Sala Operativa . Джек Марс
troppa acqua. Una quantità di acqua che avrebbe scavalcato le sponde del fiume. Avrebbe causato una massiccia inondazione. Wes pensò al lago gigantesco sopra alle loro teste.
Poi pensò a qualcos’altro, a una cosa alla quale non voleva pensare.
“Premi cancella e ricominciamo da capo,” disse Vince.
“Vince, c’è il villaggio turistico tre miglia lungo il corso del fiume. Siamo in agosto, Vince. Lo sai che sto dicendo? È alta stagione, e non hanno la più pallida idea di cosa sta per succedere. Dobbiamo chiudere tutto all’istante, o dobbiamo chiamare qualcuno laggiù. Devono far evacuare la gente.”
“Premi cancella e ricominciamo da capo,” disse di nuovo Vince.
“Vince!”
“Wes, hai sentito cosa ti ho appena detto? Chiudiamo le saracinesche. Se non ci riusciamo chiamo il villaggio tra due minuti. Adesso premi cancella e ricominciamo da capo.”
Responsabilmente, Wes fece come gli era stato detto, temendo nel profondo di se stesso che non avrebbe mai funzionato.
*
Il telefono sulla scrivania di fronte suonava incessantemente.
Montgomery Jones era alla caffetteria del Black Rock Resort, a cercare di godersi la colazione. Era la stessa colazione che gli servivano ogni giorno – uova strapazzate, salsicce, pancake, waffle – tutto ciò che si voleva. Ma oggi, dato che c’era così tanta gente, era seduto nell’angolo del locale più vicino all’ingresso. C’era un centinaio di mattinieri lì, a occupare tutti i tavolini, a intasare i lavori in tutte le zone di ristoro. E quel telefono stava cominciando a rovinare la mattinata di Monty.
Si voltò e guardò nell’ingresso. Era un posticino rustico, con una pannellatura in legno, un caminetto in pietra e una scrivania malconcia che centinaia di persone avevano inciso nel corso di lunghi anni. La scrivania era un folle intaglio di iniziali racchiuse in cuoricini, auguri dimenticati da tempo e incerti tentativi di tratteggio.
Non c’era nessuno alla scrivania a rispondere al telefono, e chiunque fosse all’altro capo non recepiva il messaggio. Ogni volta che il telefono smetteva di suonare, faceva una pausa di qualche secondo e poi ricominciava. Per Monty ciò stava a significare che ogni volta che chi chiamava arrivava alla segreteria riappendeva e ci riprovava. Era fastidioso. Qualcuno doveva desiderare ardentemente fare una prenotazione dell’ultimo minuto.
“Richiama, idiota.”
Monty aveva sessantanove anni, e andava a Black Rock da almeno venti, spesso due o tre volte all’anno. Adorava quel posto. Ciò che adorava di più era alzarsi presto, fare una buona e calda colazione, e andarsene per le strade panoramiche di montagna con la sua Harley Davidson. Per questa vacanza aveva con sé la sua ragazza, Lena. Aveva quasi trent’anni meno di lui, ma era ancora di sopra, in camera. Le piaceva dormire fino a tardi, a Lena. Il che significava che sarebbero partiti tardi, quella mattina. Andava bene così. Lena ne valeva la pena. Lena era la prova che il successo ripagava. Se la immaginò a letto, con i lunghi capelli bruni allargati tra i cuscini.
Il telefono smise di suonare. Trascorsero cinque secondi prima che ricominciasse.
Benissimo. Ne ho abbastanza. Avrebbe risposto Monty a quel maledetto telefono. Si alzò e scricchiolò sulle gambe legnose fino alla scrivania. Esitò solo un secondo prima di sollevare la cornetta. Il dito indice della mano destra seguì l’intaglio di un cuore con una freccia nel centro. Sì, veniva lì spesso. Ma il posto non gli era familiare come se ci lavorasse. Non poteva prendere prenotazioni, e nemmeno messaggi. Perciò avrebbe solo detto a chi chiamava di riprovare più tardi.
Prese la cornetta. “Pronto?”
