Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13. Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13 - Edward Gibbon


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alla distanza che fu presa una palla di due quintali, abbisognerebbe un quintale e mezzo di polvere; la qual massa non potendo in un tratto accendersi tutta, la palla uscirebbe, prima che il quindicesimo della polvere avesse preso fuoco, e sarebbe animata quindi da un minimo impulso. Ignorante, come confesso di esserlo in quest'arte struggitrice, aggiugnerò soltanto che la scienza dell'artigliere, di tanto migliorata ai dì nostri, preferisce il numero alla grossezza de' pezzi, la vivacità del fuoco allo strepito, o anche all'effetto di un solo scoppio. Nondimeno non ardisco rifiutare una testimonianza positiva ed unanime de' contemporanei, nè dee parere inverisimile che i primi fonditori, condotti, ne' loro sforzi, più dall'ambizione che dal sapere, tentassero ancora cose oltre al possibile. Però un cannone turco, più grande ancora, nelle dimensioni, del cannone di Maometto, custodisce tuttavia l'ingresso de' Dardanelli, e benchè ne sia incomodo l'uso, una recente prova ha dimostrato esserne tutt'altro che da disprezzarsi gli effetti. Tre quintali di polvere lanciarono lontano seicento tese un sasso pesante undici quintali; questo andò in tre pezzi, che attraversarono il canale lasciando il mare coperto di spuma, e percossero l'opposta collina, e con forza ne vennero rimbalzati84.

      A. D. 1453

      Intanto che Maometto minacciava la Capitale dell'Oriente, l'Imperatore greco implorava con ferventi preci i soccorsi della terra e del Cielo; ma le potenze invisibili erano sorde alle sue supplicazioni, e la Cristianità vedea con indifferenza la caduta di Costantinopoli che non avea omai altra speranza di soccorso, fuorchè nella gelosia politica del Sultano d'Egitto. Fra gli Stati che avrebbero potuto soccorrere Costantinopoli, quali erano troppo deboli, quali troppo lontani; alcuni riguardavano immaginario il pericolo, altri inevitabile. I Principi dell'Occidente badavano soltanto alle interminabili querele che li disunivano; il Papa non sapea perdonare ai Greci la loro ostinazione, o doppiezza; ed anzi Nicolò V in vece di adoperare la sua mediazione perchè le armi e le ricchezze dell'Italia li favorissero, predisse la prossima lor distruzione; onde pel suo onore desiderava quasi l'adempimento di tal profezia.

      Parve che provasse un istante di compassione allor che li vide al grado ultimo del disastro; ma questa compassione venne troppo tardi, e gli sforzi che produsse, mancando d'energia come di successo, Costantinopoli era già in mano de' Turchi, prima che le squadre di Genova e di Venezia uscissero dei loro porti per andarne in soccorso85; gli altri Principi, e persin quelli della Morea e delle isole della Grecia, si mantennero in una fredda neutralità: la colonia genovese dimorante a Galata negoziò a parte col Sultano, il quale non le tolse la lusinga che la sua clemenza le avrebbe permesso di sopravvivere alla rovina dell'Impero. Una gran parte di plebei, ed alcuni nobili abbandonarono da vili il loro paese, quando imminente era il pericolo; l'avarizia fece che i ricchi negassero all'Imperatore, e conservassero pei Turchi quelle ricchezze con cui poteano stipendiarsi più eserciti di mercenarj86. In tale stato d'invilimento e derelizione, Costantino si preparò nullameno a sostenere lo scontro col suo formidabil nemico, e per vero, il coraggio del Principe greco pareggiava i pericoli che gli sovrastavano; ma troppo minori erano le sue forze della lotta da sostenersi. Fin dai primi giorni di primavera, l'antiguardo turco, impadronitosi de' borghi e de' villaggi fino alle porte di Costantinopoli, concedea protezione e vita a quelli che si sommettevano; ma sterminava col ferro e col fuoco qualunque paese tentasse resistere. Mesembria, Acheloo e Bizon, città che sul mar Nero rimanevano ai Greci, si arrendettero alla prima intimazione. Unicamente Selimbria meritò l'onore di un assedio, o di un blocco, perchè i prodi suoi abitanti, intanto che erano stretti dal lato di terra, si posero in mare, corsero a devastar la costa di Cizico, e di ritorno, vendettero in mezzo alla pubblica piazza i prigionieri che in questa correria avevano fatti. Ma il silenzio, la sommessione furono generali all'arrivo di Maometto che pose il suo campo cinque miglia distante dalla Capitale del greco Impero, ed avanzatosi indi col suo esercito schierato in battaglia, collocò dinanzi alla Porta di S. Romano il proprio stendardo, dando incominciamento al memorabile assedio di Costantinopoli.

