Sta Scherzando, Commissario?. Marco Fogliani
carceraria
SCENA 1. Alla stazione di polizia.
L'uomo seduto accenna ad alzarsi in segno di rispetto mentre il commissario entra, esaminando una cartellina che ha tra le mani.
C: “Stia pure comodo.”
Il commissario chiude la porta, lascia all’altro poliziotto la cartellina e inizia a squadrare il sospettato.
C: “Fossero tutti come lei, il nostro lavoro sarebbe molto più semplice. Penso che persino io sarei riuscito a catturarla, benché non sia certo un operativo e lavori quasi sempre in ufficio.”
F: “Il fatto è che con quell'affare addosso sudavo e mi sentivo impacciatissimo nei movimenti. Non c'ero proprio abituato. Lei non ha idea di come mi sentissi. Anzi, forse sì. Magari le sarà capitato di indossarlo.”
C: “Un giubbotto antiproiettile? Sì, qualche volta. Ma con una pistola giocattolo in mano no, non mi è mai successo.”
F: “Il fatto è che la mia era una pistola finta. Non avrebbe mai sparato, perché proprio io non avrei mai voluto sparare. Ma gli altri non lo sapevano. E se a qualcuno, credendola vera, fosse venuto in mente di spararmi? Meglio essere prudenti, non si sa mai. E con tutto che indossavo il giubbotto avevo comunque una paura tremenda di poter essere colpito alla testa, o alle gambe. Capisce, qualcuno avrebbe potuto sparare all’impazzata o semplicemente sbagliare mira. E poi alle volte succede che il personale della sicurezza perda la testa e vada un po' oltre il dovuto.”
C: “Perda la testa? Proprio lei mi viene a parlare di perdere la testa? Ha davvero un bel coraggio. Lei, Cavalier Favilli, proprietario di una delle più grandi catene di negozi di abbigliamento italiani; e in più, a quanto leggo, è anche nel consiglio di amministrazione di diverse importanti aziende, tra cui una banca. Guarda caso proprio quella che stamattina le è saltato in mente di rapinare – o di far finta di rapinare. Ma … mi vuole spiegare perché l’ha fatto?”
F: “Nella scelta della banca è sempre meglio preferire quella di cui ci si fida. La fiducia è tutto, in fatto di banche, se lo ricordi. Insomma, in un certo senso mi sentivo tra amici, giocavo in casa.”
C: “No, io vorrei capire non perché ha scelto quella banca, ma perché ha scelto di rapinarne una. A quanto vedo le finanze, sue e delle sue aziende, sono in ottima salute, e direi che per lei dal punto di vista economico non sarebbe cambiato poi tanto se pure la rapina fosse andata a buon fine. Mi faccia capire. Non erano i soldi che le interessavano? Mirava a qualche documento? Oppure l’ha fatto per scommessa?”
F: “In un certo senso … una scommessa con me stesso. In realtà, signor commissario, l’ho fatto per amore, solo per amore.”
C: “Per amore? Beh, temevo qualcosa del genere. Mi dica, si spieghi meglio.”
F: “Si tratta di Rossana, una commessa nel nostro negozio di abbigliamento più importante, quello sul Corso. Assunta da poco, tra l’altro. Mi è sùbito piaciuta ed ha attirato la mia attenzione. Beh, vede, non è che fosse la prima commessa che mi piaceva o la prima donna della mia vita. Ma il fatto è che … non sono abituato ad essere respinto. Non mi faccio illusioni, so che se in genere mi assecondano e mi vengono dietro è sicuramente per la posizione che occupo, o per i miei soldi. Invece con lei … Quando una volta le ho parlato a tu per tu e le ho proposto di essere la mia compagna, lei ha detto di no, che non avrebbe mai funzionato. Perché io, secondo lei, sarei troppo una brava persona, a differenza di lei. E’ stato allora che mi ha confessato di aver rubato più volte degli articoli dal mio negozio: camicie, maglioni, borsette … Prendeva quello che più le piaceva. Praticamente tutto quello che aveva addosso era rubato. Mi ha detto: io sono una piccola delinquente, mi piaccio così e così mi piacciono gli uomini che frequento, un po’ mascalzoni, non importa quanti soldi abbiano. Mentre io invece, secondo Rossana, sarei stato troppo un bravo ragazzo.”
