Ammaliando Il Suo Furfante. Dawn Brower
il suo benessere, e ancora non conosceva nemmeno il suo nome.
"È un vero peccato." Sorseggiò di nuovo il suo spumante. "Ritengo che voi siate come questo champagne. Dolce, stuzzicante e traboccante di piacere dopo un assaggio."
Doveva essere un furfante della peggior specie. Un gentiluomo non avrebbe detto cose così oltraggiose a una signora. La credeva un'accompagnatrice assunta per il divertimento degli uomini alla festa? Non c'erano molte donne presenti. Tale era la natura degli incontri politici: le donne restavano a casa il più delle volte. Le altre signore erano mogli di diplomatici e dei loro impiegati. Catherine era l'unica donna non impegnata presente. Forse però stava leggendo troppo nella sua affermazione.
"Signore, siete troppo audace." Strinse gli occhi fissandolo. "Insisto affinché vi scusiate."
Sollevò un sopracciglio. "Non siete nessuna delle cose che ho menzionato?" Le sue labbra si inclinarono verso l'alto in un sorriso peccaminoso. Accidenti a lui e al suo splendido viso. "Non lo credo."
"Non sono una donna che potete insultare senza conseguenze." Era la figlia di un duca, dannazione. Catherine sollevò il mento e lo trapassò con il suo sguardo più altezzoso. "Non sapete chi sono?"
Lui ridacchiò leggermente. "Penso che tutta la Francia sia consapevole del vostro lignaggio – certamente tutti in Inghilterra lo sono."
Catherine fece un respiro profondo e si preparò per l'imminente litigio. Quell'uomo la prendeva per il verso sbagliato – e giusto allo stesso tempo. Desiderò con fervore che non lo trovasse così attraente. Il suo corpo quasi ronzava di gioia in sua presenza. Aveva sempre seguito il suo istinto in passato; comunque, pensava che con lui avrebbe fatto meglio a essere prudente. Era in grado di nascondere parte di se stesso ai suoi doni, e non poteva fidarsi di lui per questo motivo. Cosa lo rendeva speciale?
"Allora perché continuate a essere così scortese?" Per quanto si sforzasse, non riusciva assolutamente a discernere la sua motivazione per essere così arrogante e condiscendente. Lei era cortese con tutti, ma le stava facendo venir voglia di dare un pugno a qualcuno per la prima volta in tutta la sua vita. "Che cosa ho fatto perché voi vi comportiate così con me?"
"Nulla." Scrollò le spalle. "Mi incuriosite, e ho pensato di saggiare il vostro coraggio."
"Ohh…" Se fosse stata una signora incline a lasciarsi andare a scenate, avrebbe già battuto i piedi e urlato a squarciagola. "Siete insopportabile."
"Grazie." Le sue labbra si contrassero, e il divertimento gli balenò dagli occhi in modo evidente. "Mi vanto di essere in grado di stuzzicare le persone nei modi più inaspettati."
Lei alzò gli occhi al cielo. "In tal caso, considerate il vostro obiettivo raggiunto."
A Catherine non piaceva. Era il peggior tipo di uomo esistente e non riusciva a capire cosa avesse trovato così irresistibile in lui prima. Poteva andare all'inferno per quanto la riguardava. Sarebbe stato un giorno felice se non fosse mai più entrata in contatto con lui. Alcuni bei diavoli non avrebbero dovuto essere incoraggiati, e lui era in cima alla lista.
"Non si dovrebbe ballare a questi eventi?" Si guardò intorno nella stanza. "Sembra che la maggior parte della gente si accontenti di parlare di argomenti sciocchi al punto da farmi addormentare."
"Fatemi indovinare" cominciò. "Voi considerate voi stesso e tutto ciò che vi riguarda l'epitome di tutto ciò che è entusiasmante nel mondo." Che Dio la salvasse dagli uomini che pensavano che il mondo ruotasse attorno a loro. Non aveva bisogno che persone simili le prestassero attenzione.
"Niente affatto" rispose tranquillamente. "Ma non sono così noioso da rischiare di ridurre individui in stato catatonico." Fece un cenno a un gruppo vicino. "Guardateli bene – le loro stesse facce alludono alla placidità – praticamente dormono in piedi."
Catherine sospirò. "Se per voi è un inferno perché siete ancora qui?" Del resto, perché stava continuando a conversare con lui? Era ben oltre il livello dell'irritazione ed era entrata nel totale fastidio. "Potreste andare a casa, e tutto andrebbe per il meglio nel vostro mondo, Signor –"
"Lord" la interruppe. "Non sono mai stato un semplice signore."
