Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9. Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9 - Edward Gibbon


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immantinente quello ch'hai insegnato, se non dichiari ad alta voce: sono caduto in errore, ho peccato; anatema a Nestorio, anatema ad Eutiche: tu ti condanni a quelle fiamme, che ti consumeranno in eterno119». Egli morì senza dar segno di ritrattazione. Colla sua morte ritornò in qualche modo la pace alla Chiesa; e, cosa rara e felice, i suoi quattro successori, Giustino, Tiberio, Maurizio e Foca non figurano punto nella storia ecclesiastica dell'Oriente120.

      A. D. 629

      Le facoltà del senso e del raziocinio son poco capaci di operare sopra se medesime; l'occhio nostro è il più inaccessibile di tutti gli oggetti per la nostra vista, e nulla sfugge tanto al nostro pensiero, quanto le operazioni dell'animo nostro; tuttavolta pensiamo, ed anche sentiamo, che ad un ente ragionevole e consapevole della sua esistenza, compete essenzialmente una volontà, vale a dire un sol principio d'azione. Quando Eraclio tornò dalla guerra di Persia, quest'eroe ortodosso dimandò ai Vescovi se il Cristo ch'egli adorava in una sola persona, ma in due Nature, fosse mosso da una sola, o da una doppia volontà. Essi risposero, che una sola volontà animava il Cristo, e l'Imperatore sperò che questa dottrina, scevera certamente d'inconvenienti, e che sembrava la vera, poichè veniva insegnata dagli stessi Nestoriani121, richiamerebbe dall'errore i Giacobiti dell'Egitto e della Siria. Ne fu fatta la prova, ma inutilmente; e fosse zelo, fosse timore, non si credettero lecito i Cattolici di dar indietro neppure in apparenza davanti un nemico astuto ed audace. Allora gli Ortodossi ch'erano dominanti, nuove formole inventarono, nuovi argomenti, e nuove interpretazioni: supposero in ciascheduna delle due Nature di Cristo un'energia propria e distinta: la differenza divenne impercettibile, quando confessarono essere invariabilmente la stessa tanto la volontà umana che la divina122. Si palesò la malattia coi sintomi ordinari; ma i Sacerdoti greci, quasi fossero già sazi dell'interminabil controversia sopra l'Incarnazione, diedero al principe ed al popolo eccellenti consigli. Si dichiararono Monoteliti (difensori d'una sola volontà); ma risguardarono per nuovo il vocabolo, e per superflua la quistione, e raccomandarono un religioso silenzio, siccome la cosa più conforme alla prudenza ed alla carità evangelica. In processo di tempo questa legge di silenzio venne statuita dall'Ectesi, o esposizione di Eraclio, e dal tipo o formolario della fede di Costanzo, suo nipote123; e i quattro Patriarchi di Roma, di Costantinopoli, d'Alessandria, e d'Antiochia sottoscrissero quegli editti del principe, gli uni con piacere, gli altri a malincuore. Ma il Vescovo, e i Monaci di Gerusalemme gridarono all'armi: le Chiese latine scorsero un errore celato nelle parole, o ben anche nel silenzio dei Greci, e dall'ignoranza più temeraria dei successori di Papa Onorio fu ritrattata, o censurata l'obbedienza da lui prestata agli ordini del suo sovrano. Condannarono l'esecrabile ed abbominevole eresia dei Monoteliti, che rinovavano gli errori di Manete, di Apollinare, d'Eutiche etc. Sopra la tomba di S. Pietro segnarono il decreto di scomunica; l'inchiostro fu mescolato al vino del sacramento, cioè, al Sangue di Cristo; nè fu dimenticata veruna cerimonia, che giovasse ad empiere d'orrore o di terrore gli spiriti superstiziosi. Come rappresentanti della Chiesa d'Occidente, papa Martino e il Concilio di Laterano scomunicarono il colpevole e perfido silenzio dei Greci: centocinque Vescovi d'Italia, quasi tutti sudditi di Costanzo, non temettero di rigettare il suo tipo odioso, l'empia Ectesi del suo avo, e di confondere gli autori, e i loro aderenti con ventuno eretici conosciuti disertori della Chiesa, e stromenti del demonio. Sotto un principe anche dei più sommessi alla Chiesa, non sarebbe rimasa impunita cotanta ingiuria. Papa Martino terminò la vita sulla costa deserta del Chersoneso Taurico, e l'Abate Massimo, ch'era il suo oracolo, fu crudelmente punito coll'amputazion della lingua, e della mano destra124. Ma trasmisero la propria ostinazione ai successori: il trionfo dei Latini li vendicò della sconfitta che avevano sofferta, e cancellò l'obbrobrio dei tre Capitoli. Furono raffermati i Sinodi di Roma dal sesto Concilio generale tenuto a Costantinopoli nel palazzo, e sotto gli occhi d'un nuovo Costantino discendente d'Eraclio. La conversion del principe si trasse dietro quella del Pontefice di Bizanzio e del maggior numero dei Vescovi125; i dissidenti, dei quali era Capo Macario d'Antiochia furon condannati alle pene spirituali e temporali, sancite contro l'eresia; s'acconciò l'Oriente a ricevere lezione dall'Occidente, e fu in termini definitivi regolato il Simbolo della Fede, che insegna ai Cattolici di tutti i tempi, che la persona di Gesù Cristo univa in sè due volontà, o due energie, le quali operavano di accordo fra loro. Due Sacerdoti, un Diacono, e tre Vescovi rappresentarono la maestà del Papa, e del Sinodo romano; ma questi oscuri teologi dell'Italia non aveano nè soldati per sostenere le loro opinioni, nè tesori per comperare partigiani, nè eloquenza per attirare proseliti; e non so per qual'arte indurre potessero il superbo Imperatore dei Greci ad abiurare il cattechismo della sua infanzia ed a perseguitare la religione degli avi suoi. Forse, che i Monaci e il popolo di Costantinopoli126 favoreggiavano la dottrina del Concilio di Laterano, che in fatti è delle due la men ragionevole;127 questo sospetto viene avvalorato dalla considerazione che non era di naturale troppo moderato il Clero greco, il quale parve sentire in questa lite la sua debolezza. Mentre il Sinodo stava discutendo la questione, un fanatico propose per più breve espediente quello di risuscitare un morto; assistettero all'esperienza i Prelati, ma l'unanimità con cui si decise che il miracolo era mancato potè divenire una prova, che le passioni e i pregiudizi della moltitudine non sosteneano la parte dei Monoteliti. Nella generazion successiva, quando il figlio di Costantino fu deposto, e messo a morte dal discepolo di Macario, gustarono il piacere della vendetta e della dominazione: il simulacro, o il monumento dal sesto Concilio ecumenico fu tolto di mezzo, e gli Atti originali di quel tribunale ecclesiastico furon dati alle fiamme. Ma nel secondo anno di regno fu balzato dal trono il loro protettore; i Vescovi dell'Oriente furono liberati dalla legge di conformità, cui erano stati momentaneamente sottomessi; fu rimessa la fede della Chiesa romana sopra basi più salde dai successori ortodossi di Bardane; e la disputa più popolare, e più sensibile sul culto delle Immagini mandò in dimenticanza i bei problemi sull'Incarnazione128.

