Grido d’Onore . Морган Райс

Grido d’Onore  - Морган Райс


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il semplice stare all’aria aperta. Galoppare con il suo cavallo, sentire il terreno che scorreva veloce sotto di lui, essere di nuovo dentro un’armatura, avere le sue armi con lui e muoversi con i suoi compagni lo faceva sentire come se fosse stato sparato da un cannone. Provava una temerarietà mai sperimentata prima.

      Kendrick galoppava, abbassandosi contro il vento, il fido compagno Atme al suo fianco, completamente grato per la possibilità di combattere insieme ai propri compagni, di non perdersi la battaglia, desideroso di liberare la sua patria dai McCloud, e fargliela poi pagare per averli invasi. Cavalcava pervaso dall’urgenza di spargere sangue, anche se era ben consapevole che il vero bersaglio della sua collera non erano i McCloud, ma suo fratello Gareth. Non lo avrebbe mai perdonato per averlo imprigionato, per averlo accusato dell’assassinio di suo padre, per averlo arrestato di fronte ai suoi uomini, e per aver tentato di mandarlo a morte. Kendrick voleva vendetta, ma dato che non poteva averla direttamente su Gareth, almeno non adesso, se la sarebbe presa sui McCloud.

      Una volta tornato alla Corte del Re avrebbe comunque rimesso le cose a posto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per eliminare suo fratello e mettere sul trono sua sorella Gwendolyn.

      Si avvicinarono alla città saccheggiata ed enormi nuvole scure e gonfie li accolsero, riempiendo le narici di Kendrick di un odore acre di fumo. Lo addolorava vedere una città dei MacGil ridotta in quegli stati. Se suo padre fosse stato ancora vivo tutto ciò non sarebbe mai accaduto; se Gareth non gli fosse succeduto al trono non si sarebbe mai verificata una cosa del genere. Era una disgrazia, un’onta sull’onore dei MacGil e dell’Argento. Kendrick pregava che non fossero giunti troppo tardi per salvare quella gente e che i McCloud non fossero lì da troppo tempo, che non fosse stata ferita o uccisa troppa gente.

      Spronò ancor più il suo cavallo, portandosi davanti agli altri mentre tutti galoppavano, come uno sciame di api, verso il cancello aperto che dava accesso alla città. Lo attraversarono, Kendrick brandendo la sua spada e preparandosi allo scontro con un contingente dell’esercito nemico. Liberò un alto grido e così fecero gli uomini attorno a lui, preparandosi all’impatto.

      Ma quando ebbero attraversato il cancello e si furono ritrovati nella polverosa piazza della città, Kendrick rimase frastornato di fronte a ciò che vide: niente. Tutt’attorno c’erano evidenti segni di un’invasione – distruzione, incendi, case svaligiate, cadaveri ammassati, donne che strisciavano. C’erano animali uccisi, sangue sulle pareti. Era stato un massacro. I McCloud avevano devastato quel popolo innocente. Il solo pensiero fece venire a Kendrick la nausea. Erano dei codardi.

      Ma ciò che lo stupì maggiormente mentre si guardava in giro era che dei McCloud non c’era nessuna traccia. Non riusciva a capire. Era come se l’intero esercito si fosse dileguato, come se avessero saputo che loro stavano arrivando. Gli incendi erano ancora accesi ed era chiaro che erano stati accesi per un motivo.

      Nella mente di Kendrick si stava facendo strada l’idea che fosse un’esca. Che i McCloud avessero voluto appositamente attirare l’esercito dei MacGil in quel luogo.

      Ma perché?

      Kendrick si voltò di scatto, si guardò in giro, cercando disperatamente di capire se mancasse qualcuno dei suoi uomini, se qualche pezzo dell’esercito fosse stato trascinato da qualche altra parte, in un altro luogo. Nella mente gli scorrevano ora nuovi pensieri, una nuova sensazione che tutto ciò fosse stato organizzato per isolare un gruppo dei suoi uomini, in modo da tendere loro un’imboscata. Guardò ovunque, chiedendosi chi mancasse.

      E poi capì. C’era una persona che mancava. Il suo scudiero.

      Thor.

      CAPITOLO SEI

      Thor era in groppa al suo cavallo, in cima alla collina affiancato dal gruppo di membri della Legione e da Krohn, e guardava la spiazzante visione davanti a sé: a perdita d’occhio si dispiegavano le truppe dei McCloud, tutti a cavallo; un vasto esercito che si estendeva a macchia d’olio e sembrava non attendere che loro. Erano stati incastrati. Forg doveva averli portati lì di proposito, doveva averli traditi. Ma perché?

