La Terra del Fuoco . Морган Райс
Sud; non Kendrick o l’Argento o qualsiasi altro coraggioso uomo che si trovasse in quel luogo: nessuno di loro aveva i mezzi per sconfiggere un drago. Avevano bisogno di magia e questo era proprio l’elemento che mancava loro.
Erano stati fortunati a sfuggire all’Anello e ora, lo capiva bene, il destino li aveva raggiunti. Non c’era più spazio per la fuga né per nascondersi. Era giunta l’ora di affrontare la morte che li stava rincorrendo.
Gwendolyn si voltò a guardare l’orizzonte dalla parte opposta, scorgendo anche da lì l’oscura massa di draghi che si dirigevano verso di lei. Aveva poco tempo a disposizione: non voleva morire da sola lì sulla costa, ma insieme al suo popolo, proteggendolo meglio che poteva.
Gwen si voltò di nuovo per un’ultima occhiata all’oceano, sperando di poter ancora scorgere Guwayne.
Ma non c’era più nulla. Ora Guwayne era lontano da lei, da qualche parte verso l’orizzonte, già diretto verso un mondo che lei non avrebbe mai conosciuto.
Ti prego Dio, pregò Gwen. Stai con lui. Prendi la mia vita e risparmia la sua. Farò qualsiasi cosa. Tieni Guwayne in salvo. Fa che possa stringerlo di nuovo. Ti scongiuro. Per favore.
Gwendolyn aprì gli occhi, sperando di vedere un segno, magari un arcobaleno all’orizzonte, qualsiasi cosa.
Ma l’orizzonte era vuoto. Non c’era altro che nero, nubi scure e un universo furibondo con lei per ciò che aveva fatto.
Singhiozzando Gwen diede le spalle all’oceano, a ciò che rimaneva della sua vita, e si mise a correre, a ogni balzo sempre più vicina all’ultimo momento con il suo popolo.
Gwen si trovava sul bastione più alto della fortezza di Tiro, circondata da decine di persone tra cui i suoi fratelli Kendrick, Reece e Godfrey, i suoi cugini Mati e Stara, Steffen, Aberthol, Srog, Brandt, Atme e tutta la Legione. Guardavano tutti il cielo, in silenzio e pensierosi, sapendo ciò che li aspettava.
Mentre ascoltavano i distanti ruggiti che scuotevano la terra, restavano fermi e indifesi, guardando Ralibar che portava avanti la loro battaglia, da solo e coraggiosamente, combattendo meglio che poteva e contenendo l’esercito di draghi nemici. Il cuore di Gwen era colmo di gratitudine vedendo Ralibar combattere così valorosamente e coraggiosamente, uno contro più di dieci, ma pur sempre temerario. Ralibar sputava fuoco contro i draghi, sollevava gli artigli e li graffiava, li afferrava e affondava le zanne nelle loro gole. Non solo era più forte degli altri, ma anche più veloce. Era uno spettacolo da guardare.
Mentre Gwen osservava la scena il suo cuore si colmava di speranza: una parte di lei voleva credere che magari Ralibar li avrebbe potuti sconfiggere. Lo vide sbandare e tuffarsi mentre tre draghi gli sputavano contro delle fiamme, mancandolo per un pelo. Ralibar scattò poi in avanti e conficcò gli artigli nel petto di uno di essi, usando lo slancio per spingerlo verso l’oceano.
Numerosi draghi gli lanciarono fuoco contro la schiena mentre lui scendeva verso il mare e Gwen guardò con orrore che lui e l’altro drago divenivano una palla infuocata che precipitava verso l’acqua di sotto. Il drago opponeva resistenza, ma Ralibar usò tutto il suo peso per spingerlo verso le onde: nel giro di poco tempo entrambi si immersero nell’oceano.
Si levò un forte sibilo accompagnato da una nube di vapore mentre l’acqua spegneva il fuoco. Gwen guardava con trepidazione, sperando che tutto andasse bene: poco dopo Ralibar riemerse, da solo. Anche l’altro drago riapparve in superficie, ma galleggiando tra le onde, morto.
Senza esitare Ralibar si lanciò contro gli altri draghi che stavano scendendo verso di lui. Mentre si avvicinavano con le fauci spalancate, diretti verso di lui, Ralibar si mise in assetto da combattimento: protese i grossi artigli, si inarcò, allargò le ali e afferrò due avversari ruotando subito dopo e lanciandoli in mare.