      Avanti la fine del settimo secolo, il domma dell'Incarnazione fu predicato sino nell'isola della Brettagna, e dell'Irlanda129 tal quale era stato determinato in Roma e in Costantinopoli. Tutti i Cristiani, che avevano accettato per la liturgia la lingua greca o latina ammisero le istesse idee, o piuttosto ripeterono le parole medesime. Il numero loro e la fama che avevano a quei giorni davano ad essi una specie di diritto al soprannome di Cattolici; ma nell'Oriente erano distinti col nome meno onorevole di Melchisti o Realisti130, cioè d'uomini la Fede dei quali invece di posare sulla base della Scrittura, della ragione, o della tradizione, era stata fondata, ed era tuttavia mantenuta dal poter arbitrario d'un monarca temporale. Poteano i loro avversari citar le parole de' Padri del Concilio di Costantinopoli, i quali si dichiararono schiavi del Re, e poteano raccontare con maligna compiacenza, come l'Imperatore Marciano e la sua casta sposa avevano sovente dettato i decreti del Concilio di Calcedonia. Una fazion dominante ricorda continuamente il dovere della sommissione, ed è poi naturale del pari che i dissidenti sentano, e vogliano le massime della libertà. Sotto la verga della persecuzione i Nestoriani ed i Monofisiti divennero ribelli e fuggiaschi, e gli alleati di Roma, i più antichi e più utili, impararono a considerar l'Imperatore non come il Capo, ma come il nemico dei Cristiani. La lingua, quel gran principio d'unione e di separazione tra le varie tribù del genere umano, ben presto distinse definitivamente i Settari dell'Oriente con un segno particolare, che annichilò ogni commercio ed ogni speranza di riconciliazione. Il lungo dominio dei Greci, le colonie, e più di tutto l'eloquenza loro, aveano disseminato un idioma indubitatamente il più perfetto di quanti furono inventati dagli uomini; ma il grosso del popolo nella Siria e nell'Egitto usava tuttavia la lingua nazionale, con questa differenza però, che il cofto non si adoperava che dagli ignoranti e rozzi paesani del Nilo, mentre dai monti dell'Assiria al mar Rosso era il siriaco131 la lingua della poesia e della dialettica. La favella depravata e il falso saper dei Greci infettavano l'Armenia e l'Abissinia; e i barbari idiomi di quelle contrade,


