Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro
di Corradino, ma supponendolo devoluto alla Sede Appostolica, dominarlo con assoluto, ed indipendente imperio, nulladimanco con mirabile astuzia dissimulava il tutto; e per maggiormente farlo cadere nelle sue reti, vie più mostravasi di lui tutto umile ed ubbidiente; anzi per segno di maggior venerazione, essendosi Innocenzio già incamminato, volle andare ad incontrarlo, insino a Cepperano, e quivi incontratolo, volle inginocchione adorarlo, e prendendo da poi il freno del suo cavallo, lo servì in cotal maniera per un pezzo di strada insino che passasse il ponte di Garigliano[29].
Innocenzio gradì tanto queste umili dimostrazioni, che ancorchè vecchio, e per esperienza prudentissimo, si lasciò ingannare, in guisa, che oltre aver conferito con lui quasi tutti i suoi più riposti pensieri, credendo, che conserverebbe la più sopraffina divozione alla Sede Appostolica, volle cumularlo di maggiori onori; poichè oltre avergli dato il primo luogo fra tutti i Baroni, lo creò Vicario del Regno, dal Faro insino al fiume Sele, e per tutto il Contado di Molise, e terra Beneventana, eccettuatone il Giustizierato d'Abruzzo, costituendogli ottomila oncie d'oro l'anno di mercede; e la carta di questa concessione la rapporta ancora il Tutini[30]; ed essendosi già sparsa fama per tutto il Regno, che il Papa con accordo e permissione di Manfredi era entrato nel Regno per amministrarlo, i popoli, che stavano infastiditi de' trattamenti, che ricevevan da' Tedeschi, erano già tutti disposti per riceverlo, riputando in cotal guisa poter uscire dalla loro servitù, ed esser fuori di periglio d'esser più interdetti dagli Ufficiali sacri[31]. E questo fu cagione, che Manfredi con grandissime astuzie consigliò il Papa, che compartisse il suo esercito per le più ricche province del Regno: dal quale consiglio ne avvenne, che i Capitani tedeschi, parte per timore dell'esercito del Papa, parte per la mala volontà, che conosceano ne' popoli, i quali ricusavano di pagare a' Tedeschi cos'alcuna, si partirono dal Regno, e tornarono in Germania delusi da Manfredi, con lasciarne solo in Puglia, ed in terra d'Otranto alcuni, i quali appena potendo vivere, non avendo paghe, andavano sempre più mancando di numero. Così Manfredi toltisi dattorno i Tedeschi, i quali gli davano maggior sospetto, che i nemici palesi, e tratto tratto acquistando forza in quelle province, ove era egli stato creato Vicario dal Papa, cercava ora opportunità, come potesse discacciarne i costui soldati, che compartiti in più luoghi, infra di loro divisi, credeva con più facilità debellare.
Intanto il Pontefice entrato nel Regno, prima fermossi a Teano per picciola indisposizione, e poi giunse in Capua, ove fu ricevuto con molta pompa e celebrità[32]; e quivi fermatosi, era tutto inteso ad unire sotto il dominio della Sede Appostolica tutte le altre province del Regno di Puglia e di Sicilia, come avea fatto dell'Abruzzo, di Terra di Lavoro, parte della Puglia, e d'alcune altre. Avea egli fatto Legato della Sede Appostolica sopra il Regno il Cardinal di S. Eustachio, suo nipote, al quale avea data tutta la sua autorità e potere per amministrarlo. Questi essendo giovane, e congiunto ad Innocenzio[33], cominciò con alterigia a governarlo, non come Governadore, ma come assoluto padrone, ed obbligava i Conti, i Baroni e tutti gli altri a dargli il giuramento di fedeltà, nullo jure Regis, et Principis salvo (come dice l'Anonimo) ma assolutamente a lui, come Legato della Sede Appostolica, a cui era il Regno devoluto. Per questa cagione pretendeva ancora, che il Principe Manfredi, siccome avean fatto gli altri Baroni, dovesse prestar a lui consimil giuramento di fedeltà.
Allora fu, che Manfredi opportunamente cominciò pian piano a togliersi il velo della simulazione, ed a resistere apertamente al Legato con dirgli, che le convenzioni avute col Pontefice erano state, che si lasciasse in mano della Chiesa il governo del Regno, salve però le sue ragioni e quelle del nipote, ed infino a tanto che il pupillo non sarà fatto pubere, non dovesse mutarsi cos'alcuna dello stato, nel quale era il Regno: per la qual cosa non volle dar il ricercato giuramento, non ostante le moleste dimande del Legato. Non fu però, come dice l'Anonimo, che per tali contese Manfredi non venisse a perdere molto della sua stima presso gli altri Baroni del Regno: poichè questi vedendo, che il Legato niente riguardando alla sua regale stirpe, voleva trattarlo di pari, e nell'istessa guisa che gli altri, cominciarono a perdere quella riverenza ed ossequio, che prima gli portavano.
