Racconti Buonisti. Marco Fogliani

Racconti Buonisti - Marco  Fogliani


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sommato, se credi, fai bene a farlo, tu che puoi."

      "Ah, si, certo. Ma potresti farlo anche tu, se volessi."

      "Io? Ma stai scherzando! Come pensi che potrei mettermi a riposo? Non ho nessuno. Non ho nemmeno una pensione, tra l'altro. Chi mi manterrebbe? Chi porterebbe avanti i miei maiali?"

      "Lasciami spiegare; e non dire che parlo per i miei interessi. Deformazione professionale quella si; ma tornaconto personale no di certo. Dunque. Hai una vaga idea, un domani che tu - corna facendo - lasciassi questo porco mondaccio, a chi andrebbero i tuoi beni?"

      "Immagino che qui non vedano l'ora che io tiri le cuoia per prendersi la mia roba, e al tempo stesso liberarsi di una scocciatrice come me."

      "E qui entra il discorso del testamento. Si, certo: ti dico che tu dovresti proprio fare testamento."

      "Testamento? Ma sai benissimo che non ho nessuno. Nessun parente e nessuno che mi sopporta. Non andavo d'accordo neanche con mia madre. Figuriamoci se qualcuno poteva sposarmi, con questo mio caratteraccio. No, non c'è proprio nessuno a cui eventualmente lasciare un domani queste quattro mura e questo pezzo di terra. Se potessi li lascerei ai miei maiali. Magari ad un collegio, visto che ci ho passato qualche brutto anno della mia vita; o a qualche altro istituto del genere, tipo un orfanotrofio." Poi, con l'aria furba di chi ha capito tutto: "Non è che stai cercando di chiedermi di sposarti, per caso?"

      "Che? Fossi matto. Non ci penso nemmeno! Credi di essere bella, da giustificare una simile pazzia da parte mia? No, no. E poi perché? No, io non pensavo ad un matrimonio; piuttosto ad una specie di adozione. Adesso ti spiego meglio: …"

      

      

      La signora Willingstone reggeva bene in vista un cartello con su scritto il suo cognome. Era lì, lungo il corridoio "arrivo passeggeri" del piccolo aeroporto, da oltre mezz'ora, cioè all'incirca due o tre arrivi. Resisteva ormai da più tempo degli altri nell'avvicendarsi di sconosciuti che cercavano di farsi vedere dai loro cari.

      Nessuno, guardandola, aveva cambiato espressione, manifestando in qualche modo interesse o curiosità verso di lei; neanche un piccolo numero di suoi compaesani che, notandola, avevano sì provato sorpresa, ma si erano ben sforzati di non darlo a vedere, ricambiando il disinteresse di lei nei loro confronti.

      Finché in coda a un altro gruppetto, impacciato e sbilanciato da un bagaglio troppo voluminoso e instabile sulle rotelle, un ragazzo lesse il cartello e venne verso di lei.

      "Salve. Sono io il signor Willingston. Ma senza la "e" finale."

      "Bene, giovanotto. Benvenuto", e dopo una frettolosa stretta di mano: "Venga con me, giovanotto."

      Nonostante l'età e le gambe ossute, il passo della signora Willingstone era rapido e deciso. Il ragazzo, col suo bagaglio, stentava a starle dietro e perse rapidamente terreno.

      "Le dispiacerebbe aspettarmi?", le chiese in prossimità dell'uscita, temendo, una volta all'aperto, di poterla perdere di vista.

      Lei si voltò contrariata, con l'espressione di chi ha molta fretta e non vuole sprecare tempo.

      "Giovanotto: lo sa che io ho quasi tre volte la sua età? A momenti potrei essere sua nonna!"

      Si era fermata, ma non aveva smesso di bofonchiare, parlando tra se a voce bassa ma in modo chiaramente udibile: "Che razza di uomini. Aveva ragione il signor Tobias; non aspettarti chissà cosa. La pasta di un uomo la si riconosce subito. Scommetto che non ha neanche fatto il militare."

      "Senta", le disse il ragazzo perdendo la pazienza: "se ha avuto l'incarico di venirmi a prendere, non credo che lo stia portando avanti nel modo giusto; e non è certo un compito difficile. Ma se proprio non ci riesce, mi arrangerò da solo."