      Le milizie europee ed asiatiche di Maometto teneano tutto lo spazio di destra e sinistra dalla Propontide al porto. I giannizzeri occupavano il fronte rimpetto alle tende di Maometto; una profonda fossa copriva le linee ottomane, e un corpo di Turchi a parte circondava il sobborgo di Galata, tenendosi in guardia contro la mal certa fede dei Genovesi. Filelfo, che, trent'anni prima dell'assedio dimorava in Grecia, fondandosi sopra dati accuratamente raccolti, assicura che le forze de' Turchi, tutte comprendendole senza eccezione, non poteano oltrepassare i sessantamila uomini di cavalleria e i ventimila di fanteria, rampognando alle nazioni cristiane la pusillanimità di essersi così docilmente sottomesse ad un pugno di Barbari. E per vero dire, se non si calcolassero che i Capiculi87, soldati della Porta che andavano di conserva col Principe e dal suo erario venivano stipendiati, il loro numero doveva starsi all'incirca col calcolo di Filelfo; ma è da osservarsi che i Pascià mantenevano, o reclutavano una milizia provinciale a parte ne' proprj governi; che eranvi molti paesi soggetti ad una contribuzione militare; che per ultimo l'esca del bottino attraeva una grande moltitudine di volontarj sotto lo stendardo di Maometto; e lo squillo della sacra tromba, dovette condurvi uno sciame di fanatici affamati ed intrepidi, che, se altro non fosse, accrebbero lo spavento dei Greci e ne rintuzzarono al primo assalto le spade. Duca, Calcocondila, e Leonardo da Chio, fanno ascendere a trecento o quattrocentomila uomini l'esercito del Sultano; ma Franza, trovatosi in maggior vicinanza del campo, e meglio quindi in istato d'instituire le sue osservazioni, non contò più di dugencinquantottomila uomini, calcolo ragionevole che non oltrepassa nè i fatti che si sanno, nè i limiti della probabilità88. Men formidabile era la forza marinaresca degli assedianti; perchè comunque trecentoventi legni si stessero nell'acque della Propontide, solamente diciotto di questi meritavano di essere nominati navi da guerra, non consistendo quasi tutto il rimanente, se non se in piccioli navigli da trasporto, che versavano nel campo ottomano e uomini, e munizioni, e vettovaglie; e Costantinopoli, in questo suo stato di massima debolezza, contenea tuttavia più di centomila abitanti, che però tra i prigionieri, non fra i combattenti, fecero numero; operaj la maggior parte, preti, donne e uomini sforniti di quel coraggio, che talvolta per la comune salvezza le medesime donne hanno saputo mostrare. Comprendo, e sarei quasi proclive a scusare la renitenza di que' sudditi, che per obbedire alle voglie di un tiranno si vedono costretti a portar le armi in lontane contrade; ma colui che non ardisce cimentare la propria vita per difendere i propri averi ed i figli, ha perduta fra gli uomini i sentimenti più operosi e caratteristici dell'umana natura. Giusta un ordine dell'Imperatore, i suoi ufiziali si trasportarono in ciascun rione per prendere un registro di que' cittadini, non esclusi i frati, che fossero abili e pronti ad armarsi in difesa del loro paese; catalogo che fu rimesso a Franza89 il quale, preso da dolore e confusione ad un tempo, portò l'annunzio al Sovrano, che tutto il numero dei difensori della nazione si riduceva a quattromila novecentosettanta Romani; infausta verità che Costantino e il suo fedele Ministro procurarono di tenere celata, intanto che venne tratto dall'arsenale un corrispondente numero di scudi, di balestre e di archibusi. Si aggiugnea il sussidio di duemila stranieri, comandati da Giovanni Giustiniani, Nobile genovese, al quale, oltre all'essere stata pagata anticipatamente e con generosità la sua soldatesca, venne promessa l'Isola di Lesbo in premio del suo valore e de' suoi buoni successi. Venne indi tirata dinanzi all'ingresso del Porto una grossa catena, cui difendevano alcune navi da guerra e mercantili, così greche come italiane, e furono trattenute pel servigio pubblico tutte le navi della Cristianità che, a mano a mano, giugneano dal mar Nero e dall'Isola di Candia. Dopo tutti questi provvedimenti, una Capitale di tredici, o forse sedici miglia di circonferenza, non poteva opporre a tutte le forze dell'Impero ottomano che una guarnigione di sette, o ottomila soldati. Stavano aperte agli assedianti l'Asia e l'Europa, mentre le forze e i viveri de' Greci scemavano ogni giorno senza che di fuori potessero sperare verun soccorso.