Per questa cagione avvenne, che avendo Borrello di Anglono ottenuto dal Pontefice Innocenzio, prima che entrasse nel Regno, l'investitura del Contado di Lesina, perchè abbandonasse le parti Regie, e seguitasse quelle della Chiesa, siccome avea fatto con molti altri Baroni, per tirargli al suo partito, pretendeva egli in vigor di tal investitura, che quel Contado a lui appartenesse; ma Manfredi pretendendo giustamente, che essendo quello tra le pertinenze del suo dominio, non dovesse in quello esserne turbato, gli fece prima amichevolmente intendere, che se ne astenesse; anzi di certa altra terra, che teneva, appartenente al Contado di Monte S. Angelo, gli fece sentire, che la godesse pure, ma che almeno ne ricevesse da lui l'investitura, con la ricognizione, e con dargli il solito giuramento della assicurazione, altrimenti, che la lasciasse[34]. Borrello insuperbito per lo favore del Papa, disprezzando l'ambasciata di Manfredi, con molta arroganza gli rispose, ch'egli non era nè per lasciar il Contado, nè per riconoscer lui per quella terra, nè per dargli giuramento alcuno. Manfredi ancorchè acerbamente ricevesse tal risposta, non volendo contendere col disuguale, dissimulò l'ingiuria: ed avendo inteso, che Borrello avea mandata molta gente ad invadere il Contado di Lesina, con aver già occupate due terre di quel Contado, non volle usar la forza, ma ebbe ricorso al Pontefice Innocenzio, ch'era allora a Teano, al quale espose il torto fattogli dal Borrello, che sotto pretesto d'aver avuta da lui la concessione di quel Contado, voleva appropriarselo, quando, come appartenente a quello del Monte S. Angelo, era di suo dominio: pregava perciò il Papa, che vi riparasse, perchè non sortissero inconvenienti maggiori.
Il Pontefice, secondo le solite ambiguità di quella Corte, gli rispose a guisa d'oracolo in tal maniera: Se praefato Burrello nihil de Juribus Principis concessisse[35]. Manfredi ben intese da questa risposta, che l'animo del Pontefice era per favorire Borrello, con tutto ciò premendo sempre, che gli fosse renduta sua ragione, gli fu risposto che, giunto a Capua avrebbe fatto esaminare per termini di giustizia quest'affare.
Intanto s'ebbe notizia, che il Marchese Bertoldo da Puglia erasi incamminato per Capua per inchinarsi al Pontefice, onde Manfredi, per non incontrarsi col medesimo, prese commiato dal Papa per tornarsene; e mentr'era in cammino, ecco che da lungi videsi Borrello, che con molta gente armata era in agguato per assalire ad un luogo angusto il Principe. Dicchè avvedutisi que' della comitiva di Manfredi, gli diedero sopra, e postolo in fuga, rimase in quel rumore ucciso Borrello dalle genti del Principe, niente sapendo Manfredi intanto della sua morte.
Essendo arrivato il Papa a Capua, tosto i suoi emuli variando il fatto, facevano reo di questo delitto Manfredi; ed ancorchè per mezzo del Marchese Bertoldo proccurasse purgarsi col Papa, con dire, che attorto ciò se gl'imputava, nulladimanco, avendo scoverto che il Marchese in vece di difenderlo proccurava la sua prigionia, mandò nella Corte del Papa, ch'era allora in Capua, Gualvano Lancia suo zio per difendersi; ed egli intanto nell'Acerra in casa di quel Conte suo cognato ricovrossi.
Il Papa pretendeva che Manfredi si presentasse avanti di lui per conoscere della di lui inquisizione; Manfredi non ripugnava venire, purchè se gli fosse promessa sicurtà della sua persona; ma Gualvano Lancia, avendo penetrato, che il Papa voleva imprigionarlo, nè voleva dargli sicurtà, ma che si fosse presentato avanti il suo Legato; avvisò a Manfredi, che tosto partisse dall'Acerra, non stando ivi sicuro, e che proccurasse andarsene in Puglia, ove coll'intelligenza dei Saraceni, ch'ivi erano suoi partigiani, proccurasse entrar in Lucera, e quivi afforzarsi[36]. Manfredi avuto quest'avviso partì di notte, e seco portossi due fidati giovani Nobili napoletani, che con se avea, i quali furono Marino Capece, e Corrado suo fratello. Questi furono i suoi fidi compagni, che non l'abbandonaron mai in tutto quel pericoloso e disagevol viaggio.
Passati molti pericoli e disagi, finalmente Manfredi giunse in Lucera, ove coll'ajuto de' suoi Saraceni, che erano dentro, infrante le porte, entrò ivi pien di gloria, e da tutta la città fu acclamato, e gridato per lor Principe e Signore, a' quali esponendo le cagioni per le quali erasi allontanato dalle parti del Pontefice, che non come Governadore, ma come Signore
29
Anonym. Et Papa Regnum intrante, Princeps stratoris ei officium exhibens frenum tenuit, quo usque ad pontem Garigliani transiret.
30
Tutin. loc. cit. p. 60.
31
Costanzo lib. 1 histor. di Napoli.
32
Anonym.
33
Anonym. Viro quidem juvene, et ipsius Papae consanguineo.
34
Anonym.
35
Anonym.
36
Anonym.