Scherzi Delle Fiabe. Marco Fogliani

Scherzi Delle Fiabe - Marco  Fogliani


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non dico di no. Tanto che l’altro genietto ci si è subito trasferito. Però io sono un tipo all’antica ed ho voluto rimanere qui. Da solo stavo anche più comodo: ma mi sono morto di noia per anni. Non vedo l’ora di riprendere a scrivere: poemi, poesie - anche barzellette, se preferisce.” Questo lo scrisse in tono più tenue, quasi vergognandosi come se avesse detto qualcosa che non doveva. E continuò.

      “E’ sua questa penna, vero? Anche a lei piace scrivere, come al signor Gaspare, spero.”

      La penna si fermò, e capii che era in attesa di risposta. Io sono un vecchio padre, anche se non tanto vecchio, e così ho pensato subito a mio figlio.

      “Questa penna è di mio figlio. Lui è ancora studente, ha tante cose da imparare e deve ancora dimostrare il suo valore. Spero che non ti dispiacerà tornare a scuola, se mai ci sei già stato.”

      Alfredo voleva dirmi qualcosa, ma non gli uscivano le parole. E interruppe il suo sforzo quando il motorino della penna si rimise in moto. Riprendemmo a leggere ciò che man mano prendeva forma sul foglio bianco.

      “Che bella la scuola! La giovinezza, l’avventura, il coraggio e l’amore. Ne vedrò delle belle, come quando il povero signor Gaspare era giovane. E sicuramente non avrò più di che annoiarmi.”

      “Sono contento che ti piaccia. Però devi prometterci che non manifesterai la tua esistenza a nessun altro, per nessun motivo”.

      Presi il suo silenzio e la sua immobilità come un segno di assenso.

      Gli trovai presto una degna custodia, anch’essa dei tempi passati, e Alfredo prese a utilizzarla portandola sempre con sé. Gli effetti non tardarono a farsi vedere. Il voto in lettere gli salì di due punti, con grande soddisfazione soprattutto della mamma, che era rimasta all’oscuro del nostro segreto. Ma poi, alla fine del secondo trimestre, era già ridisceso pericolosamente vicino alla soglia dell’insufficienza. Quando vidi il voto in italiano, che pure era tra i migliori della sua pagella, saltai su tutte le furie (tra lo stupore di mia moglie, convinta che ormai mi fossi anch’io abituato ai brutti voti di Alfredo). Gli chiesi quale penna utilizzasse per i temi di italiano, e lui mi assicurò che tutto quello che scriveva usciva sempre e solo da quella penna.

      Mi feci consegnare la penna con la sua custodia e mi chiusi a chiave nel mio studio, da solo. Probabilmente si trattava di un’altra crisi di carenza di inchiostro. Avrebbe dovuto essere usata solo per i compiti di italiano, magari solo per quelli in classe: ed invece quello stupido di mio figlio, per farmi contento, la usava per scrivere qualunque cosa, anche per i libri contabili. Forse occorreva una penna più bella, pensai: per chi viene da una stilografica può essere offensiva una penna da due soldi. O forse qualche suo compagno gliela aveva sostituita, o per sbaglio o volutamente, magari perché Alfredo si era lasciato sfuggire il suo segreto.

      Non ci fu verso di ristabilire un contatto con quel “coso”. Mia moglie disse che quella sera ero uscito di senno, a chiudermi in una stanza a parlare con una penna. Ma io mi sentivo tradito. Non solo avevo evitato di spiaccicarlo come uno scarafaggio: gli avevo anche dato nuova linfa vitale e un nuovo alloggio, anche se in effetti non era proprio il massimo. E poi ci contavo perché, una volta andato in pensione, pensavo di fare un po’ come il vecchio signor Gaspare: un giorno una lettera alla sorella; un giorno una al nipote; magari qualche poesia.

      Qualche tempo dopo trovai un foglio scritto tra le mie carte. La grafia era quella di Alfredo, ma non lo stile né la firma: “Il suo piccolo geniale amico di penna”. Esprimeva la sua gratitudine per quello che avevo fatto per lui. Giurava che né lui né, per quanto poteva saperne, Alfredo avevano svelato ad alcuno quello che tuttora era rimasto rigorosamente un nostro esclusivo segreto. Ma alla fine aggiungeva che non ne poteva più di tanta inattività, o meglio di attività e pensieri così lontani dalla poesia e dal sentimento del vecchio signor Gaspare. Sale da gioco; libri di contabilità; assordanti pseudo-musiche e rumori di motori: tutto ciò lo stava riducendo a una larva. Aveva anche dovuto sopportare di essere portato all’orecchio, alla maniera dei salumai, e di essere stato utilizzato per aggiustare un vecchio mangianastri malconcio.

