Arturo e l’unicorno. Джованни Сальветти

Arturo e l’unicorno - Джованни Сальветти


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essere benevola e regalare ricchi raccolti se il tempo era stato particolarmente buono. Altre volte il tempo poteva essere però meno buono, troppo piovoso o troppo secco, troppo caldo o troppo freddo. Allora il raccolto era scarso e bisognava tirare la cinghia perché c’era meno da mangiare e sempre dieci bocche da sfamare. Tutto sommato però vivevano felici, una vita semplice, circondati da un paesaggio di dolci colline e colori bellissimi che cambiavano con lo scorrere delle stagioni.

      La carestia

      A volte però la Natura poteva essere particolarmente severa. Non c’era un motivo, era così e basta. Succedeva. Un anno ci fu infatti una terribile carestia, vale a dire che piovve così’ poco che il raccolto fu scarsissimo, molto meno della metà del solito. Quell’anno infatti aveva piovuto pochissimo e l’estate era stata molto calda. Quell’estate la terra era diventata come polvere e si appiccicava ai corpi sudati dei contadini che facevano quello che potevano per salvare una parte del raccolto dalla siccità. Visto il risultato disastroso del raccolto, il papà di Arturo capì immediatamente che non avrebbe potuto sfamare tutta la famiglia l’anno successivo. Gli venne in mente di chiedere al marchese se per quell’anno soltanto poteva ricevere un po’ più della metà del raccolto che gli spettava e si prometteva di restituire al marchese la differenza l’anno successivo.

      La mattina di buon’ora il papà di Arturo andò a Bergamo con il suo carretto trainato dall’asino. Dopo quasi un’ora di viaggio, attraversò da porta San Giacomo, le alte mura venete con che erano appena state ultimate e che circondano tutt’oggi la città di Bergamo e si diresse verso il palazzo del marchese. In cima a Porta San Giacomo c’era il simbolo della Repubblica di Venezia, il leone alato, che ad Arturo piaceva molto.

      Ubaldo, il vecchio maggiordomo del marchese, gli aprì il portone e lo salutò.

      – Salve Bontempi, che ci fa qua? Non l’aspettavamo, – disse Ubaldo guardandolo dall’alto in basso.

      Ubaldo lavorava dai Trecolli da vent’anni ed era responsabile dell’organizzazione di tutta la servitù del palazzo. Vestiva una livrea rosso scuro, un po’ sgualcita perché il marchese non gliene comprava una nuova da anni. Il papà di Arturo rispose:

      – Vorrei vedere l’illustrissimo Marchese perché ho urgenza di parlargli, sa per via del raccolto, quest’anno è stato terribile.

      Ubaldo rispose:

      – Ah, lo potevo immaginare, non è il primo contadino che viene con strane richieste di questi tempi. Ma non si faccia illusioni Bontempi, conosce come è il marchese…

      Il papà di Arturo aggiunse:

      – Si lo so, ma non ho alternative, mi annunci al marchese, la prego.

      Dopo due ore di attesa, finalmente il marchese ricevette il papà di Arturo. Il marchese, stava guardando delle carte che gli aveva portato il suo amministratore e senza neanche alzare la testa dal tavolo si rivolse al papà di Arturo con tono burbero e severo:

      – Bontempi, cosa vuole? Sono molto impegnato e non voglio perdere tempo.

      Il papà di Arturo abbassò umilmente la testa e disse a bassa voce:

      – Come immagino lei sappia, illustrissimo Marchese, quest’anno il raccolto è stato terribile.

      – Certo che lo so! – lo interruppe bruscamente il marchese, – sto proprio guardando il rapporto del mio amministratore! E allora?

      – Allora, – disse il papà di Arturo, – mi chiedevo se lei fosse così magnanimo da lasciarmi tre quarti del raccolto di quest’anno, invece che metà, e la differenza gliela darò l’anno prossimo, magari anche con un po’ di interessi così non ci perderà niente. In questo modo forse potrò sfamare la mia famiglia, altrimenti mi sa che non ce la faremo.

      Il marchese disse secco:

      – È forse impazzito Bontempi? Le regole della mezzadria sono così da trecento anni o più e nessuno dei miei antenati ha mai fatto eccezioni. Non voglio certo cominciare io. Se faccio un’eccezione a lei, tutti vorranno la stessa cosa e io dovrei rinunciare a dare parte dei miei banchetti, cosa che non voglio assolutamente fare, specialmente quest’anno. E ora se ne vada e non mi faccia perdere altro tempo, anche perché si è fatta ora di pranzo.

