Come Una Preghiera. Diego Maenza

Come Una Preghiera - Diego Maenza


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dei compiti per la processione dell’indomani e infine le mando via presto, dicendo che sono stanco e devo riposare. Chiudo la porta dietro di loro, la sprango ben bene con il suo fermo arrugginito e mi metto a cercare il ragazzo per tutta la casa.

      *

      Lo invito ancora una volta nella mia stanza. Lì ci mettiamo a parlare piacevolmente di alcuni aspetti teologici, che lui conosce appena. Lo istruisco con la mano appoggiata sulla sua coscia muscolosa. Poi lo invito a pregare insieme. Sono dietro di lui, posso sfiorare la sua schiena, condannato dalla mia insana e indomabile voglia. Sento il calore del suo corpo che spande calore nell’ambiente e, nel contempo, rinfresca il calore delle mie viscere.

      *

      Il corpo mi arde. Mento a me stesso dicendomi che è per colpa della frutta che ho mangiato e che non riesco a digerire. So che non è vero. La mia testa non è qui, ma fissa sul ragazzo. Cammino con passi traballanti verso la sua porta. Entro nella sua stanza e scopro lentamente il bel corpo addormentato in posizione fetale, con il culo rivolto verso di me e che sembra tentarmi ad accarezzarlo, a prenderlo completamente. Sto per farlo, il corpo mi ribolle orrendamente di febbre e di lussuria… In un guizzo di lucidità torno ansimando nel mio letto.

      *

      Mi sono svegliato con la sgradevole sensazione di sudore, di cui sono madido. Osservo i raggi del sole pomeridiano che si rifrangono nello specchio e inondano la stanza con il loro bagliore, invadendo ogni angolo. Mi rendo conto che devo lavarmi, la mia camera da letto è rovente e il cavallo dei miei calzoni è appiccicoso. La febbre è passata. Imploro un sorso d'acqua fresca.

      Ho inviato istruzioni scritte ai fedeli per la processione del Venerdì Santo. Il ragazzo mi ha fatto compagnia mentre scrivevo la lettera, e ha accettato di consegnarla lui, a patto che poi gli illustrassi qualche altro pezzettino del dipinto. Questa volta non sono riuscito a nascondere che lo guardavo, che ero attratto dai suoi movimenti. Un paio di volte, mi è perfino caduta la penna a terra, mentre ero assorbito da lui.

      *

      La custodia del disco ha come copertina l'immagine di una strada coperta di foglie autunnali, che si perde in un suggestivo orizzonte. Da lì il panorama giallastro sprofonda in una foresta di assoluta dolcezza. Nessun uccello può disturbare tale tranquillità. Nessun animale osa profanare la serenità del piccolo universo di foglie e terra. Tutti stanno per venire alla luce, spalancando la porta a un paradiso infernale.

      Inserisco il disco nel mangianastri che lo costringe a girare rapidamente. Quel piccolo oggetto si trasforma in un minuscolo turbine che si muove a migliaia di giri al minuto. La musica invade la stanza, molto lentamente, come se stesse lottando per svegliarsi dall’antico sonno a cui forze maligne l’hanno costretta, instillando serenità, assorbendo il silenzio, librandosi nello spazio su cui a breve imporrà il suo dominio regale. Ma raggela con le sue note. Il basso segna il ritmo, si fa gradualmente parossistico, surclassa con il suo crescendo il timido intervento dei violini: sono i passi del pellegrino oppresso dal peso dei suoi travagli, sono gli scricchiolii del ghiaccio che sta per rompersi. Ora i fulmini scatenati dal violino solista sono fragorosi, la tempesta dell'orchestra ruggisce e scuote lo spazio e vibra ai piedi dello sfortunato. Vi nasce una lotta, segnata dall’impulso del basso che vibra ad una velocità impossibile, costringendo al suo ritmo l’intera esecuzione. Ma ecco che l’assolo del violino si libra nell’aria imponendo il proprio dominio, sferzando gli astanti con le sue raffiche di note gelide e di suoni glaciali, tali da far rabbrividire chi ascolta e costringerlo a battere i denti dal freddo.

      *

      “Vedi quest’area qui? —mi dice, e mi mostra la zona in alto sul lato destro del trittico che stiamo studiando—. Quest’immagine simboleggia le torture del peccatore. Invece questa parte qui, in basso, è quella stereotipata, comune, che abbiamo dell'inferno. Una pioggia continua di fuoco e zolfo, alte montagne che si sgretolano e rovinano giù nel buio e le anime che gridano, oppresse da indicibili tormenti. Invece qui… —e fa un cerchio con il dito su una zona più sotto— c’è l’inferno di ghiaccio che fa da tremendo contrasto alla pioggia di fuoco perché, nella concezione classica dell'inferno come luogo di tormento senza fine, forse l’orrore del ghiaccio eterno è più temibile di una fornace ardente. Guarda qui come la povera anima sventurata si congela e si frantuma, annegata nel gelo mortale del ghiaccio...

