Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon
dallo zelo ed interesse privato della famiglia di Teodosio. Quattro fratelli160 avevano ottenuto dal favore del defunto Imperatore, loro parente, un onorevole grado e vaste possessioni nella lor patria; ed i grati giovani risolverono di rischiare tali vantaggi in servizio del figlio di esso. Dopo un infelice sforzo per difendere il terreno alla testa delle truppe che erano di guarnigione nella Lusitania, si riunirono nello lor terre, dove levarono ed armarono a proprie spese un corpo considerabile di schiavi e di dipendenti, ed arditamente marciarono ad occupare i luoghi forti de' monti Pirenei. Questa domestica sollevazione agitò, e rendè perplesso il Sovrano della Gallia e della Britannia, e fu costretto a negoziare con alcune truppe di Barbari ausiliari pel servizio della guerra Ispanica. Essi eran distinti col titolo di Onoriani161: nome, che avrebbe dovuto rammentar loro la fedeltà al legittimo Principe; e se voglia candidamente accordarsi, che sopra gli Scoti influisse qualche parziale affezione per un Sovrano Britannico, i Mori ed i Marcomanni furono solo tentati dalla prodiga profusione dell'usurpatore, che distribuiva fra' Barbari i militari ed anche i civili onori della Spagna. Le nove bande degli Onoriani, che facilmente si possono ravvisare nello stabilimento dell'Impero Occidentale, non potevano eccedere il numero di cinquemila uomini: pure questa piccola forza fu sufficiente a terminare una guerra, che avea minacciato il potere e la salvezza di Costantino. La rustica armata della famiglia di Teodosio fu circondata e distrutta ne' Pirenei; due dei fratelli ebbero la buona fortuna di fuggire per mare in Italia o in Oriente; gli altri due, dopo qualche intervallo di sospensione, furono decapitati in Arles; e se Onorio potè rimanersi insensibile alla calamità pubblica, egli dovè forse commuoversi alle personali disgrazie de' suoi generosi congiunti. Tali erano le deboli armi, che decidevano del possesso delle Province Occidentali d'Europa, dalla muraglia d'Antonino fino alle colonne d'Ercole. Si sono certamente diminuiti gli avvenimenti di pace e di guerra dall'angusta ed imperfetta vista degl'Istorici di quei tempi, ch'erano ugualmente ignoranti delle cause e degli effetti delle più importanti rivoluzioni. Ma la total decadenza della forza nazionale aveva annientato anche l'ultima ragione d'un Governo dispotico; ed il prodotto dell'esauste Province non potea più servire a comprare il militar servizio d'un popolo malcontento e pusillanime.
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Il poeta, l'adulazione del quale attribuì all'Aquila Romana le vittorie di Pollenzia e di Verona, incalza la precipitosa ritirata d'Alarico, dai confini dell'Italia, con un'orrida serie d'immaginari spettri, quali potevano volare intorno ad un'armata di Barbari, quasi esterminata dalla guerra, dalla carestie dal disagio162. Nel corso di questa infelice spedizione dovè invero il Re dei Goti soffrire una perdita considerabile; e le indebolite sue forze richiedevano un intervallo di riposo per reclutare i soldati, e per ravviarne il coraggio. L'avversità esercitato aveva ed esteso il genio d'Alarico; e la fama del suo valore invitava allo stendardo Gotico i più valorosi guerrieri Barbari, che dal Ponto Eussino fino al Reno eran mossi dal desiderio della rapina e della conquista. Egli avea meritato la stima, e tosto accettò l'amicizia di Stilicone medesimo. Rinunziando al servizio dell'Imperatore Orientale, Alarico conchiuse con la Corte di Ravenna un trattato di pace e d'alleanza, in forza del quale fu dichiarato Generale degli eserciti Romani per la Prefettura dell'Illirico, come si pretendeva, secondo i veri ed antichi limiti, dal Ministro d'Onorio163. L'esecuzione dell'ambizioso disegno, che era stato stipulato o compreso negli articoli del trattato, par che restasse sospesa dalla formidabile irruzione di Radagaiso; e la neutralità del Re Goto può forse paragonarsi all'indifferenza di Cesare, che nella cospirazione di Catilina ricusò d'assistere, o di opporsi al nemico della Repubblica. Dopo la disfatta dei Vandali, Stilicone riassunse le sue pretensioni sulle province Orientali; creò de' Magistrati civili per l'amministrazione della giustizia e delle finanze; e dichiarò l'impazienza che avea di condurre alle porte di Costantinopoli gli uniti eserciti de' Romani e de' Goti. La prudenza però di Stilicone, l'avversione d'esso alla guerra civile, e la perfetta cognizione, che aveva della debolezza dello Stato, possono confermare il sospetto, che lo scopo della sua politica fosse più la pace interna, che la conquista di fuori, e che la principale sua cura fosse quella d'impiegar le forze d'Alarico in distanza dall'Italia. Questo disegnò non potè lungamente sfuggire la penetrazione del Gotico Re, il quale continuò a tenere una dubbiosa e forse perfida corrispondenza con le Corti rivali fra loro, prolungò, a guisa di mal pagato mercenario, le sue languide operazioni nella Tessaglia e nell'Epiro, e ben presto tornò a domandare lo stravagante premio de suoi inefficaci servigj. Dal suo campo vicino ad Emona164, su' confini dell'Italia, trasmise all'Imperatore dell'Occidente una lunga serie di promesse, di spese, e di domande; richiese l'immediata soddisfazione di esse, e chiaramente intimò le conseguenze d'un rifiuto. Se nondimeno la sua condotta era ostile, decente e rispettoso n'era il linguaggio. Si professava umilmente amico di Stilicone, e soldato d'Onorio; offeriva la sua persona e le sue truppe per marciar senza indugio contro l'usurpator della Gallia; e chiedeva, come una permanente dimora per la nazione Gotica, il possesso di qualche vacante Provincia dell'Impero occidentale.
