Per Sempre e Oltre . Sophie Love
Si precipitarono da Roy, annusandolo e cercando di leccargli le guance. Roy rise – le sottili rughe che aveva sul viso si fecero più pronunciate – e li grattò entrambi dietro alle orecchie.
“Di solito non lasciamo che corrano per la cucina,” spiegò Emily. “Ma dato che è un’occasione speciale…”
Le si spezzò la voce quando tornò la fitta di malinconia che aveva provato prima. Essere lì con suo padre non avrebbe dovuto essere “speciale”; era così perché lui se n’era andato.
Dalla sua posizione accovacciata lui alzò lo sguardo su di lei, con espressione colma di rimorso.
Tutto in una volta Emily provò una forte rabbia. Una parte di lei seppellita in profondità stava cominciando a risalire.
“Andiamo in sala da pranzo,” disse, di fretta, volendo evitare che emergesse.
Andarono nella stanza col grande tavolo di quercia. Roy notò subito che il pesante drappo che un tempo era appeso sulla porta della sala da ballo non c’era più.
“Hai trovato la sala da ballo,” disse.
Il commento irritò Emily ulteriormente. Non stavano mica giocando a nascondino. Sentì il calore salirle alle guance.
“L’ho trovata. L’ho ristrutturata. Presto mi ci sposerò,” disse mentre percorrevano il corridoio dal basso soffitto e uscivano nell’immensa sala.
Sentì la stizza trasparirle dalla voce e fece un respiro profondo per calmarsi.
“Be’, è bellissima,” disse Roy, ignaro della crescente rabbia della figlia o ancora restio ad affrontarla. “Mi sorprende che le vetrate colorate siano in condizioni così buone dopo tutto questo tempo.”
“Le ha restaurate George, l’amico di Daniel,” spiegò Emily.
“George?” disse Roy sollevando le sopracciglia. “Mi ricordo quando era alto così.” Si portò la mano all’altezza della vita.
Emily si accorse che Sunset Harbor era una città più di suo padre che sua, che conosceva la gente del posto meglio di lei, che negli anni in cui aveva vissuto lì aveva piantato più radici di quante potesse mai sperare di piantarne lei. Una gelosia tutta nuova si fece strada strisciando nel complesso misto di sentimenti che stava già cercando di tenere a debita distanza. Fece del suo meglio per mantenere in viso un’espressione neutra.
Dopo salirono al piano superiore, ed Emily mostrò a Roy la camera padronale, la stanza che una volta era sua e di Patricia e poi, presumibilmente, sua e di Antonia, quando la donna veniva a fargli visita, prima di diventare alla fine sua e di Daniel.
“Questa è fantastica,” esclamò Roy. “I colori sono freschissimi.”
A lui piacevano molto di più i colori scuri, quelle tonalità cremisi e blu che lei aveva usato per le camere degli ospiti. Il bianco brillante e il celeste chiaro andavano molto più incontro ai colori di sua madre, ed Emily, guardando camera sua, si accorse per la prima volta che i suoi gusti erano un misto perfetto di quelli di entrambi. Il debole di Roy per le antichità – il letto enorme, il mobile della toeletta, l’ottomana – e la pulizia di Patricia nei colori bianchi. A Emily parve di guardare la sua stanza con occhi nuovi.
“Camera mia è accanto,” disse Chantelle.
Emily fu sollevata dalla distrazione. Condusse Roy fuori dalla stanza fin dentro quella di Chantelle, dove lui ammirò il delizioso mobilio inciso con immagini di animali che Emily aveva comprato alla bambina. Chantelle danzava per la stanza, esibendo con orgoglio lo scaffale con i libri, il guardaroba pieno di vestiti, la pila di adorabili giocattoli, il muro con le sue opere d’arte.
“Chantelle, hai una camera proprio carina,” disse Roy con gentilezza, ricordando a Emily quel dolce modo di fare che aveva con i bambini, la delicatezza con cui le parlava quando era ancora nella sua vita.
Chantelle sorrise di soddisfazione.
“Hai deciso di non metterla nella stanza che condividevate tu e Charlotte?” disse. “La stanza dei giochi con il mezzanino?”