      Thor deglutì, osservando quella che aveva tutto l’aspetto di essere morte certa.

      Un grandioso grido di battaglia si levò quando improvvisamente l’esercito dei McCloud si lanciò all’attacco. Erano a poco più di cento metri da loro, e fecero presto ad avvicinarsi. Thor si diede un’occhiata alle spalle, ma non c’erano rinforzi per quanto riuscì a vedere. Erano completamente soli.

      Thor sapeva che non avevano altra scelta che tentare un ultimo atto di resistenza lì, su quella collinetta, accanto a quel torrione abbandonato. Le loro possibilità erano nulle e non c’era praticamente modo che potessero vincere. Ma se anche avesse dovuto morire, sarebbe morto coraggiosamente e li avrebbe affrontati da uomo. La Legione gli aveva insegnato questo. Scappare non era una possibilità da contemplare: Thor si preparò ad affrontare la propria morte.

      Si voltò a guardare i volti dei suoi amici e poté vedere che anche loro erano pallidi per la paura, scorse la morte nei loro occhi. Ma a loro totale credito, mantennero il coraggio. Nessuno di loro trasalì, anche se i loro cavalli si impennarono o cercarono di voltarsi per scappare. La Legione era un blocco unico ora. Erano più che amici: il Cento aveva fatto di loro una squadra di fratelli. Nessuno di loro avrebbe mai lasciato gli altri. Avevano fatto tutti un giuramento e c’era in ballo il loro onore adesso. E per la Legione l’onore era più sacro del sangue.

      “Signori, credo che abbiamo una battaglia davanti,” constatò Reece lentamente, allungando una mano e sguainando la spada.

      Thor prese la sua fionda con l’intento di eliminare più soldati possibile prima che potessero raggiungerli. O’Connor estrasse la sua lancia corta, mentre Elden preparò il giavellotto, Conval il martello da lancio e Conven il suo picco d’armi. Gli altri ragazzi della Legione che erano con loro, quelli che Thor non conosceva, sguainarono le spade e sollevarono gli scudi. Thor percepiva la paura aleggiare nell’aria e lui stesso la provava, mentre il boato generato dagli zoccoli dei cavalli lanciati al galoppo si avvicinava e le urla degli uomini di McCloud raggiungevano il cielo dando l’impressione di essere un rombo di tuono pronto a colpirli. Thor sapeva che avevano bisogno di una strategia, ma non aveva idea di quale potesse essere quella migliore.

      Accanto a Thor, Krohn ringhiò. il giovane fu ispirato dall’audacia di Krohn, dalla sua mancanza di paura: non esitò e non si guardò alle spalle una sola volta. In effetti il pelo gli si era rizzato sulla schiena e lentamente stava avanzando, come volesse affrontare quell’esercito da solo. Thor sapeva di aver trovato in Krohn un vero compagno di battaglia.

      “Credete che gli altri ci manderanno dei rinforzi?” chiese O’Connor.

      “Non in tempo,” rispose Elden. “Siamo stati messi nel sacco da Forg.”

      “Ma perché?” chiese Reece.

      “Non ne ho idea,” rispose Thor, avanzando con il suo cavallo, “ma ho la terribile sensazione che abbia qualcosa a che vedere con me. Penso che qualcuno mi voglia morto.”

      Thor sentì che gli altri si voltavano verso di lui e lo guardavano.

      “Perché?” chiese Reece.

      Thor scrollò le spalle. Non lo sapeva, ma aveva la sensazione che centrassero in qualche modo tutte le macchinazioni della Corte del Re, che fosse qualcosa di connesso all’assassinio di MacGil.  Probabilmente era Gareth. Forse vedeva in Thor una minaccia.

      Si sentiva malissimo all’idea di aver messo in pericolo i suoi compagni, ma non c’era nulla che potesse fare. Poteva solo tentare di difenderli.

      Ne aveva abbastanza. Gridò e spronò il cavallo, lanciandosi al galoppo e scattando in azione prima degli altri. Non avrebbe aspettato di farsi trovare lì dall’esercito e dalla sua stessa morte. Avrebbe scagliato lui il primo colpo, magari avrebbe addirittura deviato qualcuno dei suoi fratelli d’armi e avrebbe dato loro l’occasione di scappare, se avessero voluto. Aveva intenzione di andare incontro alla sua fine e l’avrebbe fatto senza paura, con onore.

      Tremando dentro di sé ma rifiutando di darlo a vedere, Thor galoppò distaccandosi sempre più dagli altri, scendendo il versante della collina e avvicinandosi all’esercito nemico.


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