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<p>119</p>

Nicezio, vescovo di Treveri. (Concil., t. IV, pag. 511-513) pel suo rifiuto di condannare i tre Capitoli, fu separato dalla comunione dei quattro Patriarchi, non che la maggior parte dei prelati della Chiesa gallicana (San Gregor. epist. l. VII; epist. 5 in Concil. t. VI, p. 1007). Baronio quasi quasi pronuncia la dannazione di Giustiniano (A. D. 565, n. 6).

<p>120</p>

Dopo avere Evagrio narrata l'ultima eresia di Giustiniano (l. IV, c. 39, 40, 41), e l'editto del suo successore, (l. V, c. 3), non mette più nella sua storia fatti ecclesiastici, ma solamente civili.

<p>121</p>

La Croze (Christian. des Indes, t. I, p. 19, 20) ha notato questa straordinaria e forse inconseguente dottrina dei Nestoriani; vien'essa esposta più minutamente da Abulfaragio (Bibl. orient. t. II, 292; Hist. dynast., pag. 91, vers. lat., Pocock), e dall'istesso Assemani (t. IV, p. 218); pare che ignorino, ch'essi poteano allegare l'autorità positiva dell'Ectesi. Ο μιαρος Νεςοριος καιπερδιαιρων ιην θειαν του Κυριου ενανθρωπησιν, και δυο εισαγων υιους δυο θελεματα τουτων ειπειν ουν ετολμησε, τουναντιον δε ταυτο βουλιαν των… δωο προσωπων εδοξασε, l'iniquo Nestorio, benchè col dividere la divina Umanità del Signore e introdurre due Nature, (rimprovero ordinario dei Monofisiti) non ebbe coraggio di asserire due volontà in esse, e per l'opposito opinò esser una la volontà delle due Persone. (Concil. t. VII, p. 205).

<p>122</p>

Vedi la dottrina ortodossa in Petavio: (Dogmata Theolog. t. V, l. IX, c. 6-10, p. 433-447). Tutte le profondità di queste controversie si scontrano nel dialogo greco tra Massimo e Pirro (ad calcem, tom. VIII Annal. Baron. pag. 755-794); e di fatto questo dialogo era stato tenuto in una conferenza che originò una conversione di poca durata.

<p>123</p>

Impiissimam Ecthesim… scelerosum typum (Concil. t. VII, pag. 366), diabolicae operationis genimina (forse germina, o altrimenti secondo la greca parola γενεματα, frutti, produzioni, dell'originale), Concil. pag. 363-364. Parole son queste del XVIII anatema. L'epistola di Martino ad Amando, un de' Vescovi della Gallia, maltratta con pari acerbità i Monoteliti, e la loro eresia. (p. 392).

<p>124</p>

I mali di Martino e di Massimo son descritti con una semplicità patetica nelle lor lettere, e ne' loro Atti originali. (Concil. t. VII, p. 63-68. Baron. Annal. eccles. A. D. 656 n. 2 et annos subsequent.) Il gastigo per altro della lor disubbidienza, εξορια e σωματος αικιςμος, l'esilio e i tormenti corporali, era minacciato nel tipo di Costanzo (Concil. t. VII, pag. 240).

<p>125</p>

Eutichio (Annal. t. II, p. 368), malamente suppone, che i cento ventiquattro Vescovi del Sinodo romano si trasportassero a Costantinopoli; e aggiuntili ai cento sessant'otto Greci, viene così componendo di duecentonovantadue Padri il sesto Concilio ecumenico.