      Ancora più sotto c’è quello che nell’arte viene chiamato inferno musicale, perché vi si usano degli strumenti musicali come oggetto di tortura. E’ un’immagine che troviamo spesso nei cosiddetti pittori mistici. Vedi, questa è la cornamusa, qui c’è il liuto, ed ecco l'arpa. E in fondo, se riesci a vederlo, c’è un piccolo flauto…”

      Mi chiedo se l'inferno sia davvero così. Dalla finestra noto che si è fatta sera.

      “Bene, —continua lui— la disperazione e il martirio sono sicuramente ben rappresentati dall'artista, o meglio, dal pittore che ha copiato così mirabilmente il quadro originale, interpretandolo a modo proprio”.

      Gli chiedo come vede l'inferno lui, sulla base di ciò che dicono le Sacre Scritture. Ma non risponde. Sembra essere immerso in un mondo proprio che in questo momento non capisco. Forse si sta chiedendo anche lui come sia davvero l'inferno.

      “La Bibbia parla dell’inferno come un luogo di eterna sofferenza, in cui le anime verranno gettate nei laghi di zolfo. È così che il pittore lo raffigura sulla parte superiore del quadro. In effetti, anche il Cristo ne parla spesso nei Vangeli come il fuoco che non si spegne mai, in cui c’è lamento e digrignare dei denti, e lo cita come punizione senza fine”.

      Parla senza guardarmi, come se stesse discutendo con se stesso.

      “Per secoli, il fuoco e il ghiaccio, cioè il caldo insopportabile e il freddo glaciale, sono stati considerati come la tortura più atroce e più adatta ad una sofferenza eterna. Un grande poeta dell'antichità immagina un girone infernale come la solita pioggia di fuoco ma, in un girone più in basso, quello dei traditori, addirittura come un’ enorme distesa di ghiacci eterni. Lucifero, che è il sovrano di questo luogo di perdizione, è egli stesso prigioniero del ghiaccio e da lì piange e si dispera con i suoi sei occhi e le sue sei ali di pipistrello”.

      Immagino un inferno di ghiaccio. L'Ade sarebbe un paradiso al confronto. Una tortura senza fine nel torpore perenne. Ma ciò che il mio corpo non riesce a tollerare, ora, è questo caldo. Un intenso calore che m’investe mentre sto qui ad ascoltare gli insegnamenti di padre Misael, e che cresce e mi opprime allo stretto contatto col suo corpo. Lo ringrazio per le sue parole illuminanti. Gli dico che non ho più intenzione di disturbarlo con le mie sciocche domande. Gli chiedo di benedirmi e lui mi accontenta con ardore, stampandomi un bacio casto sulla bocca.

      *

      Abbiamo deciso di mangiare del pane, io ho del vino e lui ha una bottiglia di succo di frutta. A tavola chiacchieriamo su argomenti di particolare interesse per lui. Guardo i suoi occhi e mentre gli spiego certe verità teologiche sullo Spirito Santo, gli sfioro il dorso della mano. Lui si volta a guardarmi ed io arrossisco di botto. Gli accarezzo le guance e lo bacio di nuovo, ma questa volta in bocca.

      *

      L'orrendo bacio che delimiterà la soglia del peccato e la discesa nei meandri infernali.

      *

      Sono nella sua stanza e lui mi mostra un pigiama beige. Mi dice che sono adatto a servire un rappresentante di Dio nel mondo, e che d'ora in poi sarà il mio maestro spirituale. Mi spiega che l'abito talare è l'unico abito sacro che l'essere umano possa indossare. La mia nuova mansione sarà quella di aiutarlo a spogliarsi e a indossare il pigiama. Trovo che sia un compito facile e accetto di servire il sacerdote, un Unto del Signore.

      *

      Le sue mani scivolano lentamente lungo le mie cosce. Mi sento caldo, rinfrescato, eppure così eccitato e ricettivo. Contengo un gemito. Mi sento vivo quando sento il suo respiro nell'area delle mie mutande, vivo nella trepidazione dei miei capelli che ondeggiano attratti dall'ondata di fascino che emana dalla sua pelle che tocca la mia, con le sue caste e rosee dita. Ora è il mio petto a sentirsene grato, si rallegra per un piacere di cui mi è proibito godere, in questo mondo. I peli mi si drizzano. Sono totalmente


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