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non vedeva l’ora di mandarla di nuovo all’estero per un altro incarico ma ormai avevano già fatto tre riunioni per parlarne e ogni volta Keira aveva trovato una scusa per non prendere una decisione definitiva riguardo alla location. Quando Elliot aveva insistito, lei gli aveva ricordato che le aveva promesso più libertà creativa dopo l’ultimo incarico, e così lo aveva temporaneamente zittito. Ma non sarebbe durata per sempre, lo sapeva. Proprio come non poteva continuare per sempre a dormire sul divano dell’appartamento di Bryn. Avrebbe dovuto rimettersi in sesto prima o tardi.
Si sciacquò il sapone dai capelli, realizzando al contempo che Bryn aveva avuto ragione. Una doccia era proprio quello che le serviva per rinfrescarsi le idee. Forse andare a una festa quella sera le avrebbe fatto bene, anche se non ne aveva voglia. A volte quel che si voleva e quello di cui si aveva bisogno erano cose diverse, ricordò a se stessa. Si ripeteva quelle parole ogni volta che si ritrovava a sentirsi in colpa per quello che era successo con Cristiano. Solo perché lo aveva voluto, non significava che fosse l’uomo giusto per lei. Tuttavia spesso le era più facile credere alle proprie parole che a quelle degli altri.
Uscì dalla doccia, si avvolse in un asciugamano fresco, e tornò in soggiorno per cercare degli abiti puliti per la giornata. Tutte le sue cose erano ancora conservate dentro scatole e valigie, ma si era tanto abituata a quel modo di vivere che ormai sapeva dove trovarne la maggior parte. La maglia che cercava doveva essere nella scatola da scarpe sotto al tavolino da caffè. Si abbassò per prenderla. Allo stesso tempo le cadde lo sguardo sul cellulare. Lottò contro la familiare compulsione a controllare se Cristiano si era fatto sentire, afferrando invece la scatola e rovistandovi dentro alla caccia della maglia che le serviva. Mentre la tirava fuori, ripensò all’ultima volta che l’aveva indossata: a Parigi, durante una delle loro passeggiate romantiche nella città bagnata dalla pioggia. Immediatamente le si strinse il cuore e lasciò cadere l’indumento, afferrando al suo posto il cellulare, ormai priva di forza di volontà.
Non c’erano notifiche ma controllò individualmente ogni applicazione nel caso lui avesse deciso di mettersi in contatto con qualche mezzo meno scontato di un messaggio o un’email; un “like” su una delle sue foto, per esempio, o articolo rilevante pubblicato sulla sua bacheca di Facebook. Ma con un sospiro triste, si rese conto che non c’era nulla. Cristiano non aveva fatto alcun tentativo di comunicare, nemmeno impercettibilmente, da quando lei aveva chiuso la loro relazione all’aeroporto Charles de Gaulle.
La sensazione di turbamento nel petto le fece capire quanto avesse bisogno di vedere i suoi amici quella sera. Anche se una festa non era l’ambiente migliore per lei in quel momento, stare insieme a Maxine e Shelby le avrebbe fatto bene. Per la prima volta dopo tanto tempo, si ritrovò a desiderare la compagnia umana.
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Keira salì di corsa i gradini della casa di Shelby e David. Faceva un gran freddo, e lei indossava un minuscolo abitino nero. Rabbrividì sulle scale mentre premeva ripetutamente il campanello, impaziente di vedere la porta aprirsi.
Finalmente si spalancò, inondando Keira di luce, musica e chiacchiere. Lei si strofinò le braccia e alzò lo sguardo per vedere Rob, il fratello di David, alla porta.
“Ehi,” disse lui, squadrandola da capo a piedi. Poi gli apparve una ruga divertita tra le sopracciglia. “Keira Swanson? Sei davvero tu?”
“Già,” rispose Keira. “Posso entrare? Sto gelando!”
“Ma certo!” esclamò Rob, spostandosi di lato. Keira lo superò rapidamente, emergendo dall’oscurità ed entrando nel corridoio luminoso. Lui chiuse la porta alle sue spalle. “Non ti avevo riconosciuta. Sei cambiata.”
“Non ho più ventun anni, se è questo che vuoi dire,” replicò la donna, sfilandosi la giacca.
Rob gliela prese di mano per appenderla a un gancio vuoto. “È stata allora l’ultima volta che ci siamo visti?”