<p>126</p>

Costanzo, attaccato alla dottrina dei Monoteliti, era odiato da tutti, δια τοι καυτα, (dice Teofane, Chron. p. 292), εμισισθη σφαδρα παρα παντων. Quando il monaco monotelita non riuscì a fare il miracolo che aveva promesso, il Popolo fece alto schiamazzo, ο λαος ανεβοησε il popolo esclamò (Concil. t. VII, p. 1022). Ma questa fu un'emozion naturale e momentanea, e temo assai non sia stata quest'ultima un'anticipazione d'ortodossia nel buon popolo di Costantinopoli.

<p>127</p>

È disapprovabile la franchezza dell'Autore nel dar torto (senza presentare lo stato della questione, e senza addurre le ragioni teologiche) ai Concilii di Roma, ed anche al Concilio generale VI tenuto in Costantinopoli contro i Monoteliti, ossia contro i sostenitori di una sola volontà in Gesù Cristo: questi Concilii hanno decretato, contro molti Vescovi ed ecclesiastici, essere in Gesù Cristo due volontà, concordanti per altro fra loro, e questo è ciò che si deve credere. Questa fede poi ha anche il motivo di credibilità. Era stato deciso prima dal Concilio generale III e d'Efeso I, anno 431, non essere in Gesù Cristo che una persona contro Nestorio Patriarca di Costantinopoli, e contra i Vescovi, e preti d'Oriente suoi compagni. Sosteneva egli l'Eretico, essere il Verbo (che vuol dire l'Intelligenza, o parola di Dio) e l'Uomo due persone, e quindi non poter dirsi che Maria fosse Madre di Dio, ma bensì soltanto Madre di Cristo: asseriva, che la Natura divina si è unita colla umana come un uomo che fa un'opera, è unito all'istromento di cui si serve per farla; che l'uomo a cui si unì il Verbo è un tempio nel quale abita il Verbo, il quale lo dirige, e lo anima, e non fa che un tutto con lui, e che questa era la sola unione possibile tra la Natura umana e la divina; non ammetteva che un'unione morale fra il Verbo, e la natura umana; asseriva non potersi ammettere tra la natura umana e la divina unione tale, che rendendo la Divinità soggetta alle passioni, e alle debolezze dell'umanità formi in Gesù Cristo una sola persona; negava in somma l'unione ipostatica del Verbo colla umana natura ossia l'Incarnazione, e diceva essere due persone in Gesù Cristo: soggiungeva che la frase Madre di Dio era un ostacolo alla conversione dei Gentili: imperciocchè, diceva, come si potranno impugnare le loro Divinità quando si ammetta un Dio ch'è nato, un Dio che ha sofferto, un Dio ch'è morto? L'errore di Nestorio, il quale non supponeva, che un'unione morale tra la Natura divina ed umana, asserendo essere due persone in Gesù Cristo, distruggeva tutta l'economia dalla religione cristiana, poichè egli è evidente, che in tal caso ne seguirebbe, che Gesù Cristo nostro Mediatore, e Redentore, non fosse che un semplice uomo, lo che distrugge il fondamento della religione cristiana. Il dogma dell'unione ipostatica vale a dire dell'Incarnazione, fu spiegato, e determinato dal Concilio generale III e d'Efeso I presieduto da S. Cirillo Patriarca d'Alessandria: cotal dogma non è una speculazione inutile come pretendono i liberi pensatori; serve a darci l'esempio di tutte le virtù, ad istruirci con autorità, ed a prevenire infiniti abusi, ne' quali sarebbero caduti gli uomini, quando non avessero avuto per modello, e per mediatore, fra Dio ed essi, che un semplice uomo. In questa vista i S. S. Padri hanno mirato il dogma dell'Incarnazione: ma non è questo il luogo di trattare a lungo di ciò (Vedi S. Agostino De Doctr. Christ. S. Greg. Moral. l. 6, 7). Era stato deciso, secondo gli scritti de' S. S. Padri, dal Concilio generale IV di Calcedonia l'anno 451, che in Gesù Cristo figlio di Dio perfetto nella sua Divinità, e perfetto nella sua Umanità, consustanziale al Padre secondo la Divinità, ed a noi secondo l'umanità, vi furono due Nature unite senza cangiamento, senza separazione, di modo, che le proprietà delle due Nature sussistono, e convengono ad una medesima sola persona, che non è in niun modo divisa in due, ma che è un solo Gesù Cristo figlio di Dio come era stato espresso nel Credo scritto nel Concilio generale I di Nicea, l'anno 325, e ciò contro il Monaco eretico Eutiche, Capo degli Eutichiani, il quale per fuggire l'errore del Nestorianismo delle due persone in Gesù Cristo figlio di Dio, perchè vi sono due Nature, sosteneva che le due Nature fossero talmente unite da non formarne che una sola, e confuse le due Nature in una sola spiegando ciò col dire, che la Natura umana era stata assorbita dalla divina, come una gocciola dal Mare; e così spogliava Gesù Cristo della qualità di Mediatore, e distruggeva i patimenti, la morte e la resurrezione, mentre tutte queste cose s'appartengono alla natura umana, ed alla esistenza di un'anima umana, e di un corpo umano uniti alla Persona del Verbo, e non appartengono in niun modo al solo Verbo. Se dunque era stato prima deciso dal Concilio generale IV di Calcedonia, nell'anno 451, esservi in Gesù Cristo due Nature unite, ma non confuse, ne veniva di conseguenza ch'egli dovesse avere due volontà siccome appunto decise il Concilio generale IV contro i Monoteliti, che sostenevano aver Cristo una sola volontà. Serva questa nota d'istruzione dogmatica a' lettori per que' luoghi tutti ove l'Autore fa parola della Natura, e della persona di Gesù Cristo. (Nota di N. N.)

