Il Conte Libertino. Dawn Brower
per vivere a Southington. Non preoccuparti. Tuo padre ha fatto in modo che non le mancasse nulla.».
Sua madre lo aveva abbandonato? Era sempre stato più vicino a suo padre, ma… lei l’aveva lasciato da solo con il duca pur conoscendo la sua natura rude. Non temeva di usare il pugno di ferro per esprimere un’opinione. Il titolo degli Harrington era prestigioso, ma lui non avrebbe avuto il controllo della tenuta ancora per molti anni. Disponevano di molti fondi purché facessero ciò che voleva il duca. Suo padre aveva deciso di tagliare i ponti il più possibile con Southington. Vivevano in una piccola villa a Londra e suo padre aveva investito in una proficua compagnia di spedizioni con le entrate che aveva a disposizione. Non vivevano nel lusso, ma si erano sentiti a proprio agio.
La cosa non aveva reso felice il duca ma, d’altra parte, nulla lo rendeva felice. Gli piaceva avere il controllo della sua famiglia, e perderlo lo avevo portato a tagliarli fuori dalla propria vita. Questo finché suo padre non era morto e lui aveva visto l’opportunità per tornare indietro. Ora Jonas era sotto la sua tutela finché non avrebbe avuto pieno accesso alla sua eredità. Non era una somma enorme, ma sarebbe stata sufficiente per liberarsi da lui.
«Posso congedarmi?». Il duca lo colpì con un pugno in bocca, cogliendolo di sorpresa. Jonas scattò involontariamente all’indietro, ma poi riprese subito il controllo. Alzò lo sguardo e fissò il duca negli occhi, ripetendo la sua domanda: “Posso congedarmi, ora?”. Congedarsi senza permesso avrebbe prolungato la tortura e lui non voleva un altro pugno in faccia né da nessun’altra parte.
Il duca annuì e Jonas se ne andò il più in fretta possibile. Non corse via come avrebbe voluto perché non avrebbe ceduto al bullismo del duca. Se fosse uscito di corsa dalla stanza, suo nonno avrebbe trovato un motivo per farlo rimanere. Invece, camminò a passo svelto e costante fino alle sue stanze. Solo allora, dopo aver chiuso la porta e ottenuto la sua privacy, cedette alle emozioni che lo tormentavano. Alla fine, le lacrime che aveva trattenuto fluirono liberamente e pianse suo padre.
Londra, 1812
Jonas prese il bicchiere di brandy sul tavolo e ne bevve un sorso. Lo posò di nuovo e fissò le carte che aveva in mano. Fino a quel momento, la fortuna non era stata dalla sua parte e stava continuando a perdere i fondi che aveva. Avrebbe dovuto rinunciare già da tempo ma, stoltamente, pensava che avrebbe vinto se avesse continuato a giocare. La libertà lo aveva condotto fuori strada invece di portargli la felicità. Imparò presto che quest’ultima era un’emozione sfuggente non adatta a lui.
«Penso che per stasera possa bastare.» disse Jason Thompson, Conte di Asthey. Si passò le dita tra i suoi capelli biondo scuro e sorrise come un gatto che aveva catturato l’agognato topo. «È stata una serata produttiva.».
Almeno per uno di loro era andata bene. «Sono d’accordo.». Jonas lanciò le sue carte sul tavolo. «Ho già perso troppo.». E aveva ben poco da poter perdere ancora. Suo nonno controllava buona parte delle finanze. In qualche modo aveva trovato il modo per ottenere il controllo di gran parte della sua eredità. Jonas aveva ottenuto la sua indipendenza un anno fa, ma non era veramente libero. L’unica cosa che gli era rimasta, che il duca non poteva toccare, era una piccola somma che gli aveva lasciato sua nonna materna. Bastava a malapena per sopravvivere. Doveva trovare un modo per aumentare le proprie entrate, ma non riusciva a capire quale.
«È un peccato.» disse Asthey. «Sbancare risolverebbe molti dei tuoi problemi.».
Jonas alzò gli occhi al cielo. «Mi serve più di quanto vincerei con una partita a carte, per risolverli tutti.». Se suo nonno si fosse deciso a tirare le cuoia sarebbe stato di aiuto, e invece no, non accadeva ancora. Il vecchio era troppo stupido per fare qualcosa di così congeniale per liberare il mondo dalla propria meschinità. «Dov’è Shelby?». Gregory Cain, Conte di Shelby, era l’altro membro del trio. Jonas scrutò la stanza alla ricerca dei capelli corvini di Shelby. Erano il suo segno distintivo. Nessun altro aveva i capelli così neri come i suoi. Il suo amico non si vedeva da nessuna parte al tavolo dei giochi.