      “Meglio che me ne vada, finché riesco a provare ancora un minimo di sentimento e poesia. Non me ne voglia. C’è una compagna di classe di Alfredo che è innamorata, e l’ho già aiutata a scrivere dei bigliettini appassionati. Quando è sovrappensiero disegna fiorellini e montagne con alberi e foreste: anche in questo non sono male, sebbene non sia certo la mia specialità. Penso che mi trasferirò da lei.”

      Questo episodio ha profondamente segnato la mia esistenza. Tanto che mia moglie ha insistito perché mi facessi vedere da un medico. Alla fine mi hanno convinto che, per non rischiare l'esaurimento, era meglio che andassi in pensione.

      Da quando sono pensionato il mio contributo all’azienda è diventato quasi nullo. Mio figlio mi consente solo di dedicarmi alla manutenzione e alla pulizia dei piccoli oggetti, in particolare quelli in metallo. In ciò sono ancora imbattibile.

      Non ho più avuto l’ambizione di insegnare ad Alfredo l’arte e la poesia del robivecchi, perché il mio piccolo geniale amico di penna mi ha aperto gli occhi e mi ha convinto che mio figlio non vale poi granché. Ma poi mi sono un po’ ricreduto, perché Alfredo si è prima fidanzato e poi sposato con una sua ex compagna di classe, non bellissima ma molto graziosa. Un tipo di quelli che per passare il tempo disegnano prati fioriti, montagne rigogliose e rifugi innevati. E’ molto brava in questo, e non solo. Alfredo dice che all’inizio le scriveva bellissime lettere, bigliettini e poesie d’amore, e così l’ha conquistata. Beh, vuol dire che anche Alfredo, per saper apprezzare queste cose, un po’ di sentimento e di buon gusto ce lo deve avere. E perciò il mio piccolo genio non aveva poi completamente ragione.

      A mia moglie invece non posso proprio dare torto se mi trova sempre più esaurito (forse dovrebbe dire “pazzo”). L’altro giorno, a casa di Alfredo, mi ha di nuovo sorpreso mentre gli smontavo tutte le penne e parlavo da solo (o alle penne, che per lei è ancora peggio).

      OSVALDO IL PESCATORE

      Incontrai il mio amico Osvaldo al bar.

      "E allora, Osvaldo, come è andata poi l'altro giorno la tua pesca?", gli chiesi. L'ultima volta che l'avevo visto, forse dieci giorni prima, era stato al porto mentre usciva per andare a pescare con la sua piccola barca, e gli avevo augurato buona fortuna.

      "Bene, bene, grazie. All'inizio no, non ha abboccato niente di niente per parecchio tempo: tanto che pensavo che incontrarti mi avesse portato sfortuna. Ma poi … !"

      "Poi?"

      "Beh, come al solito ero andato al largo e avevo spento il motore; avevo fissato un capo della lenza al piccolo argano dell'àncora, e l'altro capo del filo pescava in mare. Non accadde niente per parecchio tempo, e mi stavo quasi appisolando: allora, come faccio in questi casi, ho sistemato sulla lenza i miei campanellini che mi avvertono se qualcosa abbocca. Ma dopo un po', sarà stato per la brezza o il dondolio anomalo delle onde, intuii che la barca era in movimento, quasi che fosse mossa da vele; e tu sai bene che di vele non ne ha.

      La lenza era così tesa che mi stupii che non si fosse spezzata. Era proprio quel filo a muovere la barca: dovevo aver preso qualcosa di grosso, molto grosso. Pensai addirittura che l'amo si fosse impigliato in un sottomarino. Credo che non sarei riuscito a fare nulla se non avessi usato l'argano - non per niente mi sono attrezzato a pescare in quel modo - e comunque feci molta fatica a tirarlo a bordo, e in ogni momento temevo che il filo si spezzasse. Ma alla fine eccolo uscire dall'acqua, prima la testa e poi tutto il resto: era un pescione almeno lungo così."

      Osvaldo, per farmi vedere le dimensioni della preda, dovette alzarsi e spostarsi per poter aprire le braccia in tutta la loro lunghezza.

      "Ma dai, esagerato: secondo me ti sei addormentato e te lo sei sognato", gli dissi.

      "No, no, te l'assicuro. Ma la cosa strabiliante, più che la dimensione del pesce, è che a un certo punto ho sentito una voce: eppure ero da solo la in mezzo al mare.

      " Ti prego, toglimi questo coso di bocca e ributtami vivo in acqua. Vedrai che ti saprò ricompensare a dovere."

      Puoi


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