Due. Dispari. Federico Montuschi
sono deciso a chiamarti a casa, spero di non disturbare la tua famiglia, davvero…».
«Ciao Ronald! Stai tranquillo, nessun problema. Non mi è successo nulla di grave, ho solo perso lo smartphone nel parco tornando a casa questa sera, porco cane. Per questo non ti ho risposto. Di cosa si tratta? È una cosa urgente?».
«Amo dare accezioni edulcorate al concetto di urgente, spesso abusato nelle nostra società, fanciulla mia».
Erano queste le risposte di Ronald che tanto piacevano a Carmen, quasi degli aforismi che lasciavano l’interlocutore con la sensazione di dover accelerare i giri del proprio cervello per riuscire a seguire i percorsi mentali di quel tipo strano.
Perché strano, Ronald, lo era davvero.
Alto, magrissimo, l’aria perennemente trasandata con i capelli lisci raccolti in una lunga coda di cavallo, gli occhialini stile John Lennon e una barbetta incolta che cresceva in modo disordinato, tralasciando le guance e concentrandosi quasi esclusivamente su pizzo e basette.
Non passava inosservato, quel ragazzo.
Ronald riprese il filo della risposta.
«Nelly e Alejandra organizzano un party per questa notte, siamo invitati anche noi, hai voglia di venire?».
«Wow! Una festa questa sera? Bene! E dove lo fanno questo party?».
«I genitori di Nelly hanno una residenza estiva proprio a fianco del cimitero di Burgos, in campagna, ci si arriva in meno di venti minuti in macchina da casa tua».
«Mmm... in campagna? Questa sera? Senza cellulare? Con così poco preavviso? Con mio padre a letto con un’influenza mai vista?».
«Esatto. In campagna. Questa sera. Con il mio cellulare. Con un’ora di preavviso. Con tuo padre a letto con una banale influenza».
La lucidità di Ronald era invidiabile, in quei frangenti.
Carmen si sforzò di valutare la situazione nel più breve tempo possibile; tutto sommato, non le sembrava che esistessero particolari controindicazioni all’idea di partecipare alla festa e il fatto di essere accompagnata da Ronald rendeva il tutto ancora più stimolante.
Suo padre stava sicuramente già dormendo, debilitato dall’influenza; sua madre si sarebbe messa a letto di lì a poco, stanca per la giornata e Mar stava iniziando giusto in quel momento il ripasso finale, che sarebbe durato quasi tutta la notte, prima dell’esame del giorno successivo.
Via libera.
Rispose all’amico illuminandosi con uno splendido sorriso.
«Va bene, Ronald, ci sono. Mi passi a prendere tu?».
«Certo, ti passo a prendere alle dieci. Ti faccio uno squillo quando sono sotto casa».
«Chissà chi ti risponde! Ti ho detto che ho perso il cellulare, lascia stare, non chiamarmi neanche sul fisso che qui saranno già tutti a letto o sui libri a ripassare. Io alle dieci scendo. A dopo!».
«Ah certo, è vero, me n’ero dimenticato. Allora ti aspetto e basta, alla vecchia maniera, eh? A dopo!».
Click.
Click.
Incamminandosi verso la doccia, Carmen sentì un piacevole calore salirle dalla pancia.
***
Alle dieci in punto Carmen scese rapidamente le scale antistanti alla porta di casa, passandosi una mano fra i capelli per tentare in extremis di sistemarsi il ciuffo ribelle che non era riuscita a domare con il phon in casa.
Il vento serale aveva spazzato via le nubi e i loro rovesci del pomeriggio; l’aria era frizzante e la luna piena, che sembrava verniciata con pittura fosforescente, dominava solitaria il cielo.
Ronald attendeva seduto in macchina, una Due Cavalli arancione, con una grossa ammaccatura sul paraurti anteriore, che aveva da tempo superato i propri anni migliori.
