggiare l'ardita iniziativa con una seconda spedizione, o meglio con una potente diversione altrove; ma i mezzi ci mancano. Bertani ha fatto miracoli di attività che molto hanno prodotto, ma che la prima spedizione ha completamente esauriti.
Caro Panizzi, non lasciarci soli, non lasciamo solo il nostro Garibaldi e i suoi generosi compagni".
Effettuatosi l'imbarco nel più breve tempo possibile, si fece rotta per la riviera di Levante a piccola velocità attenti tutti se si vedevano le barche che ci dovevano portare a bordo le carabine inglesi, i revolvers e le munizioni.
Appena montato sul ponte di comando del "Piemonte" Garibaldi aveva domandato al Castiglia ed al Rossi se si erano imbarcate queste armi. Avuta risposta negativa, sorse nella sua mente un terribile dubbio: egli fece tosto segnalare al "Lombardo" di accostarsi e arrivato a portata, con voce tonante, gridò:
– Bixio, quanti fucili e munizioni avete caricati?
– Mille fucili – rispose Bixio.
– E i revolvers, le carabine e le cartucce? ribatté Garibaldi.
– Null'altro, replicò Bixio.
Fu un brutto colpo – e si pensò ad un basso tradimento – Anche da Livorno ci dovevano venire armi e munizioni, ma anche quelle mancarono.
Il "Piemonte", comandato da Garibaldi in persona, procedeva avanti. Aveva per ufficiali, sotto gli ordini suoi, Castiglia comandante in seconda, Rossi, Schiaffino e Gastaldi; con Garibaldi erano Crispi, Türr, Sirtori, Missori, e Nuvolari.
Seguiva il "Lombardo" comandante Bixio, secondo comandante Elia, ufficiali Dezza, Menotti Garibaldi, e Carlo Burattini, capo macchinista Orlando Giuseppe.
Per quanto costeggiando, si cercassero per ogni dove, le barche con le armi e munizioni non si presentavano in vista; e perduta ormai la speranza, il generale ordinò rotta a tutta forza pel canale di Piombino.
Il "Piemonte" ed il "Lombardo" portavano sul loro bordo l'Italia e la sua fortuna; se la spedizione riusciva, l'unità della patria era assicurata; se falliva, i Mille sarebbero sempre rimasti immortali!
La spedizione del resto non si nascondeva al nemico: la pubblicità data alla lettera lasciata da Garibaldi a Bertani prima della partenza, la rendeva nota al mondo. Eccola:
Mio caro Bertani,
"Spinto nuovamente sulla scena degli avvenimenti patrii, io lascio a voi il seguente incarico.
"Raccogliere quanti mezzi sono possibili per coadiuvarci nella nostra impresa.
"Procurare di far capire agli Italiani, che se saremo aiutati devotamente, sarà fatta l'Italia in poco tempo e con poca spesa; ma che non avranno fatto il dovere, quando si limiteranno a qualche sterile sottoscrizione.
"Che l'Italia libera, d'oggi in luogo di 20,000 soldati deve armarne 500,000, numero non certamente sproporzionato alla popolazione,