Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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rumor ne la foresta,

      e che nessun pensier, nessuna cura,

      poi che 'l suo amante ha seco, la molesta;

      fur cagion ch'ebbe Olimpia sì gran sonno,

      che gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.

19

      Il falso amante che i pensati inganni

      veggiar facean, come dormir lei sente,

      pian piano esce del letto, e de' suoi panni

      fatto un fastel, non si veste altrimente;

      e lascia il padiglione; e come i vanni

      nati gli sian, rivola alla sua gente,

      e li risveglia; e senza udirsi un grido,

      fa entrar ne l'alto e abandonare il lido.

20

      Rimase a dietro il lido e la meschina

      Olimpia, che dormì senza destarse,

      fin che l'Aurora la gelata brina

      da le dorate ruote in terra sparse,

      e s'udir le Alcione alla marina

      de l'antico infortunio lamentarse.

      Né desta né dormendo, ella la mano

      per Bireno abbracciar stese, ma invano.

21

      Nessuno truova: a sé la man ritira:

      di nuovo tenta, e pur nessuno truova.

      Di qua l'un braccio, e di là l'altro gira,

      or l'una or l'altra gamba; e nulla giova.

      Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira:

      non vede alcuno. Or già non scalda e cova

      più le vedove piume, ma si getta

      del letto e fuor del padiglione in fretta:

22

      e corre al mar, graffiandosi le gote,

      presaga e certa ormai di sua fortuna.

      Si straccia i crini, e il petto si percuote,

      e va guardando (che splendea la luna)

      se veder cosa, fuor che 'l lito, puote;

      né fuor che 'l lito, vede cosa alcuna.

      Bireno chiama: e al nome di Bireno

      rispondean gli Antri che pietà n'avieno.

23

      Quivi surgea nel lito estremo un sasso,

      ch'aveano l'onde, col picchiar frequente,

      cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;

      e stava sopra il mar curvo e pendente.

      Olimpia in cima vi salì a gran passo

      (così la facea l'animo possente),

      e di lontano le gonfiate vele

      vide fuggir del suo signor crudele:

24

      vide lontano, o le parve vedere;

      che l'aria chiara ancor non era molto.

      Tutta tremante si lasciò cadere,

      più bianca e più che nieve fredda in volto;

      ma poi che di levarsi ebbe potere,

      al camin de le navi il grido volto,

      chiamò, quanto potea chiamar più forte,

      più volte il nome del crudel consorte:

25

      e dove non potea la debil voce,

      supliva il pianto e 'l batter' palma a palma.

      – Dove fuggi, crudel, così veloce?

      Non ha il tuo legno la debita salma.

      Fa che lievi me ancor: poco gli nuoce

      che porti il corpo, poi che porta l'alma. —

      E con le braccia e con le vesti segno

      fa tuttavia, perché ritorni il legno.

26

      Ma i venti che portavano le vele

      per l'alto mar di quel giovene infido,

      portavano anco i prieghi e le querele

      de l'infelice Olimpia, e 'l pianto e 'l grido;

      la qual tre volte, a se stessa crudele,

      per affogarsi si spiccò dal lido:

      pur al fin si levò da mirar l'acque,

      e ritornò dove la notte giacque.

27

      E con la faccia in giù stesa sul letto,

      bagnandolo di pianto, dicea lui:

      – Iersera desti insieme a dui ricetto;

      perché insieme al levar non siamo dui?

      O perfido Bireno, o maladetto

      giorno ch'al mondo generata fui!

      Che debbo far? che poss'io far qui sola?

      chi mi dà aiuto? ohimè, chi mi consola?

28

      Uomo non veggio qui, non ci veggio opra

      donde io possa stimar ch'uomo qui sia;

      nave non veggio, a cui salendo sopra,

      speri allo scampo mio ritrovar via.

      Di disagio morrò; né chi mi cuopra

      gli occhi sarà, né chi sepolcro dia,

      se forse in ventre lor non me lo dànno

      i lupi, ohimè, ch'in queste selve stanno.

29

      Io sto in sospetto, e già di veder parmi

      di questi boschi orsi o leoni uscire,

      o tigri o fiere tal, che natura armi

      d'aguzzi denti e d'ugne da ferire.

      Ma quai fere crudel potriano farmi,

      fera crudel, peggio di te morire?

      darmi una morte, so, lor parrà assai;

      e tu di mille, ohimè, morir mi fai.

30

      Ma presupongo ancor ch'or ora arrivi

      nochier che per pietà di qui mi porti;

      e così lupi, orsi, leoni schivi,

      strazi, disagi ed altre orribil morti:

      mi porterà forse in Olanda, s'ivi

      per te si guardan le fortezze e i porti?

      mi porterà alla terra ove son nata,

      se tu con fraude già me l'hai levata?

31

      Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto

      di parentado e d'amicizia, tolto.

      Ben fosti a porvi le tue genti presto,

      per avere il dominio a te rivolto.

      Tornerò in Fiandra? ove ho venduto il resto

      di che io vivea, ben che non fossi molto,

      per sovenirti e di prigione trarte.

      Mischina! dove andrò? non so in qual parte.

32

      Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,

      e per te non vi volsi esser regina?

      il che del padre e dei fratelli miei

      e d'ogn'altro mio ben fu la ruina.

      Quel c'ho fatto per te, non ti vorrei,

      ingrato, improverar, né disciplina

      dartene;


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