Messaggi dallo Spazio . Морган Райс

Messaggi dallo Spazio  - Морган Райс


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dovuto capire che centrava Luna,” disse sua madre con un sospiro. “Adoro quella ragazza, ma ha troppa immaginazione.”

      “Per favore, mamma,” disse Kevin. “Questo è vero.”

      Sua madre gli mise le mani sulle spalle. Quando aveva iniziato a dover stendere le braccia per farlo? “No, Kevin. La dottoressa Yalestrom ha detto che stavi facendo fatica ad accettare tutto questo. Devi capire cosa sta succedendo, e io devo aiutarti ad accettarlo.”

      “So che sto morendo, mamma,” disse Kevin. Non avrebbe dovuto metterla così, perché poteva già vedere le lacrime che salivano agli occhi di sua madre.

      “Davvero? Perché questo…”

      “Troverò un modo per andarci,” promise Kevin. “Prenderò un autobus se devo. Prenderò un treno per la città e andrò a piedi. Devo almeno parlare con loro.”

      “E lasciare che ti ridano dietro?” Sua madre si ritrasse senza guardarlo “Sai che è quello che succederà, giusto, Kevin? Sto cercando di proteggerti.”

      “Lo so,” disse Kevin. “E so che probabilmente mi rideranno dietro, ma devo almeno provare, mamma. Ho la sensazione che questa cosa sia realmente importante.”

      Avrebbe volute dire altro, ma non era sicuro che dell’altro sarebbe stato di aiuto in quel momento. Sua madre stava in silenzio in un modo che suggeriva che stava pensando, e in quel momento era la cosa migliore che Kevin potesse sperare. Continuò a pensare, tamburellando sul bancone della cucina con le dita, marcando il tempo mentre prendeva una decisione.

      Kevin la sentì sospirare.

      “Va bene,” disse. “Lo farò. Ti porterò lì, ma solo perché sospetto che se non lo farò, mi arriverà una chiamata dalla polizia che mi dice che mio figlio è svenuto su un autobus da qualche parte.”

      “Grazie, mamma,” disse Kevin, abbracciandola.

      Sapeva che non gli credeva sul serio, ma in un certo senso questo rendeva la dimostrazione d’amore ancora più grande.

      CAPITOLO CINQUE

      Ci volle circa un’ora per andare da Walnut Creek fino all’Istituto SETI a Mountain View, ma a Kevin parve una vita. Non era solo il traffico in città che creava ingorghi nelle strade: ogni secondo che passava era un momento sprecato, era la possibilità di scoprire cosa gli stesse succedendo. Lo avrebbero saputo, ne era certo.

      “Cerca di non esaltarti troppo,” lo mise in guardia sua madre, ripetendolo per quella che doveva essere la ventesima volta. Kevin sapeva che stava solo tentando di proteggerlo, ma lo stesso non voleva che la sua eccitazione calasse. Era certo che in questo posto avrebbe scoperto ciò che gli stava capitando. C’erano scienziati che studiavano gli alieni. Era ovvio che sapessero ogni cosa, no?

      Quando arrivarono lì, però, l’istituto non era quello che si era aspettato. La 189 Bernardo Avenue assomigliava più a una galleria d’arte o a un’ala universitaria piuttosto che al genere di edificio ultra moderno e tecnologico che l’immaginazione di Kevin aveva costruito. Si era aspettato di trovare edifici che sembrassero arrivati dallo spazio, invece assomigliavano a costruzioni leggermente più costose di quelle che costituivano la sua scuola.

      Entrarono con l’auto e parcheggiarono davanti agli edifici. Kevin respirò profondamente. Eccolo. Entrarono in una lobby, dove una donna rivolse loro un sorriso che in un batter d’occhio si trasformò in una domanda.

      “Salve, siete sicuri di essere nel posto giusto?”

      “Devo parlare con qualcuno riguardo a segnali alieni,” disse Kevin prima che sua madre potesse tentare di dare una spiegazione.

      “Mi spiace,” disse la donna. “Non organizziamo tour per il pubblico.”