C: “E allora?”
F: “Le ho spiegato che anche nel nostro ambiente apparentemente per bene c’è modo di essere disonesti e commettere mascalzonate in guanti bianchi, rubando con astuzia in contabilità molto di più che qualche capo di abbigliamento, e addirittura continuando a mantenere il rispetto e l’ammirazione della gente. Ma lei è una ragazza semplice, non è in grado di capire queste faccende. Forse invece lei, commissario, intende cosa voglio dire.”
C: “Faccio finta di non aver sentito. Per adesso non mi interessano le sue altre mascalzonate, ma solo quella di stamattina.”
F: “Avrei potuto licenziarla, per ripicca e per farle capire il mio potere, o per i furti che mi aveva confessato. E invece ho accettato la sfida di mettermi al suo livello. Siccome lei non era in grado di comprendere altre tipologie di crimini, ho dovuto cimentarmi in qualcosa che potesse capire anche lei. Certo non era il mio campo, ero inesperto, e lo sono tuttora, nonostante mi sia fatto dare qualche consulenza di un certo livello pagandola profumatamente; ma più che altro teoria, niente di pratica.”
C: “E il risultato qual è stato? Eccola qui in manette; e qualche anno dietro le sbarre non glielo leverà nessuno, neanche i suoi soldi ed un buon avvocato. A meno, forse, che non punti sulla sua semi-infermità mentale, su cui a questo punto persino io potrei lasciarmi convincere.”
F: “No, no. Il risultato lo saprò solo quando Rossana verrà a trovarmi – e farò in modo che lo faccia. Mi dirà se secondo lei ho passato l’esame, se mi crede ancora una brava persona o se ritiene che io sia degno di lei, e lei di me. Solo allora saprò se ne è valsa la pena.”
SCENA 2. Nel parlatorio della prigione.
C: “Salve. Le dispiace se sono venuto a trovarla?”
F: “Niente affatto. Qui dentro tutte le visite mi sono gradite. E non vorrei assolutamente che pensasse che ce l’abbia con lei per qualche motivo. Lo so benissimo che ha fatto solo il suo lavoro.”
C: “Ad essere sincero, avevo chiesto che mi avvisassero quando la sua Rossana fosse venuta a trovarla. E mi hanno detto che è venuta ieri, dopo oltre sei mesi dalla sua condanna. Insomma, se posso chiederglielo: come è andata? Aveva detto che avrebbe valutato dal giudizio di quella donna il risultato delle sue azioni, se ben ricordo.”
F: “E’ solo per curiosità personale che lo vuole sapere, o c’è qualche altra motivazione diciamo … professionale”
C: “Beh, in effetti… Ho pensato che se lei dopo aver parlato con Rossana avesse valutato negativamente la sua esperienza criminale, forse sarebbe stato più propenso a rivelarmi qualche particolare in più sulla rapina - in cambio di uno sconto sulla pena, è ovvio - visto che a suo tempo ha omesso molti importanti dettagli. Informazioni sui complici e sull’organizzazione del colpo, essenzialmente. In fondo se Rossana l’ha bocciata, quello che le resta sarebbe solo qualche altro anno di carcere. Questo carcere, poi, che non è proprio dei migliori. A proposito, ho saputo che ha conosciuto di persona Achille il Sanguinario, come lo chiamano per i suoi trascorsi. Mi dia retta: gli stia alla larga, cerchi di non fraternizzare troppo con quel tipo. Per lui uno in più o uno in meno sulla coscienza - che non ha - non cambierebbe nulla.”
F: “Credo che lei si sbagli sul conto di quell’uomo. E’ solo che il sangue non gli fa la minima impressione, e per lui trucidare un essere umano è all’incirca come schiacciare una mosca. Anzi, in fondo si può dire che sia una brava persona: è affidabile, uno che mantiene le promesse, e se prende un impegno lo porta a termine scrupolosamente.”
C: “E sulla rapina, e sui suoi complici, non ha nulla da dirmi?”
F: “No. Tutto sommato anche i miei collaboratori sono stati corretti, hanno svolto esattamente e professionalmente quello che avevo loro