Teneva il braccio sinistro appoggiato al finestrino abbassato e fumava un cigarillo scuro di scarsa qualità, il cui odore (no, non lo si poteva chiamare profumo) aveva dopo poche boccate saturato l’aria dell’abitacolo.
Indossava una camicia a quadri bianchi e blu, portata sopra una maglietta di cotone bianca con un’improbabile immagine di una bandiera strappata del Regno Unito, jeans strappati e, ai piedi, un paio di sneakers Converse verde militare.
Carmen lo baciò su entrambe le guance prima di salire in macchina e iniziare a tossire.
«Ma cos’è sto schifo di odore?» chiese con tono volutamente acido, edulcorandolo subito con un sorriso che mise in bella evidenza le sue fossette.
«Roba di famiglia, Carmen, roba di famiglia. Di quella buona. È un cigarillo di mio nonno, lui ne ha fumati venti al giorno dai dodici anni in avanti».
«E quanti anni ha adesso?».
«Adesso? È morto. A quarant’anni, di tumore ai polmoni. Non l’ho mai conosciuto».
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Ronald aspirò profondamente una boccata di fumo.
«Scherzi, vero?» chiese Carmen quasi sottovoce.
«No, è vero che è morto, ma so per certo che ha vissuto felicemente, anche grazie a questi cigarillos che sono buonissimi... anzi, vuoi fare un tiro?».
«Non ci penso neanche, Ronald! Dai, parti che ho voglia di muovermi un po’. E smettila di prendermi in giro, somaro che non sei altro...». Ronald mise in moto, fece manovra per uscire dal parcheggio e partì con calma, accendendo lo stereo.
La musica dei Coldplay avvolse i pensieri leggeri e paralleli dei due ragazzi, che non parlarono molto, durante il viaggio, entrambi rapiti dalle poesie di Chris Martin e dalla sua voce a volte baritonale, a volte in falsetto.
In meno di un quarto d’ora di macchina arrivarono alla festa.
Nelly, la padrona di casa, attendeva gli invitati ciondolando con un candelabro in mano di fronte al grande cancello della proprietà, alle cui spalle si intravedeva il maestoso giardino della residenza di campagna della famiglia.
Nel centro del giardino, gli zampilli di un’antica fontana a base rotonda, illuminati dal basso da faretti colorati, si ergevano nel cielo, superando l’altezza della statua posta al centro della fontana stessa, un improbabile Eros malamente copiato da quello di Piccadilly Circus.
Nella zona esterna, antistante al cancello, si estendeva uno spiazzo verde che gli invitati già arrivati non avevano esitato a utilizzare come parcheggio, cosa che fece anche Ronald, entrando di muso nell’angusto spazio che restava fra una Clio amaranto e una Volvo Blu di grossa cilindrata.
«Grazie Ronald, ma così non riesco proprio a uscire» disse Carmen, dopo aver tentato di aprire la portiera con il massimo della delicatezza, per evitare di causare danni alla Volvo adiacente.
«Neanch’io,» ribatté lui «ma non devi preoccuparti: la Due Cavalli è un’auto a risorse infinite!».
Iniziò a girare una manovella che pendeva dal tettuccio, non distante dallo specchietto retrovisore, e piano piano fece decapottare la macchina.
«Grande! Questa sì che è un’auto moderna!» esclamò Carmen che, senza farsi pregare, saltò con agilità sui sedili posteriori e da questi, in un battibaleno, atterrò sul prato, imitata da Ronald.
«Ingresso alla festa in grande stile, eh?».
Nelly si era avvicinata, sempre con il candelabro acceso fra le mani per illuminare il prato, mostrando un sorriso radioso che si era costruita con cinque anni di cure ortodontiche e una cifra non indifferente sborsata da suo padre.
«Ciao Nelly! Splendida idea la festa di questa sera! Possiamo già entrare?» chiese Carmen, baciando su entrambe le guance l’amica e avviandosi verso il sentiero d’ingresso ancora prima della risposta.
«Certo, superate la fontana e tenete la destra. Seguite poi le luci,