Un Cielo Di Incantesimi . Морган Райс

Un Cielo Di Incantesimi  - Морган Райс


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sforzo la tirò in piedi.

      Mentre le teneva la mano Alistair sentì che tutta la sua energia veniva rinvigorita.

      “Dov’è lui?” chiese Argon.

      Poi non attese alcuna risposta, era come se sapesse esattamente dove c’era bisogno che andasse. Quindi si voltò, con il bastone saldo in mano, e si inoltrò verso il fitto della battaglia.

      Alistair non poteva capire come Argon non esitasse neppure un poco aggirandosi a quel modo tra i soldati. Poi si rese conto del perché: era in grado di generare una bolla magica attorno a sé mentre camminava e quando i morti viventi si lanciavano contro di lui da ogni parte non erano in grado di penetrarla. Alistair si tenne stretta a lui mentre avanzava senza paura, rimanendo incolume nel bel mezzo dei combattimenti, come se stesse semplicemente passeggiando in un prato in una giornata di sole.

      Entrambi si fecero strada attraverso il campo di battaglia e Argon rimase sempre in silenzio, camminando avvolto nel suo lungo mantello bianco e coperto dal suo cappuccio, avanzando così velocemente che Alistair faceva fatica a tenere il passo.

      Alla fine si fermò al centro della battaglia, in uno spazzo di fronte a Rafi. Rafi era ancora lì, con entrambe le braccia aperte ai lati, gli occhi ruotati indietro mentre continuava a richiamare migliaia di morti viventi che si riversavano sulla terra emergendo dal precipizio.

      Argon sollevò una sola mano sopra la propria testa, con il palmo rivolto verso il cielo, e sgranò gli occhi.

      “RAFI!” gridò con tono di sfida.

      Nonostante l’assordante rumore, il grido di Argon oltrepassò i suoni della battaglia e riverberò fino alle colline.

      Quando Argon urlò, improvvisamente le nuvole si divisero sopra la sua testa. Un’ondata di luce bianca scese dal cielo, proprio verso il palmo di Argon, come se ci fosse una connessione tra lui e i cieli. Il fascio di luce divenne sempre più ampio, come un tornado, e avvolse il campo di battaglia e tutto ciò che si trovava attorno a lui.

      Si formò un vento potente e si udì un forte fruscio. Alistair guardava incredula mentre sotto di lei la terra iniziava a tremare ancora più violentemente e l’enorme precipizio iniziava a stringersi richiudendosi lentamente.

      Mentre la terra si richiudeva su se stessa decine di morti viventi gridavano, schiacciati mentre cercavano di strisciare fuori.

      Nel giro di pochi istanti centinaia di morti viventi stavano scivolando, incespicando e precipitando di nuovo nella terra, mentre la spaccatura si faceva sempre più stretta.

      La terra si scosse un’ultima volta, poi tutto tacque e la spaccatura fu finalmente del tutto ricucita, il terreno di nuovo compatto, come se nessuna fessura fosse neanche mai comparsa. L’aria era pregna delle orribili grida dei morti viventi che giungevano attutite da sotto la superficie terrestre.

      Seguì un silenzio sbalordito, un momento di stallo nella battaglia mentre tutti stavano fermi a guardare.

      Rafi gridò e si voltò posando gli occhi su Argon.

      “ARGON!” gridò Rafi.

      Era giunto il momento dello scontro finale tra quei due grandiosi titani.

      Rafi corse nello spiazzo, tenendo alto il suo bastone rosso, ed Argon non esitò, lanciandoglisi contro.

      I due si trovarono al centro, ciascuno con il proprio bastone sollevato sopra la testa. Rafi calò il suo contro Argon, che parò il colpo con il proprio. Ne scaturì una forte luce bianca, come scintille, quando i due bastoni si scontrarono. Argon rispose al colpo e questa volta fu Rafi a parare.

      Proseguirono colpo dopo colpo nel combattimento, attaccando e parando, emanando luce bianca da tutte le parti. La terra tremava ad ogni colpo e Alistair percepiva un’energia monumentale nell’aria.

      Alla fine Argon trovò via libera e roteando il bastone dal basso verso l’alto, mandando in frantumi il bastone di Rafi.

      Il suolo si scosse violentemente.

      Argon fece un passo avanti, sollevò alto il proprio bastone con entrambe le mani e lo abbassò con forza verso il petto di Rafi.

