Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano. Guido Pagliarino
Il giovane sâera chiesto se quellâuomo avesse ricevuto un improvviso, urgente incarico dal maestro, al suo carattere piaceva infatti moltissimo indagare su fatti in ombra; ovviamente avrebbe voluto, prima di tutto, scoprire e far arrestare gli assassini del padre, ma ormai lo riteneva irrealistico: mancava qualche anno ancora allo straordinario sogno che lâavrebbe spinto a investigare. Non vedendo più tornare Giuda, la curiosità del ragazzo sâera accresciuta. Quando il gruppo del nazareno aveva lasciato la casa dietro al maestro per recarsi a dormire, su concessione di Maria, nel capanno dellâuliveto detto Getzemani che Marco aveva ereditato, il giovanissimo proprietario aveva detto alla madre che avrebbe accompagnato i dodici, sarebbe rimasto anchâegli per la notte e avrebbe fatto rientro alle prime luci: sâaugurava in cuor suo che, cammino facendo, avrebbe conosciuto le ragioni dellâuscita imprevista dellâIscariota e del mancato suo ritorno.
Maria restava assai protettiva verso il figlio, come di norma le madri ebree, almeno in quei tempi; allarmata, aveva esclamato con tono acceso, pur sapendo che le sue parole non sarebbero servite affatto contro la testardaggine del ragazzo: ââ¦ma cosa vai a fare là di notte?! à mai possibile che tu debba sempre farmi preoccupare? Perché non ascolti per una volta la tua mamma?!â.
Maria aveva solo quindici anni più del figlio ed era ancora una bella donna, piccolina ma dai tratti fini e un corpo florido che molto piaceva in quei tempi, e terminato il periodo del lutto aveva ricevuto proposte di matrimonio da diversi vedovi, anche perché avrebbe ereditato beni alla morte dei propri genitori: proposte tutte rifiutate in quanto la donna aveva deciso di dedicarsi interamente a Marco.
Con viso mesto, senzâaggiungere altre parole la madre aveva ordinato ai servi di preparare lâoccorrente, tre lanterne per illuminare la via e tredici teli di lino dove avvolgersi durante il sonno. Quattro dei discepoli sâerano caricati le lenzuola, tre avevano avuto ciascuno una lampada accesa e il gruppo sâera avviato dietro al maestro, con in coda Marco châera uscito ignorando la madre: Maria sâera piantata appena fuori dalla porta e aveva seguito muta il suo passaggio, cogli occhi umidi, accompagnandolo poi con lo sguardo finché il gruppo non era sparito alla vista.
Il rabbì nazareno era silenzioso, assorto in qualche grave pensiero. I suoi, per non infastidirlo, parlavano a bassa voce e a Marco parevano inquieti: forse temevano un arresto? Eppure, ragionava il giovane, era impossibile che quegli uomini venissero rintracciati nellâuliveto, fuori città e al buio, e certo si sarebbero messi in salvo se, ancor prima dellâalba, avessero lasciato la zona e fossero tornati nella loro Galilea; tanto ormai, soggiungeva a sé stesso, avendo soddisfatto lâimpegno dei festeggiamenti pasquali a Gerusalemme, non avevano più motivo di restare.
Marco non aveva resistito per molto e aveva domandato allâappena più anziano di lui Giovanni Bar Zebedeo, châera in coda al gruppo al suo fianco e, unico, pareva del tutto tranquillo: âPerché il tuo condiscepolo ha abbandonato quasi di corsa la cena e non è più tornato?â.
âAveva avuto un improvviso incarico dal maestroâ, aveva risposto lâaltro confermando la sua ipotesi, âma quale non saprei perché gli aveva parlato a bassa voce. So che, in tono più alto, lâaveva infine esortato dicendogli: âQuello che devi fare, fallo presto!â. Avevo presunto lâavesse inviato a cercare altre provviste, ma visto che Giuda non è più tornato, ora non saprei che pensare, né oso chiederlo al rabbìâ.
Era intervenuto Giacomo Bar Alfeo, parente del maestro, che procedeva sùbito innanzi ai due e voltando la testa aveva sussurrato al condiscepolo: âIo non sono affatto tranquillo dopo che, a cena, il rabbì ci ha annunciato che uno di noi lo tradirà e lui sarà arrestato, mentre noi fuggiremoâ.
âIl traditore non potrebbe essere Giuda?â sâera frapposto Marco.