      A. D. 1452

      I primi Romani avrebbero impugnate l'armi, deliberati di vincere o di morire. I primi Cristiani si sarebbero abbracciati fra loro, aspettando con rassegnazione e carità la corona del martirio; ma i Greci di Costantinopoli, comunque non sentissero fervore che per gli affari di religione, non ne traevano altro frutto, che di reciproche nimistà e discordie. L'Imperatore Giovanni Paleologo avea, prima di morire, abbandonato il divisamento


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<p>84</p>

Il Barone di Tott (t. III, p. 85-89), che nell'ultima guerra fortificò contro i Russi i Dardanelli, ha descritto, con tuono enfatico ed anche comico, la sua prodezza e la costernazione in cui furono gli Ottomani. Ma questo ardimentoso viaggiatore non possede l'arte d'inspirar confidenza.

<p>85</p>

Non audivit indignum ducens, dice l'ingenuo Antonino; ma poichè i timori e la vergogna non tardarono a crucciar l'animo del Pontefice, il Platina dice in tuono d'abile cortigiano: In animo fuisse Pontifici juvare Graecos. Enea Silvio dice ancora in termini più asseveranti: Structam classem, ec. (Spond., A. D. 1453, n. 3).

<p>86</p>

Antonino, in Proëm. epist. cardinal. Isid., ap. Spond. Il dottore Iohnson ha ottimamente espressa questa circostanza caratteristica nella sua tragedia, l'Irene.

The groaning Greeks dig up the golden caverns,

The accumulated wealth of hoarding ages;

That wealth which, granted to their weeping prince,

Had rang'd embattled nations at their gates.

I quali versi così furono trasportati nella nostra lingua:

Dal grembo della terra, ove gli avari

Progenitori li celaro, a stento

Le gemme e l'oro ritogliean; tesori

Che, del lor prence conceduti al pianto,

Falangi di guerrieri avrian condotte

Nanti le porte di Bisanzo, e salva

Da servitù de' Cesari la sede.

<p>87</p>

Presso i Turchi, le truppe poste a guardar il palagio chiamansi Capiculi, quelli che difendono le province Seratculi. La maggior parte de' nomi e delle istituzioni della milizia turca precedevano il Canone Nameh di Solimano II, sul qual codice il Conte Marsigli, giovandosi anche della propria esperienza, compose il suo Stato militare dell'Impero ottomano.

<p>88</p>

L'osservazione di Filelfo venne confermata nel 1508 da Cuspiniano (De Caesaribus in epilog. de militia turcica, p. 697). Il Marsigli prova che gli eserciti effettivi de' Turchi son men numerosi assai di quanto appariscono. Leonardo da Chio, non conta più di quindicimila giannizzeri nell'esercito che assediò Costantinopoli.

<p>89</p>

Ego, eidem (Imperatori) tabellas exhibui, non absque dolore et maestitia, mansitque apud nos duos, aliis occultus numerus. (Franza, lib. III, c. 8). Purchè si perdonino a Franza alcuni pregiudizj nazionali, non saprebbe desiderarsi un testimonio più autentico di lui, sia intorno ai fatti pubblici, sia intorno ai consigli privati.