Keira annuì. “Già. Alla fine del college.” La temperatura dentro l’appartamento iniziò a scaldarla e lei smise di strofinarsi tanto vigorosamente le braccia. “Quindi, come va?” chiese a Rob, cercando di fare conversazione.
“Alla grande,” rispose lui, con un largo sorriso. “Sì, molto bene.” Si grattò la testa, a quanto pareva a corto di argomenti. “Uhm, perché non vieni con me?”
“Certo,” confermò Keira.
Lui le fece cenno di seguirlo dentro l’appartamento. Keira obbedì, avanzando verso i rumori provenienti dalla cucina. David e Shelby avevano una bella casa, soprattutto considerando che nessun altro dell’età di Keira era ancora riuscito a permettersi di comprarne una. Che diavolo, Keira stessa non era nemmeno riuscita a mettere insieme il denaro per la cauzione di un appartamento in affitto!
Trovò tutti in cucina, Shelby seduta vicino a una grande isola intenta a chiacchierare con alcune persone che lei non conosceva. Colleghi di lavoro, suppose. Erano eleganti, con bei tagli di capelli, abiti alla moda e sorrisi sicuri. All’improvviso si sentì estremamente a disagio in presenza degli amici così calmi e tranquilli di Shelby.
“Keira!” esclamò Shelby, notandola. “Sei arrivata!” Appoggiò con forza il bicchiere sul bancone e barcollò verso l’amica, chiaramente già un po’ brilla. “Oddio, non pensavo che ti avrei mai più rivista,” strillò, gettandole le braccia attorno al collo e stringendolo.
Lei diede qualche pacca sul braccio che la stava strozzando. “Non essere sciocca,” disse con voce stridula. “Mi sono solo riposata un po’.”
Shelby la liberò dalla sua morsa e la guardò da capo a piedi. “Wow, sei bellissima!” Pizzicò la stoffa dell’abito di Keira tra le dita, per poi lasciarlo ricadere sul suo fianco. Poi voltò la testa per rivolgersi a tutta la sala. “Guardate quanto è splendida la mia amica Keira!” gridò. “Ed è SINGLE!”
Keira arrossì immediatamente. “Ti prego, Shelby,” borbottò tra i denti. Non si sentiva affatto attraente, per via dei chili di troppo che aveva messo su di recente.
“Che c’è?” ridacchiò Shelby. “Sei di nuovo sulla piazza e io ho degli amici molto affascinanti. E sappi che il tuo culo ha un aspetto magnifico.”
“È grasso, non magnifico,” borbottò Keira. “E ancora non sono pronta a uscire con nessuno. Oggi è letteralmente la prima volta che emergo dalle lande desolate della Depressione dopo due settimane.”
“Okay, okay,” rispose Shelby, roteando gli occhi. “Non insisto. Ma ti offrirò del vino.” E sorrise con aria maliziosa.
“No!” protestò Keira. Sapeva fin troppo bene quanto perdeva il controllo quando beveva troppo, e con quanta facilità si ubriacava quando era preda delle emozioni. L’alcol era l’ultima cosa che le serviva in quel momento.
Ma era troppo tardi. Un bicchiere pieno fino all’orlo di vino bianco attraversò la folla per piombarle davanti. Lei lo accettò dalla mano tesa e senza corpo, sbirciando lo spazio tra le teste di due persone per capire chi glielo stava offrendo.
“MAX!” gridò poi, quando alla fine capì che era l’altra sua migliore amica.
La donna sgusciò in mezzo a due uomini alti e dall’aria inamovibile, e abbracciò Keira.
“Ehi, straniera,” disse. “È bello vederti.” Si separarono e Maxine le sorrise, i suoi occhi scuri rilucenti di dolcezza. “Ero così preoccupata per te che ho persino mandato un messaggio a tua sorella.”
Keira alzò di scatto le sopracciglia. Maxine e Bryn si odiavano. Una qualche faida inesplicabile di cui nessuna ricordava le origini aveva reso la loro relazione quantomeno gelida.
“Non me l’ha detto,” replicò lei.
“Figurarsi,” ribatté Maxine, alzando gli occhi al cielo. “Comunque, sono felice che tu sia qui ora. Adesso posso dirti in faccia che sei una donna forte, potente e perfetta che non si lascia definire da nessun uomo.”
Keira scoppiò a ridere. Aveva l’impressione che fosse il primo sorriso autentico che faceva da giorni.