Emily provò una piccola fitta di dolore al petto nel sentirlo fare riferimento alla stanza che aveva da bambina. Lui l’aveva chiusa a chiave dopo la morte di Charlotte, costringendo Emily a cambiare stanza. Quello era stato il primo segnale, capì in quel momento Emily, che suo padre non avrebbe processato la morte di Charlotte, che invece sarebbe stata lo stimolo ad abbandonarla.
“Quella è la suite matrimoniale,” spiegò Daniel prendendo il comando, dato che Emily rimaneva muta. “Il mezzanino attira clienti. E poi volevamo Chantelle vicino.”
L’emozione cominciava a essere troppa per Emily. Non aveva idea che fosse possibile provare così tante cose complesse e in conflitto tra di loro in una volta sola. Improvvisamente le venne in mente che una volta terminato il giro della casa, una volta che si fossero andati a sedere nel soggiorno faccia a faccia, avrebbe scatenato un’esplosione di rabbia contro suo padre.
D’un tratto sentì la mano del padre sul braccio, lì a fermarla, a rassicurarla. Lei guardò nei suoi occhi azzurri, ci vide dentro il dolore e il rimorso, insieme a un totale sollievo. Senza parole le stava dicendo che andava tutto bene, che comprendeva la sua rabbia. Non c’era bisogno che continuasse a nasconderla.
Si trascinarono per il resto del piano, dando un’occhiata a un paio di stanze per gli ospiti in modo che Roy potesse farsi un’idea dell’arredamento. Si fermò un attimo davanti alla porta del suo studio. L’ultima volta che era stato lì aveva vent’anni di meno, i capelli neri invece che grigi, il corpo più magro e più agile invece della leggera pancia che adesso gli appesantiva la vita.
“È rimasto uguale,” disse Emily. “Qui non ho cambiato niente.”
Lui annuì, ma non disse una parola. Emily si chiese se non stesse pensando alle miriadi di documenti che aveva chiuso a chiave nella scrivania, a quelli che adesso lei aveva letto. Alle lettere e ai segreti che lei aveva scoperto. Emily sapeva che non c’era modo di sapere cosa stesse pensando Roy. In quel momento per lei era un mistero – come era sempre stato.
Andarono al secondo piano e Roy si soffermò per un po’ davanti alle scale per il belvedere. Stava pensando alla sera di Capodanno? Emily se lo chiedeva. A quella sera in cui le aveva detto di non aver paura, di aprire gli occhi per guardare i fuochi d’artificio? Oppure si era dimenticato tutte quelle cose, come era successo anche a lei?
Chantelle correva di qua e di là, mostrandogli tutte le stanze degli ospiti vuote. Sembrava entusiasta che lui fosse lì, e orgogliosissima di mostrargli casa sua. Emily avrebbe voluto prenderla alla leggera come chiaramente faceva la bambina, ma aveva così tanto per la testa da sentirsi sull’orlo dell’ansia.
“Sono davvero colpito del lavoro che hai fatto,” disse Roy. “Non dev’essere stato facile far installare tutti i bagni.”
“Non lo è stato infatti,” rispose Emily. “E abbiamo avuto solo ventiquattr’ore di tempo, più o meno. Ma è una lunga storia.”
“Ho il tempo di sentirla.” Roy sorrise.
Emily non sapeva neanche come rispondere. Il tempo non era una cosa che poteva prendere per dovuta, con lui. Non poteva fidarsi dei suoi slanci di sentimentalismo.
“Andiamo nel soggiorno,” disse rigidamente. “Beviamo qualcosa?” Poi, accorgendosi di aver offerto dell’alcol a un alcolista, aggiunse rapidamente, “Magari un caffè.”
A ogni passo che faceva per scendere le scale, Emily sentiva la rabbia farsi ancora più forte. Odiava quella sensazione. Voleva che il momento della loro riunione fosse pieno di gioia, ma come poteva esserlo per davvero se covava tutto quel risentimento? Suo padre doveva conoscere il dolore che le aveva fatto patire.
Raggiunsero il corridoio del piano di sotto. Daniel andò in cucina per fare il caffè mentre Chantelle mostrava a Roy il soggiorno. Lui trasalì quando vide il lavoro di rinnovo, il modo in cui Emily aveva mischiato stili nuovi con stili vecchi,