<p>128</p>

L'istoria del Monotelismo sta negli Atti dei Concilii di Roma (t. VII, pag. 77-395, 601-608), e di Costantinopoli (p. 609-1429). Baronio ha tratto alcuni documenti originali dalla Biblioteca vaticana, e le accurate ricerche del Pagi hanno retificata la sua cronologia. Dupin istesso (Bibliot. ecclés., t. VI, pag. 57-71), e Basnagio (Hist. de l'Eglise, t. I, p. 541-555) ne danno un compendio assai pregevole.

<p>129</p>

Nel Concilio Lateranense nel 679, Wilfrido vescovo Anglo-sassone sottoscrisse pro omni Aquilonati parte Britanniae et Hiberniae, quae ab Anglorum et Brittonum, necnon Scotorum et Pictorum gentibus colebantur (Eddio, in vita S. Wifrido, c. 31 apud Pagi, Critica, t. III, p. 88). Teodoro (magnae insulae Britanniae archiepiscopus et philosophus) fu aspettato a Roma lungamente (Concil. tom. VII, p. 714); ma si contentò di tenere (A. D. 680) il suo Sinodo provinciale in Hatfield, ove ricevè i decreti di Papa Martino e del primo Concilio di Laterano contro i Monoteliti (Concil. t. VII, pag. 597 etc.), Teodoro, monaco di Tarso in Cilicia, era stato nominato da Papa Vitaliano primate della Brettagna (A. D. 668); Vedi Baronio e Pagi che ne lodano il suo sapere e la pietà, ma diffidano del suo carattere nazionale; ne quid contrarium veritatis fidei, graecorum more in Ecclesiam cui praeesset, introduceret. Il monaco di Cilicia fu mandato da Roma a Cantorbery accompagnato da una guida affricana (Beda, Hist. eccles. Anglorum, l. IV, c. 1). Egli aderì alla Dottrina romana; e lo stesso domma dell'Incarnazione si è trasmesso senza cangiamento da Teodoro ai primati dei tempi moderni, che dottati di più sodo giudizio, s'imbarazzano, cred'io, rare volte dei labirinti di quel astratto Mistero.

<p>130</p>

Pare che questo nome ignoto, sino al decimo secolo, sia di origine siriaca. Fu inventato dai Giacobiti, e con ardore accolto dai Nestoriani e dai Musulmani; ma i Cattolici lo accettarono senza rossore, e sovente si trova negli Annali di Eutichio (Assemani, Biblioth. orient. t. II, p. 507, etc. t. III, pag. 355; Renaudot Hist. patriar. Alexan. pag. 119). Ημεις δουλοι του βασιλεως, noi siam sudditi del re, fu l'acclamazion dei Padri di Costantinopoli (Concil. t. VII, p. 765).

<p>131</p>

Il siriaco tenuto per lingua primitiva dagli originarii della Siria avea tre dialetti: 1. l'arameo, che si parlava in Edessa, e nelle città della Mesopotamia; 2. il palestino, usato in Gerusalemme, in Damasco, e nel resto della Siria; 3. il nabateo, idioma rustico delle montagne dell'Assiria e de' villaggi dell'Irak (Gregor. Abulfarag. Hist. dynast., pag. 11). Vedi sul siriaco, Ebed-Gesù (Assemani, t. III, pag. 326, etc.), il quale solamente per animo preoccupato ha potuto preferirlo all'arabo.