La Fossa Di Oxana. Charley Brindley
Questo sembrò soddisfare signorina Impudenza, per il momento.
“Qual è il prodotto della sua azienda?” Domandò signorina Prudenza.
Il loro cibo arrivò e tutti e quattro si poggiarono all’indietro per lasciare a Herman spazio per sistemare i pasti. Quando tutto fu pronto, le tre donne si scambiarono i piatti.
La loro risoluzione automatica della confusione di Herman causata dal loro aspetto identico divertì Tosh. Mostrarono la loro silenziosamente collaborata considerazione aspettando che se ne andasse prima di correggerne l’errore. Un gonfiato senso di importanza personale potrebbe facilmente permettere alle tre donne di mettere in imbarazzo o sminuire qualcuno. Le sorelle, tuttavia, non mostrarono il minimo accenno di presunzione... beh, forse a parte signorina Impudenza.
Quando Herman tornò a riempire i bicchieri d’acqua, signorina Impudenza gli porse il bicchiere da vino semivuoto e ordinò del tè freddo. Signorina Prudenza fece lo stesso, con l’unica differenza che il suo bicchiere era vuoto.
“Si tratta di una nuova rivista,” rispose Tosh alla domanda di signorina Prudenza.
Il lungo silenzio fu interrotto solo dal suono dell’argenteria sulla porcellana mentre tagliavano il cibo e mangiavano. Le tre donne apparentemente non erano colpite da un’altra rivista in un mercato già saturo.
“Come si chiama?” Domandò signorina Diplomazia.
“Orphan.”
Tosh masticò un boccone di vitello. Passò un momento prima che si rendesse conto che era successo qualcosa. Quando alzò lo sguardo, notò che tutte e tre le donne si erano fermate; cibo a metà strada. Lo stavano fissando.
Tagliò un pezzo di vitello. “È una rivista chiamata Orphan.” Immerse la carne in una pozza di salsa di bistecca.
Le tre donne tornarono al loro cibo, mangiando lentamente, senza parlare. Sembravano colpite dalle sue ultime parole.
Signorina Impudenza parlò incerta. “Dal titolo si deve dedurre che la nuova rivista non ha una pubblicazione principale?”
“Oppure,” intervenne signorina Prudenza, “è una rivista sugli orfani?”
“Immagino che possa essere entrambe le cose,” rispose Tosh. “Non esiste una pubblicazione principale, ed in realtà è una rivista per e riguardo gli orfani.”
Dopo un secondo di silenzio, tutte e tre parlarono all’unisono.
“Ha fatto ricerche di mercato?”
“È online?”
“Che tipo di pubblicità utilizzerà?”
“Chi scriverà gli editoriali?”
“E per quanto riguarda le foto e l’arte?”
“Stamperà lettere all’editore?”
“Quale sarà il prezzo di copertina?”
“Ha già contattato distributori e librerie?”
“Darà copie gratuite agli orfanotrofi?”
“Che cosa ne sa degli orfani?”
Tosh posò il coltello e la forchetta sul tavolo, prese il tovagliolo e si appoggiò allo schienale, sopraffatto dalle domande e dall’entusiasmo delle sue ospiti. Successe anche qualcos’altro: un peculiare miglioramento dell’atmosfera attorno al tavolo. L’aria divenne più leggera, più facile da respirare. Una pressione invisibile aveva alternativamente compresso e allentato la sua presa sul suo corpo durante tutta la serata. Come un grasso boa costrittore che gioca con la sua preda, non molto affamato ma neanche disposto a lasciar andare una deliziosa e occasionalmente divertente vittima. Ora però, era tutto pace e luce.
Rispose per prima all’ultima domanda. “L’unica cosa che posso dirvi sugli orfani è che io lo sono.”
Il sorriso di signorina Impudenza era quasi dolce. “Anche noi lo siamo.”
Capitolo Quattro
Alle 9 di mattino del giorno dopo Tosh entrò in ufficio e trovò la signora Applegate che intervistava un candidato. Era un uomo sulla quarantina robusto e calvo come un uovo, a parte una ciocca di capelli castano scuro sopra le orecchie. Si agitò sulla sedia, sistemandosi il suo vestito grigio lucido.
“Perdonatemi.” Tosh era in piedi alla scrivania della signora Applegate.
I suoi occhi socchiusi lo fissarono da sopra gli spessi occhiali poggiati sulla punta del naso.
Tosh represse l’impulso di allungarsi e spingerli in su. Fece invece un cenno di saluto all’uomo, il quale deglutì, si asciugò la fronte con una manica e gracchiò un saluto a sua volta.
Tosh parlò alla signora Applegate. “Tre donne verranno questa mattina per–”
La signora lo fermò sollevando una mano e puntando la sua penna stilografica verso la sala conferenze. Le sorelle Bravant erano lì, piegate sulle loro domande di lavoro.
“Bene, ottimo. Mi faccia sapere quando finiranno.”
Se ne andò nel suo ufficio, si sedette e si girò verso il suo computer, però non ebbe la possibilità di accenderlo.
La porta si chiuse con un colpo e la signora Applegate si avvicinò alla sua scrivania, tirandosi su gli occhiali. Le lenti alla vecchia maniera ingigantivano enormemente i suoi occhi grigio-nuvolosi, facendola sembrare un gufo cornuto pronto a piombare su un minuscolo topo.
“Signor Scarborough.” Incrociò le braccia sotto il seno immenso. “Sono io a dover fare i colloqui per l’avvio di questa compagnia, oppure forse mi sto sbagliando?” Si sistemò le braccia, come se stesse cullando un paio di bambini grassi.
Tosh vide gli occhiali scivolarle giù. “No.”
Inclinò la testa di lato e fissò gli occhi su di lui, poi si spinse all’insù gli occhiali. “Allora perché queste tre... bambine hanno marciato qui alle otto del mattino dicendomi che erano pronte per essere intervistate per le posizioni dirigenziali?”
“Beh, io–”
“Inoltre,” lo interruppe con un movimento tagliente della mano destra, “insinuando che una domanda di lavoro non era altro che una semplice formalità?”
“L’hanno detto davvero?”
“Non con così tante parole.” Appoggiò le nocche sul margine della sua scrivania. “Ma certamente lo hanno insinuato molto bene.”
La signora Applegate era una donna robusta di cinquantasei anni che, a immagine di Tosh, sarebbe stata una perfetta direttrice in un riformatorio per le ragazze ribelli.
Giocò con il B-17 sulla sua scrivania, ruotando il modellino in plastica dell’aereo, studiandone il profilo. Si rammentò l’acre odore della colla di Tester e tutte quelle piccole parti difficili. Ricordava anche quel fine settimana, di quindici anni fa, quando costruì il bombardiere. Che piacevole ricordo. Il suo ultimo modello era un Cessna 421 bimotore. Era un’esatta copia in miniatura dell’aereo nel suo hangar all’aeroporto, però il bombardiere era come un vecchio amico di quell’estate di quando aveva tredici anni – lo stesso anno in cui conobbe Jade Wendy McAlister.
Che marmocchia, quella piccola e dolce-aspra provocatrice. Le piaceva però giocare con il mio bombardiere.
Una mezza dozzina di tintinnanti braccialetti emise un suono impaziente sul bordo della sua scrivania.
Era probabilmente sposata adesso, con un minivan e piccoli marmocchi.
Ruotò il B-17 finché il mitragliere di coda puntò le sue mitragliatrici di calibro 50 direttamente sul seno sinistro della signora Applegate.
“Guardi, signora Apple–”
“Se