Li tenne sott’acqua, ma nel frattempo gli altri draghi rimbalzavano contro la sua schiena esposta. Tutto il gruppo precipitò nell’oceano, spingendo Ralibar sotto la superficie insieme a loro. Ralibar stava combattendo valorosamente, solo era decisamente in minoranza e finì sott’acqua, dimenandosi, tenuto sotto la superficie da decine di draghi che gracchiavano infuriati.
A Gwen balzò il cuore in gola vedendo che Ralibar combatteva per tutti loro, completamente solo. Avrebbe voluto più di ogni altra cosa poterlo aiutare. Scrutò la superficie dell’oceano in attesa, sperando di vedere un qualsiasi segno di Ralibar, desiderando che riemergesse.
Ma con orrore non lo vide.
Gli altri draghi riemersero e si sollevarono tutti in volo, si riunirono nuovamente in gruppo e posero gli occhi sulle Isole Superiori. Sembrava che guardassero proprio Gwendolyn. Lanciarono un forte ruggito e aprirono le ali.
Gwen si sentì il cuore spezzare in due: il suo caro amico Ralibar, la loro ultima speranza, loro ultima linea di difesa, era morto.
Si voltò verso i suoi uomini che guardavano la scena scioccati. Sapevano cosa li aspettava: un’irrefrenabile ondata di distruzione.
Gwen si sentiva oppressa: aprì la bocca per parlare ma le parole le si bloccarono in gola.
“Fate suonare le campane,” riuscì alla fine a dire con voce roca. “Ordinate alla gente di cercare riparo. Chiunque si trovi ancora in superficie deve andare sottoterra all’istante. Nelle caverne, nelle cantine, da qualsiasi parte ma non qui. Ordinatelo immediatamente!”
“Suonate le campane!” gridò Steffen, correndo verso il parapetto della fortezza e gridando verso il cortile. Presto le campane iniziarono a rintoccare facendo diffondere il loro suono nella piazza. Centinaia di persone, sopravvissuti dell’Anello, iniziarono a scappare correndo al riparo, diretti verso caverne che si trovavano alla periferia della città oppure scappando in cantine e ripari sotterranei, preparandosi ad affrontare l’inevitabile ondata di fuoco che sarebbe presto sopraggiunta.
“Mia regina,” disse Srog voltandosi verso di lei. “Forse potremo tutti ripararci in questa fortezza. Dopotutto è fatta di pietra.”
Gwen scosse la testa sapendo molto bene quale fosse la situazione.
“Non conosci l’ira dei draghi,” rispose. “Niente che si trovi in superficie può passarla liscia. Niente.”
“Ma mia signora, forse saremo più al sicuro in questa fortezza,” insistette. “Ha superato la prova del tempo. Queste pareti di pietra sono spesse quasi mezzo metro. Non preferiresti startene qui piuttosto che andare a rintanarti sottoterra?”
Gwen scosse la testa. Si udì un ruggito e guardando l’orizzonte poté vedere i draghi che si avvicinavano. Il cuore le si spezzò alla vista, in lontananza, di quei mostri che lanciavano un muro di fuoco contro la sua flotta che era ancorata nel porto meridionale. Vide le sue preziose navi, la via di fuga da quell’isola, bellissime navi che erano state costruite in decenni, ridotte ora a poco più che pezzettini di legno. Si sentiva fortunata ad aver previsto tutto e ad aver nascosto alcune imbarcazioni dall’altra parte dell’isola. Se mai fossero sopravvissuti per poterle usare e scappare da lì.
“Non c’è tempo per discutere. Tutti lascino questo posto immediatamente. Seguitemi.”
Tutti la seguirono mentre scendeva velocemente la scala a spirale che portava giù dal tetto, conducendoli più rapidamente che poteva. Mentre correva Gwen istintivamente chiuse le braccia per stringere Guwayne, poi il cuore le si spezzò un’altra volta rendendosi conto che non c’era più. Sentiva che le mancava qualcosa di sé mentre scendeva i gradini, udendo i passi alle sue spalle, facendo due scalini alla volta, tutti diretti di corsa verso la salvezza. Gwen udiva anche i lontani ruggiti dei draghi che si avvicinavano sempre di più facendo vibrare di già le mura del palazzo. Pregava solo che Guwayne fosse in salvo.
Gwen corse fuori dal castello e attraversò il cortile insieme agli altri, tutti diretti verso l’ingresso delle prigioni, da tempo vuote di prigionieri. Numerosi dei suoi soldati aspettavano davanti alle porte d’acciaio che davano accesso alla scala che conduceva sottoterra. Prima di entrare Gwen si fermò e si voltò verso la sua gente.
Vide diverse persone che ancora correvano nel cortile, gridando di paura, frenetiche, insicure sul dove andare.
“Venite qui!”