      Kevin scosse la testa. Sapeva di doverle far capire. “Non sono qui per una visita,” disse. “Penso… penso di ricevere delle specie di segnali dagli alieni.”

      La donna non lo guardò con il genere di shock o con l’incredulità che la maggior parte dell’altra gente poteva dimostrare, e neanche con la sorpresa che sua madre esprimeva ogni volta che lui saltava fuori con affermazioni del genere. Quella era più che altro un’espressione di rassegnazione, come se la donna si fosse trovata molto spesso a gestire situazioni del genere.

      “Caspico,” disse. “Sfortunatamente non siamo nella posizione di parlare alla gente che viene dentro dalla strada. Se vuoi mandarci un messaggio tramite il nostro contatto email, saremo lieti di considerarlo, ma per il momento…”

      “Andiamo, Kevin,” disse sua madre. “Abbiamo provato.”

      Sorprendendo se stesso più di chiunque altro, Kevin scosse la testa. “No, non vado da nessuna parte.”

      “Kevin, devi,” disse sua madre.

      Kevin si mise a sedere proprio in mezzo alla lobby. Il tappeto non era molto comodo, ma a lui non importava. “Non andrò da nessuna parte fino a che non avrò parlato con qualcuno di questa cosa.”

      “Aspetta, non puoi fare così,” disse la donna della reception.

      “Io non vado da nessuna parte,” ribadì Kevin.

      “Kevin…” iniziò sua madre.

      Kevin scosse la testa. Sapeva che era infantile, ma per come la vedeva lui, aveva tredici anni e la cosa poteva anche essergli concessa. E poi questo era importante. Se ora fosse uscito e se ne fosse andato, sarebbe finita lì. E lui non poteva permettersi di lasciar perdere tutto.

      “Alzati, o dovrò far chiamare la sicurezza,” disse la donna. Gli si avvicinò e gli afferrò con forza un braccio.

      Di scatto la madre di Kevin spostò la sua attenzione dal figlio alla donna, socchiudendo gli occhi.

      “Leva subito le mani di dosso a mio figlio.”

      “E allora faccia alzare suo figlio e andatevene prima che debba mobilitare la polizia.” La donna lasciò comunque la presa, anche se probabilmente la reazione era dovuta all’occhiataccia che la madre di Kevin le aveva lanciato. Kevin aveva la sensazione che, ora che le si era presentato un modo per poter proteggere suo figlio, sua madre l’avrebbe fatto a qualsiasi costo.

      “Non passiamo alle minacce con la polizia. Kevin non sta facendo male a nessuno.”

      “Pensa che qui non ci capitino regolarmente dei pazzi?”

      “Kevin non è pazzo!” gridò sua madre con un volume che normalmente era riservato ai momenti in qui Kevin faceva qualcosa di davvero sbagliato.

      Nei due minuti seguenti il litigio crebbe più di quanto Kevin avrebbe desiderato. Sua madre gli gridò di alzarsi. La donna della reception gridò che avrebbe chiamato la sicurezza. Si gridarono addosso a vicenda e la madre di Kevin decise che non voleva che nessuno minacciasse suo figlio con la sicurezza, e la donna parve dare per scontato che sua madre sarebbe stata capace di spostare Kevin. Durante tutto questo Kevin rimase seduto in sorprendente serenità.

      Si sentì quasi cullato, accompagnato in un profondo dove vide qualcosa…

      Il buio freddo dello spazio lo circondava, le stelle luccicavano, con la terra che sembrava così diversa dall’alto, tanto da lasciare Kevin quasi senza fiato. C’era un oggetto argentato che fluttuava lì nello spazio, uno fra tanti altri che stavano lì sospesi nell’orbita. Sul fianco erano scritte le parole Pioneer 11…

      Poi si trovò disteso sul pavimento dell’Istituto SETI, sua madre che lo aiutava a rialzarsi insieme alla donna della reception.

      “Sta bene?” chiese la donna. “Devo chiamare un’ambulanza?”

      “No, sto bene,” puntualizzò subito Kevin.

      Sua madre scosse la testa. “Sappiamo cosa c’è che non va. Mio figlio sta morendo. Tutto questo… pensavo che l’avrebbe aiutato ad accettare il


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