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I politici e segreti trattati di due Ministri, che procuravano d'ingannarsi l'un l'altro, e d'imporre al Mondo, avrebbero per sempre dovuto restar nascosti nell'impenetrabile oscurità del gabinetto, se i dibattimenti d'una popolare assemblea non avesser gettato qualche raggio di luce sulla corrispondenza d'Alarico e di Stilicone. La necessità di trovar qualche artificial sostegno ad un governo, che per un principio non già di moderazione ma di debolezza erasi ridotto a trattare coi propri sudditi, aveva insensibilmente fatto risorgere l'autorità del Senato Romano; ed il Ministro d'Onorio consultava rispettosamente il consiglio legislativo della Repubblica. Stilicone adunò il Senato nel palazzo dei Cesari; rappresentò in una studiata orazione lo stato attuale degli affari; propose le domande del Re Goto, e sottopose alla loro considerazione la scelta della pace o della guerra. I Senatori, come se ad un tratto si fossero svegliati da un sonno di quattrocent'anni, parvero in quest'importante occasione inspirati più dal coraggio, che dalla saviezza dei loro predecessori. Altamente dichiararono in regolari discorsi, o in tumultuarie acclamazioni, ch'era indegno della Maestà di Roma il comprare una precaria e disonorevole tregua da un Re Barbaro, e che, a giudizio d'un magnanimo popolo, sempre il rischio della rovina era preferibile alla certezza del disonore. Il Ministro, le pacifiche intenzioni del quale non erano secondate che dalle voci di pochi servili e venali seguaci, tentò di mitigare il general fermento per mezzo d'un'apologia della sua condotta, ed anche delle richieste del Principe Gotico. «Il pagamento d'un sussidio (tale fu il linguaggio di Stilicone) che aveva eccitato lo sdegno dei Romani, non doversi risguardare nell'odioso aspetto o d'un tributo, o d'una taglia, che venga estorta dalle minacce d'un Barbaro nemico. Avere Alarico fedelmente sostenuto le giuste pretensioni della Repubblica sopra le Province, che s'erano usurpate dai Greci di Costantinopoli; egli modestamente chiedere la bella convenuta ricompensa de' suoi servigj; e se avea desistito dal proseguire l'impresa, ritirandosi, aveva obbedito alle perentorie, quantunque private, lettere dell'Imperatore medesimo. Questi ordini contraddittorj (non voleva egli dissimulare gli errori della sua propria famiglia) s'erano procurati dall'intercession di Serena. La tenera pietà di sua moglie troppo era stata profondamente commossa dalla discordia dei fratelli reali, figli dell'adottivo padre di lei; ed i sentimenti della natura troppo facilmente avevan prevalso ai forti dettami del pubblico bene». Queste speciose ragioni, che debolmente mascheravano gli oscuri intrighi del palazzo di Ravenna, furono sostenute dall'autorità di Stilicone, ed ottennero, dopo un forte contrasto, la ripugnante approvazione del Senato. Si acchetò il tumulto della libertà e del valore, e fu accordata, sotto nome di sussidio, la somma di quattrocento libbre d'oro per assicurar la pace dell'Italia, e conciliar l'amicizia del Re dei Goti. Lampadio solo, uno dei più illustri membri di quell'assemblea, continuò a persistere nel suo sentimento; esclamò ad alta voce: «questo non è un trattato di pace, ma di servitù165» ed evitò il pericolo d'un'opposizione sì audace con ritirarsi immediatamente nell'asilo d'una Chiesa Cristiana.
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Ma il regno di Stilicone andava a finire, ed il superbo Ministro potè ravvisare i segni della sua imminente disgrazia. S'era fatto applauso al generoso ardir di Lampadio; ed il Senato, che aveva con tanta pazienza tollerato una lunga servitù, rigettò sdegnosamente l'offerta
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Veriniano, Didimo, Teodosio, e Lagodio, che nelle Corti moderne si chiamerebbero Principi del sangue, non eran distinti con verun grado o privilegio dal resto dei sudditi.
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Questi
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Questi oscuri fatti sono investigati dal. Conte Di Buat (
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Vedi Zosimo l. V. p. 334, 335. Esso interrompe la breve sua narrazione per riferire la favola d'Emona, e della nave Argo, che fu tratta per terra da quel luogo sino all'Adriatico. Sozomeno (l. VIII, c. 25) e Socrate (l. VII. c. 10) vi gettano una dubbiosa e pallida luce, ed Orosio (l. VII. c. 38. p. 571) è abbominevolmente parziale.
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Zosimo (l. V. p. 338, 339) ripete le parole di Lampadio, come dette in Latino,