«Ha trovato una donzella di suo gradimento e ha occupato una stanza per fare un po’ di sport.».
Ovviamente… Shelby era più che dissoluto e adorava ammaliare qualsiasi donna ben disposta nei paraggi. «Dovremmo aspettarlo?».
«Conosce la strada di casa.» rispose Asthey. «Preferirei non aspettare che finisca. Potrebbe volerci tutta la notte o potrebbe finire tra un’ora. È difficile dirlo.».
«Hai ragione.» concordò Jonas. Si alzò, indossò la giacca sul gilè e se la abbottonò. «Io sono stanco e preferirei dormire nel mio letto.».
Entrambi si diressero verso la porta principale ed uscirono. Era ancora buio e, per una volta, era una notte serena a Londra. La pioggia era durata per giorni. Le strade erano piene di pozzanghere e fango. Camminarono in silenzio per alcuni istanti mentre si dirigevano verso una carrozza. Mentre si apprestavano ad attraversare, Jonas si sentì tirare all’indietro. Cadde a terra, sbattendo la testa contro la superficie dura.
«Maledizione.» disse gemendo. «Che vi è saltato in mente?».
«Ho un messaggio per voi.». Un uomo grosso e corpulento torreggiava su di lui.
Jonas alzò un sopracciglio. «Dovrebbe migliorare la modalità di consegna. Non consiglierei i suoi servizi a nessuno.».
«Non ne ho bisogno.» rispose l’uomo corpulento. Jonas non riuscì a distinguere i suoi lineamenti nel buio, ma sentì bene il pugno che lo colpì alla mascella. «Il messaggio non è verbale.».
Il furfante era pronto a sferrare un altro pugno, ma fu tirato all’indietro prima che potesse farlo. Cadde a terra quasi allo stesso modo di Jonas. Che gli serva di lezione… Jonas balzò in piedi prima che l’altro potesse rialzarsi. Si passò una mano sulla mascella dolorante. «Ce ne hai messo di tempo.» disse, voltandosi verso colui che pensava fosse Asthey, ma fu sorpreso di trovare Lord Coventry.
«Dov’è Asthey?».
«Laggiù.» disse Coventry indicando in lontananza. Stava facendo a pugni con un altro furfante. Gli sferrò un duro colpo e l’uomo cadde a terra. «Che cosa sta succedendo?».
«Sfortunatamente, questa è opera di vostro nonno.» rispose. Un accenno di tristezza velava le sue parole. «Ho sentito delle voci ed ero venuto a verificarne la fondatezza.».
«Dunque?» a Jonas non piaceva la piega di quella conversazione. Suo nonno era capace di causare molti danni, se avesse voluto, e sembrava che avesse deciso di usare il suo potere. Doveva ottenere tutte le informazioni in possesso di Coventry per poter elaborare un proprio piano. I contatti di suo nonno erano estesi e la sua portata lo era ancora di più. Per batterlo al suo stesso gioco, Jonas avrebbe potuto trovarsi costretto a giocare sporco.
«Visto come stanno le cose, temo che fossero corrette.» rispose Coventry.
Asthey si unì a loro, agitando una mano mentre camminava. «Mi fa più male di quanto io voglia ammettere. Forse dovrei imparare un paio di cose su come sferrare correttamente un pugno.».
Coventry annuì, «Potrei essere in grado di aiutarvi entrambi.». Poi si rivolse ad Asthey: «Andate dentro e chiamate il vostro amico Shelby. Ho una proposta per tutti voi.».
Asthey non si oppose all’ordine di Coventry, annuì e tornò nell’inferno del gioco. Jonas lo osservò finché non scomparve all’interno, poi si voltò verso Coventry. «Che cosa sapete?».
«Molto più di voi.» rispose in modo criptico, «Il duca ha dei piani per voi e non è contento della vostra riluttanza nel seguirli.».
«È una situazione che conosco fin troppo bene.». Si augurava che il vecchio lo lasciasse da solo. «Era questo il suo piano per costringermi ad andare a Southington?».
«Non sono del tutto sicuro di ciò che sperava di ottenere stasera.» ammise Coventry. «So che lo ha organizzato, e sono qui per aiutarvi, se me lo permettete.».
Jonas era stanco di combattere costantemente contro suo nonno. Doveva esserci un modo per impedirgli di seguirlo ovunque. «Che cos’avete in mente?».
Asthey