Certo che era un lord. Arroganza come la sua veniva naturalmente ad alcuni, ma quelli della sua stirpe venivano allattati con essa. Non c'era da stupirsi che la stesse emanando con la stessa facilità con cui respirava e non si scusasse per questo. "Sia come sia…" Pregò silenziosamente di avere pazienza. "Per rispondere alla vostra domanda precedente, questa non è mai stata pensata per essere il tipo di riunione da ballo. È una cena in cui si conversa. Se volete di più, dovreste partecipare al ballo che ci sarà più avanti questa settimana. Sono sicura che un lord come voi non avrà problemi a trovare una partner di ballo disponibile."
"Ballerete con me?" Le sue labbra si inclinarono verso l'alto in un sorriso peccaminoso. La sua arroganza e sicurezza di sé le fluivano attraverso a ondate. "È per questo che mi avete suggerito di partecipare al prossimo ballo, vero?" Sollevò un sopracciglio con aria interrogativa.
La cosa gentile sarebbe stata dire di sì. Era quello che si aspettava da lei, dopotutto… "Assolutamente no." Non riuscì a impedirsi di dirlo. "Non credo che arriveremmo a un brano completo prima che io desideri strangolarvi. È meglio evitarci entrambi questa conclusione disastrosa."
Invece di essere offeso, fece un largo sorriso come se si fosse complimentata con lui. Era un tale bastardo bastian contrario. "Penso mi piacciate."
"Per favore, non fatelo" supplicò lei. "Non ho bisogno che siate affascinante. Piacervi è l'ultima cosa che desidero fare."
All'inizio della loro conversazione non avrebbe voluto altro. Ora che aveva passato un po' di tempo in sua compagnia, aveva cambiato idea. Poteva essere bello, e qualcosa in lui poteva attirarla, ma era completamente sbagliato per lei. Nella sua esperienza, era meglio tagliare tutti i legami in situazioni come quelle. Catherine non aveva bisogno di un cuore spezzato nella sua vita.
"Ah" si fece un po' più vicino. Il calore scorreva da lui a lei a ondate. "Ma mi trovate affascinante. Se vi può essere di aiuto, sono ugualmente incantato da voi."
"Vi assicuro che non era mia intenzione." Le sue guance arrossirono mentre si scaldava dall'interno. Sorseggiò il suo champagne distrattamente per mancanza di altre risposte alle sue attenzioni. "Non prendetela a cuore."
"Temo di averlo già fatto." Sollevò il bicchiere di champagne in segno di saluto. "Ma so quando fermarmi. A voi, mia cara, Lady Catherine." Bevve un sorso dopo il brindisi e poi fece l'occhiolino. "Fino a quando non ci incontreremo di nuovo, perché sono sicuro che lo faremo."
Con quelle parole, uscì dalla stanza. Nessuno se ne accorse e lei si chiese per un attimo se l'avesse immaginato. No, le sue premonizioni non funzionavano in quel modo. Era reale e presente. Non poté fare a meno di credere che le sue parole di addio fossero un presagio: lei avrebbe voluto almeno che si fosse presentato. Sarebbe stato bello sapere il nome… Catherine immaginava si sarebbero incrociati altre volte. In qualche modo, in qualche maniera, le loro vite erano intrecciate. Non aveva mai sbagliato prima; tuttavia, questa era la prima volta che la cosa la terrorizzava e la rinvigoriva allo stesso tempo.
CAPITOLO DUE
L'appartamento che Asher Rossington, il Conte di Carrick, si era assicurato per il suo periodo a Parigi, aveva poco da offrire. La sua casa in Inghilterra aveva uno stile più lussuoso, ma non ci si poteva aspettare nient'altro da Seabrook. Suo padre – l'attuale Marchese di Seabrook – aveva pensato gli servisse esplorare un po' il mondo. Con fondi limitati a sua disposizione, Asher non vedeva il motivo di affittare qualcosa di più elaborato. Tutto ciò di cui aveva bisogno era un posto dove dormire in relativa pace e conforto.
Ciò che suo padre non sapeva era che Asher era impegnato attivamente in una missione segreta con il Conte di Derby, che lavorava a stretto contatto con il Sottosegretario di Stato per la Guerra. Per qualche ragione, la vecchia capra non si fidava di suo cugino, Sir Benjamin Villiers, che attualmente lavorava per l'Ambasciatore del Regno Unito in Francia. La posizione dava a Sir Benjamin l'accesso a una certo numero di funzionari stranieri. Asher non sapeva cosa avesse fatto per far sì che suo cugino diffidasse di lui a quel modo, ma non vedeva alcuna