“Sono Vincent Moore della Tennessee Valley Authority. Sono alla stazione di controllo della diga di Black Rock, tre miglia a nord da dove siete voi. È un’emergenza. Abbiamo un problema con le saracinesche, ed è necessaria l’evacuazione immediata del villaggio. Ripeto, evacuazione immediata. Sta arrivando un’inondazione.”
“Cosa?” disse Monty. Qualcuno lo stava prendendo in giro. “Non la capisco.”
Proprio allora nella caffetteria cominciò un trambusto. Cominciò uno strano chiasso di voci che si alzavano di tono. Improvvisamente una donna urlò.
L’uomo al telefono ricominciò. “Sono Vincent Moore della Tennessee Valley…”
Urlò qualcun altro, una voce maschile.
Monty teneva il telefono all’orecchio ma non stava più ascoltando. Appena oltre la soglia la gente della caffetteria si stava alzando dalle sedie. Alcuni stavano andando alle porte. Poi, in un attimo, il panico prese il sopravvento.
Le persone correvano, spingevano, cadevano le une sulle altre. Monty osservò tutto. Un’ondata di gente venne verso di lui, con gli occhi spalancati, le bocche aperte in rotonde O di terrore.
Mentre Monty osservava attraverso la finestra, un muro di acqua di un metro almeno si abbatté a terra. Un tizio della manutenzione in un’auto da golf che risaliva una collinetta dalla casa principale fu preso dalla marea. Il mezzo si capovolse, gettando l’uomo nell’acqua e atterrandogli sopra. Il mezzo fu preso per un attimo, poi scivolò lungo il fianco della collina, spinto da tutta l’acqua, e guadagnò velocità.
Scivolava dritto verso le finestre, a una velocità impossibile.
CRASH!
Il veicolo si schiantò di traverso contro la finestra, infrangendola – e un torrente di acqua lo seguì.
Si riversò nella caffetteria attraverso la finestra rotta. L’auto passò attraverso i vetri, poi scivolò per la stanza. Un uomo cercò di fermarla, cadde in un metro d’acqua e non tornò più in superficie.
Ovunque la gente affondava nell’acqua che saliva, incapace di stare in piedi. Tavoli e sedie scivolavano per la stanza e si impilavano contro la parete opposta.
Monty si mise dietro alla scrivania. Si guardò i piedi. L’acqua gli arrivava già alle caviglie. Improvvisamente, dall’altra parte, l’intera finestra di nove metri della caffetteria collassò, scagliando enormi schegge di vetro dappertutto.
Sembrò un’esplosione.
Monty si preparò a correre. Ma prima che i piedi potessero partire, prima di poter anche solo balzare sulla scrivania, tutto ciò che poté fare fu alzare le braccia e urlare mentre il muro d’acqua lo divorava.
CAPITOLO DUE
7:35
Osservatorio navale degli Stati Uniti – Washington, DC
Per Susan Hopkins, prima presidente donna degli Stati Uniti, la vita non avrebbe potuto essere migliore. Era estate, perciò Michaela e Lauren erano in vacanza da scuola. Pierre le aveva portate lì una volta che le cose si erano sistemate, e finalmente l’intera famiglia era nella Nuova Casa Bianca. Michaela si era ripresa dal rapimento come fosse stata un’avventura pazzesca che aveva deciso di superare. Aveva anche fatto un giro di talk show raccontando la sua esperienza, ed era stata la coautrice di un articolo per una rivista nazionale con Lauren.
E Susan e Pierre si erano ritrovati a farsi in quattro perché Lauren non si sentisse esclusa dalla pubblicità. Dopo la prima intervista in tv, avevano insistito perché le ragazze partecipassero insieme agli show. Era giusto così – mentre Michaela era intrappolata su una torre di cinquanta piani sorvegliata da terroristi, Lauren era a casa da sola, la sorella gemella e compagna di una vita strappatale via.
A volte Susan si ritrovava senza fiato al pensiero di perdere la figlia. Si svegliava nel bel mezzo della notte di tanto in tanto, ad ansimare, come se un demone le sedesse sul petto.
Doveva ringraziare Luke Stone per il ritorno di Michaela. Luke Stone gliel’aveva riportata indietro. Lui e la sua squadra avevano ucciso ogni singolo rapitore. Era un uomo difficile da capire. Spietato killer da una parte, padre amorevole dall’altra. Susan era convinta che fosse salito