âMahâ, aveva considerato Bar Alfeo, sempre sottovoce, âil maestro gli avrebbe dato un incarico di fiducia se avesse sospettato di lui?! e poi, solo dopo che Giuda era uscito ci ha detto che lâavremmo abbandonato, perciò penso che il rinnegato sia tra noi undici, anche se certamente non sono ioâ.
ââ¦e nemmeno io! e non lâabbandonerò mai!â sâera risentito Giovanni, come se lâaltro avesse sospettato proprio di lui; e aveva proseguito: âHai trascurato dâaggiungere che il maestro ha pur detto che uno di noi invece non fuggirà e sarà con lui fino alla morte; e io sento dâessere quel discepoloâ: la sua voce appassionata aveva attratto lâattenzione di tutto il gruppo compreso il rabbì, il quale sâera fermato e voltato. A questo punto era stato tutto un vociare rivolto al maestro, per primo un certo Simon Pietro che aveva esclamato: âIo non ti lascerò mai, mai, mai!â; suo fratello Andrea, per non essere da meno aveva espresso con foga: ââ¦e figuriamoci un poâ se me ne andrò io, rabbonì!â, parola che significa maestro mio ed esprime la massima devozione possibile verso il proprio rabbì; da Giacomo Bar Alfeo era giunto un urlo, o quasi: âNon dare retta a Giovanni! Sono io quello che non tâabbandonerà â; un tale di nome Taddeo aveva espresso: ââ¦e chi potrebbe lasciarlo, un maestro come te?!â; insomma, uno per uno tutti avevano promesso assoluta fedeltà ; quindi, per buon peso, nemmeno si fossero messi dâaccordo prima, avevano pronunciato allâunisono: âNessuno di noi tâabbandonerà mai, o rabbonì!â.
âPietro, tu che hai promesso per primo sappi che, avanti che il gallo canti due volte, tu mâavrai tradito tre volteâ, aveva profetizzato il maestro, âe come avevo annunciato, tutti voi tra poco scapperete, a parte uno: e dico adesso châegli è il giovane Giovanniâ. Quindi, impartito lâordine di non parlare più, il maestro sâera di nuovo immerso nei propri pensieri.
Giunti al podere Getzemani, Marco e otto degli undici erano entrati nellâampio capanno degli attrezzi e sâerano stesi sul pavimento, nelle aree libere da utensili, per prendere sonno; invece i discepoli Simone Bar Giona detto Pietro e i fratelli Giovanni e Giacomo Bar Zebedeo, obbedendo a un ordine del maestro, avevano cercato, ma sarebbe stato un vano tentativo, di restare svegli in preghiera con lui, tra gli ulivi.
Appena un paio dâore dopo, era il momento più buio della notte, sâera finalmente capito che, proprio come Marco aveva sospettato, il traditore annunciato era Giuda. Ecco che lâIscariota era apparso alla testa di guardie del sinedrio che impugnavano spade e bastoni e aveva identificato il rabbì, châera stato arrestato. Sapendo dellâintenzione del maestro di salire allâuliveto per la notte, il cattivo discepolo ne doveva aver informato i capi dâIsraele che avevano capito di poter arrestare segretamente lâodiato e pericoloso nazareno approfittando dellâoscurità e dellâisolamento della zona, senza correre il rischio dâuna sollevazione della piazza che simpatizzava per lui. In realtà il giorno dopo la stessa, soggetta come sempre alle ultime, superficiali suggestioni, istigata da agenti del sommo sacerdote Caifa avrebbe chiesto a Pilato che lâarrestato fosse tolto di mezzo9.
A Giuda, come si sarebbe saputo in Gerusalemme, erano venute in compenso trenta monete dâargento, il prezzo dâuno schiavo robusto o dâun piccolo campo. Lâesortazione che il maestro gli aveva lanciato, âQuello che devi fare, fallo prestoâ, poteva aver adesso un significato, poteva trattarsi, come avrebbe riflettuto Marco, del desiderio del nazareno di non restare troppo a lungo preda dellâansietà : il rabbì doveva aver realizzato di non avere più scampo, che ormai, essendo troppo inviso ai capi dâIsraele per glâinnumerevoli attacchi loro rivolti, ovunque fosse andato sarebbe stato trovato e, dunque, che fosse inevitabile il suo martirio; conosciuta lâintenzione di Giuda di denunciarlo, doveva averla accolta come una liberazione dallâangustiante attesa e per questo, informato il discepolo che sapeva tutto, doveva averlo esortato a non indugiare.
Al trambusto châera seguito allâarrivo delle guardie, i nove che riposavano nel capanno sâerano svegliati ed erano corsi a vedere. Marco,