      Il povero papà di Arturo aprì la bocca ma non gli uscì nessuna parola. Era un semplice contadino e non sapeva e osava dire nulla di più al marchese. Uscì allora dalla porta della stanza del marchese a testa bassa e scese le scale. Scendendo le scale vide salire i camerieri in livrea celeste che portavano grandi piatti fumanti per il pranzo del marchese. C’erano fagiani ripieni, ravioli con la salsa di cinghiale e funghi, verdure ed anche una grande torta di nocciole e mirtilli. Cibarie favolose che il papà di Arturo non aveva mai visto e che gli fecero subito venire l’acquolina in bocca. Vide che c’erano solo due camerieri che facevano un po’ fatica a portare tutti quei vassoi e le caraffe. Si sedette in fondo alle scale un attimo perché gli girava la testa sia per la fame che per la preoccupazione. Non sapeva proprio come avrebbe fatto a sfamare la famiglia con quel raccolto così scarso.

      Ad un certo punto gli venne un’idea. Risalì le scale e bussò alla porta della sala da pranzo. Ubaldo aprì e lo guardò con occhi inviperiti e a denti stretti sibilò:

      – Cosa fa ancora qui Bontempi? non vede che il signor marchese sta mangiando? Non lo vorrà mica disturbare spero!?

      Il marchese sentì qualcosa e chiese:

      – Ubaldo che cosa succede?

      – Niente signor marchese, c’è ancora Bontempi che voleva dirle qualcosa ma ora lo mando via.

      Normalmente il marchese non avrebbe certo rivisto Bontempi ma la pasta al sugo di cinghiale e funghi era così buona, ma cosi buona, che mise il marchese di un umore insolitamente benevolo. Infatti disse a Ubaldo:

      – Vabbè vediamo cosa vuole ancora questo seccatore! Il papà di Arturo sussurrò:

      – Illustrissimo marchese, mi dispiace molto disturbarla ancora, ma mi è venuta un’idea di cui le volevo parlare. Perché non prende uno o due dei miei figli come camerieri presso il palazzo? Conosce la nostra famiglia da anni e sono dei bravi ragazzi. Almeno per un anno, così avrò meno bocche da sfamare.

      Il marchese si rivolse ad Ubaldo e gli chiese:

      – Ubaldo cosa dici? Abbiamo bisogno di camerieri? Ubaldo rifletté un attimo e disse:

      – Effettivamente abbiamo molto meno personale ora, specialmente da quando abbiamo licenziato quei due camerieri il mese scorso.

      – Ah si quei due mascalzoni! – disse Trecolli. – Li abbiamo beccati a mangiare il mio formaggio Taleggio dalla dispensa. Beh che ne dici Ubaldo?

      Ubaldo rispose:

      – Dico che effettivamente conosciamo i Bontempi da anni, sono brave persone di cui ci possiamo fidare. In più, quest’anno che viene, abbiamo in programma un bel pò di banchetti, come ben sa, illustrissimo marchese.

      In effetti, il marchese voleva trovare marito per sua figlia Caterina e voleva per questo organizzare eleganti balli e banchetti con la migliore nobiltà della città e anche della Repubblica.

      – Tuttavia, – aggiunse Ubaldo, – suggerirei al marchese illustrissimo di prendere un solo nuovo cameriere da formare per bene. Per questo deve essere uno giovane e sveglio. Direi un ragazzo di dieci o undici anni.

      In quel momento al papà di Arturo gli si spezzò il cuore perché vide nella sua mente il viso di Arturo, era l’unico maschio di quell’età e non c’erano alternative. Il solo pensiero di separarsene per un po’ lo rattristava moltissimo. Rifletté trenta secondi e quando gli occhi di Ubaldo e del marchese davano segni di impazienza rispose con un filo di voce:

      – Va bene, grazie infinite, vi manderò Arturo.

      Al ritorno verso casa, all’imbrunire, una macchietta nera corse verso il carretto del papà che rientrava al casale.

      – Papà, papà, come mai ci hai messo cosi tanto? – gridò una voce


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