      Per un attimo si pentì di quello che aveva detto: arrangiarsi da solo poteva essere troppo difficile e costoso. Smise perciò di lamentarsi, ma non certo di rimuginare tra sé sull'accaduto.

      "Guarda se uno deve fare migliaia di chilometri per essere accolto da una vecchia rimbecillita arteriosclerotica. Farò le mie rimostranze a chi di dovere, al momento opportuno".

      "Avanti, da questa parte" disse la signora Willingstone. E i due, ingrugniti e ciascuno imprecando tra sé, proseguirono nel parcheggio.

      La macchina della signora Willingstone era molto vecchia e ancor più sporca, per cui sarebbe stato difficile dirne con precisione il colore originale. Probabilmente nocciola, o color fango, come spesso diceva scherzosamente il signor Tobias alludendo ad alcune chiazze più scure nella parte bassa della carrozzeria. Era uno di quei vecchi modelli americani, tutto metallo e smisurata.

      La signora Willingstone aprì il bagagliaio. Quasi sadicamente, godendosi la scena che avrebbe dovuto confermare le sue opinioni, rimase a guardare senza muovere un dito mentre il ragazzo vi infilava faticosamente il suo borsone a rotelle.

      

      

      "Guardi che sta comodo anche davanti. O forse pensa di essere troppo grasso?" Lei si irritò nuovamente, per il fatto che il ragazzo aveva preso posto sul sedile posteriore. "O crede che questo sia un taxi?"

      Ma lui ignorò queste provocazioni. "Potrei sapere dove stiamo andando?"

      "Ma naturalmente! Stiamo andando a casa mia, a parlare con il signor Tobias."

      "A parlare col signor Tobias a casa sua?"

      "Certo! Non è per questo che lei è venuto?"

      "Si. Ma voglio dire: lei non sarà mica la signora Tobias?"

      "No, naturalmente. Il signor Tobias è vedovo. Io sono la signora Willingstone, con la "e" finale."

      "Willingstone come la signora dell'eredità? Pensavo che non avesse più parenti qui in Australia. Lei l'ha conosciuta?"

      "Si, direi di si."

      "E lei è parente della signora Willinstone?"

      "In un certo senso si, in un certo senso no. Dal mio punto di vista, l'unica signora Willingstone di una certa importanza sono io, capisce? Ma adesso non mi faccia più domande. Le farà più tardi al signor Tobias. Lui è più bravo a parlare e a spiegarsi. Io potrei dirle qualcosa di sbagliato, o non spiegarmi a dovere. Gli avevo chiesto di venire con me all'aeroporto, ma non ha voluto saperne. Avrà avuto i suoi buoni motivi."

      

      

      Arrivarono al paese dopo oltre un'ora di viaggio, durante il quale il giovane Alex Willingston, che pure aveva osservato con interesse ed attenzione il paesaggio circostante, non era riuscito a contare più di una dozzina di abitazioni in tutto.

      "Una volta, quando non esisteva ancora l'aeroporto, questo era un paese molto più grande; ma resta a tutt'oggi il più importante centro della zona, perché c'è la stazione della ferrovia", spiegò lei. "Ormai siamo arrivati".

      Ed infatti, di lì a poco: "Vede quella villa in fondo alla strada? Quella è casa mia. Che cosa ne dice: le piace?"

      "Oh, bella è molto bella. E' il contesto che secondo me è infelice. Gli spazi sono così grandi. Qui è così fuori dal mondo, così … non so. Personalmente non credo che riuscirei a vivere in tanta solitudine. Io sono abituato a una grande città. A proposito: lei crede che in paese ci sia un posto per dormire? Un albergo o qualcosa di simile, per questa notte?"

      "Per il dormire non si deve preoccupare: il signor Tobias ha detto che lei sarà mio ospite per tutto il tempo che vorrà. D'altronde a casa mia di camere ce ne sono in abbondanza: basterà sistemarne una, e magari darci una riscaldatina."

      

      

      “Ah, eccovi arrivati. Come va? Avete fatto buon viaggio?”

      Il signor Tobias, dalla veranda, diede loro il benvenuto mentre il giovane straniero si barcamenava, stavolta brillantemente, col suo pesante bagaglio.

      “Un po’ lungo, ma non male. Sono Alex Willingston, piacere.”


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