      Rafi emise un grido orribile e migliaia di piccoli pipistrelli uscirono volando dalla sua bocca mentre teneva la mandibola spalancata. Il cielo si fece nero per un momento con nuvole nere che si raggrupparono proprio sopra la testa di Rafi, vorticando verso terra. Lo inghiottirono e Rafi ululò mentre lo sollevavano in aria facendolo ruotare, diretto verso un orribile destino che Alistair neanche voleva immaginare.

      Argon rimase fermo, respirando affannosamente, mentre tutto finalmente tornava quieto dopo la morte di Rafi.

      L’esercito di morti viventi levò delle grida mentre uno alla volta i demoni si disintegravano davanti agli occhi di Argon, cadendo a terra in cumuli di cenere. Presto il campo di battaglia fu disseminato da migliaia di cumuli, tutto ciò che rimaneva degli incantesimi di Rafi.

      Alistair scrutò il campo di battaglia e vide che solo una lotta stava ancora continuando: dall’altra parte del campo suo fratello Thorgrin stava già affrontando suo padre Andronico. Alistair sapeva che nel combattimento che stava per verificarsi uno di quei due uomini forti e determinati avrebbe perso la propria vita: suo fratello o suo padre. Pregò che fosse suo fratello a uscirne vivo.

      CAPITOLO CINQUE

      Luanda giaceva a terra ai piedi di Romolo mentre guardava con orrore le migliaia di soldati dell’Impero che invadevano il ponte, gridando di trionfo mentre si riversavano nell’Anello. Stavano invadendo la sua terra, e non c’era nulla che lei potesse fare se non starsene lì, inutile, a guardare chiedendosi se in qualche modo fosse stata tutta colpa sua. Non poteva fare a meno di sentirsi responsabile se lo Scudo era stato alla fine disattivato.

      Luanda si voltò a guardare l’orizzonte e vide le infinite navi dell’Impero. Capì che presto i soldati invasori sarebbero stati milioni. Per il suo popolo era finita: l’Anello era finito, tutto era finito ora.

      Luanda chiuse gli occhi e scosse la testa ripetutamente. C’era stato un tempo in cui era stata così arrabbiata con Gwendolyn e con suo padre e in cui sarebbe stata felice di poter vedere la distruzione dell’Anello. Ma la sua mente era cambiata: dal momento in cui Andronico l’aveva tradita e per come l’aveva trattata, da quando le aveva fatto rasare la testa, picchiandola e umiliandola di fronte al suo popolo. Questo le aveva fatto capire quanto si fosse sbagliata e quanto fosse stata ingenua in quella sua personale caccia al potere. Ora avrebbe dato ogni cosa per riavere indietro al sua vecchia vita. Tutto quello che voleva adesso era una vita di pace e gioia. Non bramava più ambizione e potere: ora tutto ciò che contava era sopravvivere e rettificare i torti.

      Ma mentre guardava la scena davanti ai propri occhi, Luanda si rese conto che era troppo tardi. Ora la sua amata patria stava per essere distrutta e non c’era nulla che lei potesse fare.

      Luanda udì un suono orribile, una risata mescolata a un ringhio e sollevando lo sguardo vide Romolo in piedi accanto a lei, le mani sui fianchi, intento a guardare la scena con un grande sorriso stampato in faccia a rivelare i suoi denti appuntiti. Gettò la testa indietro ridendo a più non posso, felice.

      Luanda avrebbe voluto ucciderlo: se solo avesse avuto un pugnale in mano gliel’avrebbe conficcato direttamente nel cuore. Ma conoscendolo, sapendo come era tozzo e quanto fosse resistente a tutto, un pugnale forse non l’avrebbe neppure punto.

      Romolo abbassò lo sguardo e la fissò. Il suo sorriso si trasformò in un ghigno.

      “Ora,” disse, “è giunto il momento di ucciderti lentamente.”

      Luanda udì un chiaro suono metallico e vide che Romolo prendeva un’arma dalla sua cintura. Sembrava una spada corta, eccetto per il fatto che terminava in una punta stretta e affusolata. Era un’arma malvagia, chiaramente progettata per le torture.

      “Stai per soffrire molto, veramente molto,” disse.

      Quando abbassò l’arma, Luanda sollevò le mani a coprirsi il viso, come se volesse bloccare il colpo. Chiuse gli occhi e strillò.

      Fu a quel punto che accadde la cosa più strana: mentre Luanda gridava, al suo strillo


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